L’abbazia di Santa Maria di Lucedio, situata nell’area del parco naturale del Bosco delle Sorti della Partecipanza, è una significativa testimonianza della plurisecolare presenza cistercense in Piemonte.

La comunità monastica, proveniente dalla Borgogna, s’insediò nell’attuale territorio delle Grange Vercellesi, oggi noto per la coltivazione del riso, nella prima metà del XII secolo, sulle terre avute in dono dal marchese Ranieri di Monferrato, ma anche in parte acquisite dai benedettini della vicina abbazia di San Genuario/San Michele, fondata quattro secoli prima e di cui oggi sono osservabili poche vestigia nell’omonima borgata di San Genuario, frazione di Crescentino.

Veduta della chiesa e del campanile della ex chiesa abbaziale di Lucedio - Ph. Alberto Chinaglia
Foto 1 – Veduta della chiesa e del campanile della ex chiesa abbaziale di Lucedio – Ph. Alberto Chinaglia

Della costruzione medioevale di Lucedio sopravvivono alcune importanti strutture come il bellissimo campanile con base quadrata e i quattro registri superiori di forma ottagonale, caratteristico per la bicromia tra il bianco dell’intonaco e il rosso delle lesene aggettanti, la Sala Capitolare, con capitelli di foggia alto-medioevale, il chiostro e la Sala dei Conversi, ambienti oggi inglobati nell’azienda agricola (la chiesa, attualmente parrocchia, venne rimaneggiata nel tardo Settecento, periodo al quale risalgono i raffinati stucchi ancora visibili).

Era d’uso comune al tempo che i signori donassero terreni alle comunità monastiche non solo come atto di devozione cristiana, ma anche per incrementare il prestigio dinastico e soprattutto per i benefici che appezzamenti incolti o mal curati avrebbero tratto dalle competenze agronomiche dei monaci, in particolare dall’adozione di tecniche agricole innovative, dalla gestione dei fondi secondo criteri di efficienza e razionalità e dall’approntamento di sistemi d’irrigazione all’avanguardia per il periodo.

Quanto al primo punto, il legame tra Lucedio e i marchesi del Monferrato si potenziò a tal punto che l’abbazia divenne uno dei principali poli devozionali della casata, luogo di sepoltura prescelto da diversi esponenti della dinastia. Quanto al secondo aspetto, relativo alle migliorie apportate in campo agricolo, è un fatto che i monaci trasformarono in breve tempo un territorio incolto, paludoso e coperto da boscaglie (noto in origine come locez, da cui il nome dell’abbazia) in area produttiva, incrementando di molto il valore dei terreni, e inoltre, nella prima metà del XV secolo, furono proprio i cistercensi di Lucedio ad introdurre per primi in Piemonte la coltivazione del riso.

Veduta del complesso abbaziale - Ph. Alberto Chinaglia
Veduta del complesso abbaziale – Ph. Alberto Chinaglia

Pianta d’origine asiatica, conosciuta e acquistata sui mercati dell’Europa medioevale come spezia e solo successivamente apprezzata come alimento dalle significative proprietà nutrizionali, venne messa a dimora per la prima volta nell’area di Minorca e Valencia, diffondendosi poi in altre aree d’Europa come il Piemonte orientale con una certa lentezza a causa di resistenze dovute sia ai timori legati alla diffusione della malaria, favorita dalla coltivazione in acqua del riso, sia dalle carenze nei sistemi di irrigazione, indispensabili per provvedere all’allagamento della risaia tra aprile e maggio. Al riguardo, si è calcolato che nel Settecento solo il 7% della superficie agricola nel basso Vercellese fosse destinata a riso, mentre solo con la sistematica canalizzazione delle acque realizzata nell’Ottocento la coltura risicola divenne prevalente, finendo per caratterizzare ampie aree del Piemonte orientale tra Vercellese e Novarese.

Foto 3 - Risaie attorno a Lucedio
Foto 3 – Risaie attorno a Lucedio

L’abbazia di Lucedio, come tutte le comunità cistercensi, diede luogo da un lato a nuove realtà monastiche, create per filiazione, come l’abbazia tuttora esistente di Rivalta Scrivia nei pressi di Tortona, e dall’altro lato, per la gestione dei terreni, ad una efficiente rete di Grange, unità agricole autonome dislocate sui terreni di pertinenza dell’abbazia e governate da un monaco converso, specializzato nella conduzione agricola dei fondi, che doveva rispondere del proprio operato ad un superiore, il cellerario.

Foto 4 - Grangia Darola, nelle terre di Lucedio
Foto 4 – Grangia Darola, nelle terre di Lucedio

Lucedio, che cominciò la propria decadenza, come molte altre fondazioni monastiche, tra XIV e XV secolo, seguì le vicende del marchesato monferrino, passando dagli Aleramici ai Paleologi, poi ai Gonzaga, quando questi acquisirono la reggenza del Monferrato, infine ai Savoia, che nel 1784 affidarono abbazia e grange alla Commenda Magistrale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Frammentatasi l’immensa proprietà a partire dal periodo napoleonico, Lucedio acquisì nel 1861, per concessione sabauda, dignità di Principato, scritta che tuttora appare sul portale d’ingresso della tenuta, avviandosi a diventare un’azienda agricola condotta secondo criteri moderni.

Testo a cura di Paolo Barosso

Nota della redazione: i primi due scatti che vi proponiamo (Foto 1 e 2) sono stati realizzati da Alberto Chinaglia, fotografo torinese. Per chi fosse interessato a conoscere l’attività di Alberto, cliccare qui: www.albertochinaglia.com

La scritta sul portale d'ingresso della tenuta di Lucedio
Foto 5 – La scritta sul portale d’ingresso della tenuta di Lucedio