“In questo consiste la bellezza del Piemonte, che mai si cavalca tre o quattro miglia che non si trovi qualche terricciuola” con le sue mura merlate e il suo castello signorile: così scriveva nel 1566 l’ambasciatore veneziano presso la corte di Savoia, aggiungendo che “il numero delle castella che vi sono è notabilissimo, e se dirò che passino i novecento non le dirò bugia”. L’ambasciatore documentava così un tratto caratteristico del paesaggio piemontese, la presenza di una fitta trama di edifici e villaggi fortificati, che ancora oggi, malgrado i guasti delle guerre e del tempo, possiamo osservare come elemento qualificante del nostro territorio.

Tra questi, spicca per rarità tipologica il dongione (o castello-torre) di Carbonara Scrivia, piccolo borgo adagiato sulle propaggini collinari che increspano il versante orientale della Valle Scrivia, a poca distanza da Tortona.

L’edificio si presenta al visitatore come una costruzione massiccia, in forma di parallelepipedo, con basamento murario a scarpa fortemente inclinato per esigenze difensive (la scarpa comincia dal filo del primo solaio, mentre l’altezza del solaio superiore è esternamente segnalata da una fascia marcapiano con decorazione a dente di sega), e con la parte sommitale contornata in tutta la sua estensione da un camminamento di ronda a sporgere, scandito da beccatelli e caditoie e completato da due bertesche, torrette angolari cilindriche. La scarsità di aperture, oltre tutto realizzate in epoca relativamente recente, fa pensare ad una struttura in prevalenza utilizzata per scopi di difesa militare (oltre che di immagazzinamento di derrate alimentari), anche se l’analisi degli interni, con ambienti spaziosi e comodi, depone a favore di un uso anche residenziale da parte dei proprietari.

Con il termine dongione, dal francese donjon, a sua volta derivato dal latino gallico dominium (da pronunciare alla francese dominiòm), dimora del dominus, si designa una struttura multipiano e con forte sviluppo verticale affine per funzione e aspetto al cosiddetto mastio, presente anche in fortificazioni “alla moderna” come per esempio a Torino, dove costituisce l’unico elemento superstite (almeno in superficie, perché nel sottosuolo si conserva la fitta trama di fortificazioni sotterranee e di gallerie) dell’organismo difensivo noto come Cittadella, eretta tra il 1564 e il 1567 per volere del duca di Savoia Emanuele Filiberto.

Il dongione, edificio a più piani in forma di torrione che sorgeva nel punto più interno e facilmente difendibile del complesso fortificato, l’ultimo ambiente del castello che sarebbe stato conquistato in caso di capitolazione, fungeva non solo da estrema postazione di difesa (un ridotto in termini militari) e da punto di osservazione capace di dominare l’intero circuitum castri, ma anche da abitazione permanente e residenza del signore. Di simili strutture, molto più comuni in regioni come la Normandia e l’Inghilterra, ne esistono poche in Piemonte e, tra queste, risalta senza dubbio per stato di conservazione e integrità architettonica il caso di Carbonara Scrivia, mentre altri esempi citabili (secondo lo storico dell’architettura Flavio Conti) sono il dongione di La Gorra (noto anche come casa-forte di La Gorra), borgata agricola nel comune di Carignano, e quello di Serralunga d’Alba, spesso impropriamente definito fortezza. In tutti questi casi, però, si osserva una destinazione mista del dongione, che appare più come una sorta di castello-torre, capace di racchiudere in sé tre funzioni: militare, di residenza del signore, di deposito delle derrate alimentari.

Il fenomeno dell’incastellamento, dal latino castellum, termine con cui in epoca imperiale si designava un presidio militare posto in zone di confine, di minore importanza rispetto al castrum, l’accampamento militare, cominciò a manifestarsi in modo marcato in area piemontese tra il IX e il X secolo quando intervennero due fattori che lo favorirono: la disgregazione dell’impero carolingio e il conseguente parcellizzarsi del potere sul territorio, acquisito anche con la forza da una fitta rete di domini loci, signori locali, che, approfittando del venir meno dell’autorità centrale, regia o imperiale, avocarono a sé il diritto di costruire e possedere “castelli” (diritto dapprima spettante solo al re); le cruente invasioni di Saraceni, bande raccogliticce di arabi, contadini islamizzati e predoni che imperversavano dalla base provenzale di Fraxinetum (oggi La Garde-Freynet), e le incursioni degli Ungari, provenienti dalle pianure della Pannonia, che terrorizzavano le popolazioni, inducendole ad arroccarsi nei loro villaggi, a proteggerli con opere difensive oppure a radunarsi al riparo dei circuiti fortificati edificati dai signori, all’inizio costituiti da fossati e semplici palizzate in legno.

Il castello, nell’accezione odierna, è inteso però non tanto come villaggio fortificato quanto come dimora del signore, emblema di potere e di forza militare, ed in questo senso l’accezione piemontese del termine è ancora più estesa, ricalcando quella francese di chateau, con cui si ricomprende qualsiasi tipo di residenza signorile che richiami l’immagine del castello, ancorché non realizzata in epoca medioevale o successivamente rimaneggiata per essere riconvertita dalla originaria funzione militare al ruolo di tranquilla magione di campagna e luogo di villeggiatura estiva.
Questo processo di riconversione dei castelli da edifici aventi prevalente carattere militare a fabbricati con funzione residenziale, dovuto in ultima analisi alle innovazioni nell’equipaggiamento militare, segnatamente l’avvento della polvere da sparo (databile al XIV secolo) e delle armi da fuoco, che stravolse le modalità di combattimento e le tecniche di difesa, si manifestò in Piemonte a partire dal XVI secolo, interrotto poi dai fatti d’arme che insanguinarono il Seicento sabaudo, per poi riprendere con maggior fervore tra fine Seicento e primo Settecento. L’idea di castello come simbolo di forza e di prestigio sociale non esaurì mai la sua presa nell’immaginario collettivo, ma trasse nuova linfa dalle elaborazioni ideologiche dei romantici, che idealizzarono il Medioevo presentandolo in forma quasi fiabesca e rafforzarono il fascino della sua rappresentazione in forma abitata, il castello. Ancora nel primo Novecento l’alta borghesia arricchitasi con l’industria ambiva a farsi costruire dimore, palazzine urbane o residenze di campagna, che riproducessero gli elemento considerati tipici dell’architettura castellata, o dell’idea che se ne aveva, con torrette, bertesche, merlature, caditoie, come si può facilmente osservare percorrendo le strade dei quartieri realizzati in quel periodo, da Cit Turin a Borgo Po. E tuttora il fascino del castello perdura nell’immaginario comune, suscitando sogni e alimentando fantasie.
Testo e foto a cura di Paolo Barosso
Fonti bibliografiche:
A. Barbero, Storia del Piemonte: dalla preistoria alla globalizzazione, ed. Einaudi, 2008
M. Centini, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità dei castelli del Piemonte, Newton Compton ed., 2001
F. Conti, Castelli del Piemonte, Görlich ed. 1975
