di Giorgio Enrico Cavallo

Torino, 26 maggio 1799: l’esercito autro-russo fa il suo ingresso nella città, cacciando il presidio francese che lo teneva. È una pagina relativamente poco nota della storia torinese, messa in ombra forse da una storiografia successiva, che ha esaminato l’epopea napoleonica trascurando spesso volontariamente gli episodi che hanno segnato la sconfitta dell’esercito dei “liberatori” francesi, eredi della rivoluzione dell’89.

albero libertà
L’abbattimento dell’albero della libertà in piazza Castello, a Torino.

L’8 dicembre 1798 il re Carlo Emanuele IV, sovrano debole e a capo di una nazione ormai allo sfascio economico e militare, abdicava a favore dei francesi. Fu un atto forzato, che il sovrano non mancò di denunciare presso le corti europee; ma, ormai, era compiuto, e i giacobini erano diventati padroni degli Stati di terraferma del regno di Sardegna.

I mesi che seguirono videro la nascita della repubblica piemontese, uno stato fantoccio che ben presto venne soppresso dai francesi, che annessero il Piemonte (o, per usare l’enfatico gergo dell’epoca, “riunirono” il Piemonte alla Gran Nazione). Ridicole votazioni si tennero nei principali paesi della regione, con esiti ovviamente scontati; l’annessione del Piemonte fu però breve, perché già si profilava all’orizzonte l’astro di Aleksandr Suvorov, generalissimo russo che era stato messo a capo dell’esercito alleato contro la Francia: egli avrebbe guidato le truppe in marcia sull’Italia, e la sua avanzata fu inarrestabile; in pochi mesi, Suvorov era alle porte di Torino.

Ma non solo Suvorov. I piemontesi si erano frattanto ribellati energicamente contro i francesi, visti non come “liberatori” (i giacobini amavano definirsi, sfacciatamente, come i liberatori dei popoli, comportandosi in realtà peggio dei precedenti regimi, compiendo saccheggi e brutalità insopportabili) ma come insopportabili tiranni.

Busto del principe Aleksandr Suvorov, collocato a Torino nei pressi della parrocchia russa di San Massimo Vescovo.

Quella che si verificò nelle campagne fu una vera e propria guerra civile, che non mancò di atti eroici e di infami devastazioni (i francesi rasero al suolo borgo Salsasio, a Carmagnola, e incendiarono gran parte di Mondovì) oltre che di bizzarri personaggi sui quali ancora non si è fatta abbastanza chiarezza: il principale fu senza dubbio Branda Lucioni, maggiore dell’esercito imperiale che, spinto da un ardimento personale, liberò Lombardia e Piemonte a capo di una armata di contadini nominata Massa Cristiana.

Il Branda, ricordato spesso come un brutale brigante ma che in realtà era un abile stratega, preoccupato della stabilità dei popoli liberati, fu protagonista dell’assedio di Torino, sfinendo con i suoi contadini i francesi che difendevano la cittadella.

A capo della cittadella di Torino era posto Pasquale Fiorella, generale còrso di dubbio valore militare. Egli sottovalutò la minaccia di Branda Lucioni, e quando gli imperiali di Suvorov arrivarono sulla collina torinese, egli non aveva preparato alcuna difesa efficace.

I russi piazzarono alcune batterie di cannoni al Monte dei Cappuccini, e tirarono alcune palle sulla città. Fu un attimo: i torinesi aprirono la porta di Po, consentendo l’ingresso in città ai cosacchi e ai “branda”, come erano popolarmente chiamati gli uomini del Lucioni. Fiorella, sicuro delle difese della città, fu sorpreso mentre pranzava al Cafè ‘d Catlin-a, vicino all’attuale piazza Solferino.

Era il 26 maggio 1799: Torino accoglieva il principe Suvorov con una vera festa di popolo.

Torino - scorcio del Monte dei Cappuccini, dove i russi piazzarono le artiglierie per cannoneggiare i francesi asserragliati nella capitale sabauda
Torino – scorcio del Monte dei Cappuccini, dove i russi piazzarono le batterie di cannoni per colpire i francesi asserragliati nella capitale sabauda.

Tuttavia, la festa fu di breve durata: Fiorella, che si era salvato a stento dai cosacchi, si era rintanato nella cittadella e aveva preso a bombardare Torino, seminando il panico. Suvorov mandò a dire al Fiorella che il suo comportamento violava ogni legge internazionale in materia bellica, e il generale, rassegnato, si preparò ad un assedio con esito facilmente prevedibile: gli imperiali, con facilità, si impadronirono della cittadella quando Fiorella si arrese.

I giorni confusi di quel maggio di tanti anni fa sono stati in gran parte dimenticati.

La storia ufficiale riprende la sua narrazione dal 14 giugno 1800, la data di Marengo; eppure, nel maggio e nel giugno 1799 tali e tanti furono gli atti di eroismo che è ingiusto relegarli in una parentesi della storia. Anzi, essi meritano di essere rivalutati, insieme ai loro protagonisti. Anche perché le lotte e le passioni politiche dei realisti e dei giacobini del 1799 sono poi le stesse che animano in gran parte il mondo contemporaneo.