Sulle coste rocciose che orlano il borgo di Carema, nel tratto canavesano della valle della Dora Baltea, si adagiano i vigneti da cui si ricava l’omonimo vino, il Carema DOC.

Comprese tra 350 e 700 metri, alle pendici del monte Maletto, le vigne si sviluppano in verticale, sul versante sinistro della valle, grazie alla paziente opera dell’uomo, che ha modellato il paesaggio con terrazzamenti a secco scanditi da muretti di sostegno e schiere di pilastrini in pietra di forma tronco-conica (pilon) su cui poggiano i graticci che sorreggono le viti. La coltivazione, favorita dai terreni morenici trasportati dal fondovalle, ricchi di depositi detritici del ghiacciaio valdostano in ritiro, è a pergola (topion), con traverse di supporto in legno di castagno e i tralci legati ad esse, per resistere ai forti venti della valle.

La natura a Carema si fa architettura per l’intervento dell’uomo che, per regolarizzare ad uso agricolo le pieghe della montagna, ha disegnato, scavando i gradoni nella roccia, ciclopiche scalinate ondeggianti, così simili nelle sequenze di pilastrini che si susseguono a distanza costante a schemi romanici e gotici di logge continue e archetti ciechi (Cavallari Murat).

Il disciplinare prescrive per il Carema, dal tipico bouquet di rosa macerata, l’uso di uve Nebbiolo, nelle varietà locali Picutener e Pugnet, per una quota minima dell’85%, in concorrenza con uve a bacca rossa non aromatiche raccomandate per la provincia di Torino, e ne impone l’invecchiamento minimo per tre anni (quattro per la tipologia Riserva).

La Fondazione Slow Food ha di recente inserito il vino di Carema tra i suoi Presìdi con l’obiettivo di salvaguardare questo importante sistema di saperi, che rischia di andare perduto per più cause concomitanti: le problematiche connesse a gestione e manutenzione, totalmente manuali, dei vigneti (tali da richiedere uno sforzo pari a quattro volte la manodopera di un normale vigneto), il basso ricambio generazionale (l’età media dei coltivatori è elevata), la ridotta produttività delle vigne (da 50 a 80 quintali per ettaro).

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