Una bella figura di militare del Vecchio Piemonte è quella di Jean-Baptiste Silvestre d’Oncieu de Chaffardon (1749-1800), il cui nome è legato alla carica di cavalleria nella piana di Carassone, presso Mondovì, dove il 21 aprile 1796 i dragoni piemontesi dimostrarono ancora il buon nome dell’esercito sabaudo.
Per ricostruire i fatti salienti della sua vita, ricorrerò ad alcuni documenti d’archivio. D’Oncieu fu gentiluomo di bocca della principessa di Savoia e militare, comandante dei dragoni del Re, fino a divenirne colonnello. Ecco l’atto di nomina a Primo Scudiere, datato 16 giugno 1786: «Nell’esercizio dell’Impiego di secondo scudiere, e Gentiluomo di bocca della Principessa di Piemonte mia direttissima Nuora – si legge nelle Regie Patenti – avendo il Marchese Gioanni Batista Silvestro d’Oncieux di Chaffardon Capitano nel Reggimento nostro di Savoja Cavalleria dato costanti prove di saviezza, attenzione, ed interessamento pel nostro servizio, e delle altre virtuose sue qualità, che hanno presso di noi confermato il ben vantaggioso concetto, che avevamo formato del di lui merito, ne viene invitata la Reale nostra beneficenza a dargli una graziosa dimostrazione del distinto nostro gradimento e propensione a di lui riguardo, con promuoverlo alla carica di Primo Scudiere della medesima Principessa, non dubitando che vi farà un lodevole impegno di corrispondere a questo tratto della nostra designazione con maggiori riprove delle progevoli doti, che in lui concorrono a’ fregiarne la nobiltà de’ natali. Per tale impiego venne corrisposto a Chaffardon uno stipendio annuo di lire 725 (1)».

Il 27 febbraio 1796 fu nominato colonnello. La patente di nomina recita:
«Colle testimonianze di capacità, attività, ed attenzione, che il marchese Giambattista Silvestro d’Oncieux di Chaffardon, si fa ognora un commendevole impegno nell’esercizio della sua Carica di Colonnello in 2do de’ Nostri Dragoni, avvalorando egli il buon concetto della sua persona, che si è già precedentemente presso di Noi conciliato colla distinzione di servigj prestatici anche nel Reggimento di Savoja Cavalleria, ce ne ridonda un così particolare gradimento, che invitati Noi a dargliene un doppio onorifico attestato, Ci siamo degnati di conferirgli la carica di Colonnello Comandante del suddetto Reggimento de’ Nostri Dragoni, in vece del Conte Bonport altrimenti provvisto di nominarlo ad un tempo Brigadiere di Cavalleria nelle Nostre Armate, con dichiarazione, che per questa Carica dovrà misurare la sua anzianità dai 15 del corrente febbrajo. Colle presenti pertanto di Nostra certa scienza, e R.ia autorità, abbiamo eletto, creato, costituito e deputato, eleggiamo, creiamo, costituiamo, e deputiamo il prefato Marchese Giambattista Silvestro d’Oncieux de’ Chaffardon per Colonnello Comandante del Reggimento de’ Nr Dragoni invece del Conte Bonport altrimenti provvisto, e per Brigadiere di Cavalleria delle Nostre Armate, con tutti gli onori, autorità, prerogative, preminenze, privilegj, utili, dritti, ed ogni altra cosa a tali Cariche spettante, ed appartenente, e coll’annua paga di lire tre milla settecento ottanta quattro di Piemonte, un Trabante, alloggiamento, utensili, piazze di fieno, e biada, ed altre cose portate dallo stabilimento Nostro de 27 Agosto 1774, e dai successivi ordini Nostri, con ciò, che gli cessi quanto prima godeva, e presti il dovuto giuramento» (2).
Come spiegavo, il suo nome è principalmente legato alla celebre carica di cavalleria di Carassone, vicino alla cappella di San Pò (san Paolo), il 21 aprile 1796. L’esercito piemontese era in ritirata, sconfitto da Napoleone: i giorni dell’armistizio di Cherasco si avvicinavano. Mentre al Bricchetto di Mondovì ancora fervevano gli scontri d’armi, la cavalleria piemontese caricò e sconfisse i dragoni francesi comandati da Heinrich von Stengel, che venne mortalmente ferito nello scontro. Al comando dei cavalieri sabaudi c’era Jean-Baptiste-Silvestre d’Oncieu de Chaffardon. Gioachino Grassi di Santa Cristina, canonico della cattedrale di Mondovì, fece di quell’epica carica una dettagliata relazione:

«Due squadroni dei Dragoni del Re rimasti presso le rive di Carassone erano essi comandati dal loro Colonnello marchese di Chafardon, brigadiere d’armata, il quale vedendo il grave pericolo sovrastante all’infanteria di essere attacata alle spalle animato dal suo gran corraggio e dal giusto zelo di quello togliere, risolse di portarsi alla testa di coraggiosi suoi Dragoni ch’erano tutto al più cento a cavallo come consta dal ruolo che ne fu fatto ad affrontare la cavalleria nemica. […] Partirono tosto questi ben intrepidi pel campo di battaglia e passarono per evitare alcuni rigagnoli che avrebbero ritardato il buon posto de’ loro cavalli presso la Cassina detta la Violla dello spedale di Breo, indi dirigendo il loro cammino sempre verso mezza notte, poco tardarono a scoprire la Cavalleria nemica, ed a ravvisarla poscia coll’abito verde e dalli alti caschi essere composta di Dragoni. Allora accelerarono il passo ai loro destrieri i Dragoni piemontesi, e si sentì tra essi il bisbillo delle voci Diamogli che son francesi e intanto oltrepassarono la gran strada che conduce a Bene in poca distanza dalla negletta Capella di San Paolo. […] Restò lo stesso Colonnello al centro del corpo più numeroso condotto dal Cavaliere di Saluzzo Maggiore e dal Marchese della Chambre capitano della seconda compagnia del terzo squadrone e regolato dal Conte della Villa ajutante Maggiore coll’assistenza delli rispettivi altri bravi officiali dello stesso reggimento ed incorraggi i suoi soldati raccomandandogli non solo di tenersi bene uniti, ma anche di guardarsi sempre alla loro destra da qualche imboscata del nemico, poiché eranvi da quella parte case e molti alberi, cessato appena il fuoco dei volontarii leggieri fece suonar la Carica contro i non distanti Dragoni Repubblicani.

Stavano questi aspettando di piè fermo l’aggressor nemico contro que’ facevano fuoco specialmente li pochi suddetti esploratori francesi ed erano come dissi disposti in due separati corpi e non del tutto schierati, così che la linea de’ nostri Dragoni sebbene esistenti come si è veduto in minor numero dei Repubblicani, era però più di quella estesa. Appena arrivati i Dragoni del Re al tiro di pistola presso de’ nemici, li fecero una scarica addosso di esse indi quasi cingendoli urtarono così violentemente coi loro alti e robusti cavalli ne’ fianchi di quelli de’ francesi piccoli e smonti e rivolti pel pronto ordine dato dal generale Stengel sulla loro destra, che molti ne furono assieme ai loro cavalli a terra rovesciati, il che cominciò a disordinarli, ed essendo nello stesso tempo battuti fieramente dagli aggressori e colpito da tre ferite e al suolo caduto lo stesso loro generale Stengel dopo breve resistenza volsero le spalle ripigliando a bridda sciolta il cammino che fatto avevano prima lasciando ove passavano orme di sangue, uomini e cavalli feriti, e morti per i colpi reiterati delle taglienti sciable loro vibrati dai nostri vie più dalla vittoria animati Dragoni, che spietatamente per quei vasti campi li inseguivano (3)».
Vittorio Amedeo III, dopo la battaglia, conferì a Chaffardon la medaglia dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro. Gli stendardi dei dragoni furono decorati con due medaglie d’oro. Oggi, il luogo di questo scontro d’arme tanto significativo è ridotto ad una piana industriale, disseminata di casette e di capannoni. Solo una lapide, posta sulla cappella di San Pò, ricorda la battaglia.
Note:
(1) Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Patenti e Biglietti, reg. 69, c. 46.
(2) Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Patenti e Biglietti, reg. 99, c. 31.
(3) Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie militari, materie militari per categorie, imprese militari, mazzo 8; Relazione del fatto d’arme seguito presso il Mondovì nel giorno 21 Aprile 1796 tra la Cavalleria francese e due squadroni del Reggimento dei Dragoni del Re e della vittoria da questi riportata, scritta dal canonico Grassi di Sta Cristina Cavaliere de’ SS. Maurizio e Lazzaro.