di Paolo Barosso
La chiesa di San Peyre a Stroppo, intitolata ai santi Pietro e Paolo e posta a oltre 1200 metri d’altezza su uno sperone roccioso a strapiombo sulla valle Maira, rivestì il ruolo di parrocchiale sino al 1825 quando venne soppresso il titolo e sconsacrato l’attiguo cimitero.
Risalente al XII secolo, è assai semplice all’esterno, con facciata a capanna, portale pseudo-megalitico con arco a tutto sesto, sui cui è incisa una data di dubbia lettura (1092, 1292, 1492), e doppio campanile, il primo romanico a vela, il secondo gotico con alta cuspide ottagonale attorniata da quattro pilastrini.
L’interno si presenta asimmetrico, con tre navate, di cui quella centrale molto più ampia, doppia abside, e un dislivello di circa 10 centimetri tra la navata centrale e quella di destra. Da notare, tra navata centrale e presbiterio, la presenza di un elemento divisorio: un trave di grandi dimensioni, squadrato e dipinto, su cui è fissato un crocifisso seicentesco.
La struttura lignea è probabilmente il retaggio di un’antica tradizione legata a questioni liturgiche che nelle chiese orientali si esprime nella iconostasi, parete divisoria adorna di icone che ha la funzione di separare l’area presbiteriale o santuario, spazio deputato alla celebrazione dei misteri divini (Eucaristia), dalla navata, dove si radunano i fedeli.
La chiesa conserva preziosi affreschi, realizzati da quattro artisti diversi, il cui nome è rimasto ignoto, in un periodo ampio, compreso tra XIII e XVI secolo.
Nella parete di fondo dell’abside centrale campeggia la figura di Cristo in trono con un libro aperto e la schiera degli apostoli nella volta, mentre sull’arco risalta la scena dell’Annunciazione e, al di sopra della cappelletta del campanile, un San Cristoforo che traghetta il Bambino (San Cristoforo, descritto dalla tradizione come un gigante convertito alla fede cristiana, di solito rappresentato mentre trasporta sulle spalle Gesù ancora fanciullo da una sponda all’altra del fiume, è anche protettore dei viandanti, per questo è spesso raffigurato sulle facciate di chiese medioevali con dimensioni più grandi del normale, di modo tale che potesse essere visto facilmente da lontano). Nella cappelletta è invece affrescata una Madonna in trono tra San Pietro e Sant’Antonio Abate.
Si notano poi figure di santi, appartenenti alla tradizione iconografica e devozionale del territorio, come San Bernardo da Mentone che incatena il diavolo, San Sebastiano e San Rocco, entrambi invocati contro la peste, le sante Caterina e Barbara con i simboli del martirio (Santa Caterina con la ruota usata per il suo supplizio, Santa Barbara con la torre in cui fu imprigionata).
Di notevole interesse sono gli affreschi che ornano l’absidiola laterale, risalenti ai primi decenni del Quattrocento e attribuiti ad un pittore di ambito lombardo, che affronta con originalità temi importanti per la teologia cristiana: la Natività, l’Annuncio ai pastori, la Dormitio Virginis, l’Adorazione dei Magi.
La Dormitio Virginis è un tema iconografico che compare nei secoli centrali del Medioevo (i Bizantini cominciarono a raffigurarla nell’XI secolo) richiamandosi alla narrazione dei Vangeli apocrifi. Secondo la tradizione, già attestata nel V secolo in ambito siriaco e che poi si diffuse da Oriente a Occidente, la Madonna, tre giorni prima del trapasso (avvenuto forse a Efeso, forse a Gerusalemme), si addormentò, attorniata dagli apostoli, trasportati prodigiosamente dagli angeli al suo capezzale, e venne poi assunta in Cielo, sia nello spirito che nel corpo. La ricorrenza è inserita nel calendario delle chiese ortodosse, che festeggiano la Dormizione (Koimesis in greco, cioè “sonno della morte”) il 15 agosto, mentre nello stesso giorno i Cattolici celebrano l’Assunzione di Maria.
Della Dormitio Virginis esistono diverse varianti nella storia dell’arte cristiana: la Madonna può essere raffigurata coricata a letto e morente (o già spirata, come nella tradizione bizantina), talvolta con il letto posto di tre quarti e la Vergine ritratta quasi frontalmente; nella pittura tedesca del Quattrocento la si trova in ginocchio nell’atto di pregare, o seduta, infine anche distesa sul baldacchino, ma appoggiata a dei cuscini.
Nella scena dell’Annuncio ai pastori, troviamo tra le figure rappresentate un personaggio originale, che si lega alla cultura musicale del territorio: il pastore con la cornamusa, che mostra all’osservatore un’espressione di stupore per aver assistito all’annuncio della nascita del Salvatore.
La cornamusa, tra gli strumenti simbolo della musica popolare, è nota nella lingua parlata in queste valli, di matrice provenzale alpina, come piva o chabreta, dal materiale di cui è composta, la pelle del capretto.
Tutte le foto pubblicate sono state scattate da Roberto Beltramo