Testo e foto di Paolo Barosso 

Articolo scritto per Il Torinese 

Sino al 3 giugno il MAO (Museo d’Arte Orientale) di Torino ospita la mostra “I tesori esotici del duca. Selezione di opere orientali dal castello di Agliè” organizzata in collaborazione con il Polo Museale del Piemonte, ente che ha in gestione il castello ducale di Agliè.

Testa di Buddha in bronzo con tracce di doratura – Thailandia centro-meridionale, fine sec. XV 

L’esposizione, sistemata in una sala al piano nobile di palazzo Mazzonis, già Solaro della Chiusa, dimora nobiliare seicentesca che ospita il MAO, presenta in anteprima al pubblico una selezione di opere appartenenti alla collezione di oggetti d’arte e manufatti orientali conservati nel castello ducale di Agliè, dimora sabauda sita nel Canavese, a una quarantina di chilometri a nord di Torino. La residenza colpisce non solo per la grandiosità e varietà degli ambienti, ma anche per la ricchezza delle collezioni conservate, tra cui la raccolta ornitologica e quella asiatica, quest’ultima principalmente dovuta alla figura di Tomaso di Savoia duca di Genova (1854-1931) che durante i suoi viaggi in Estremo Oriente acquistò o ricevette in dono la gran parte dei manufatti poi radunati nella dimora di famiglia.

Maschere del teatro thailandese, collegate alla rappresentazione del poema epico nazionale Ramakien

La collezione di opere orientali, che sarà resa fruibile al pubblico presso il castello di Agliè una volta terminata la campagna di studio e restauro, comprende quattro aree geografiche-culturali, Giappone, Cina, Siam (oggi Thailandia) e Cina per Siam (ceramiche cinesi per committenza siamese), con l’aggiunta di un reperto coreano e un altro, un tamburo rituale (visibile in mostra), di area birmana. Due sono invece i nuclei di provenienza delle opere: il primo deriva dalle collezioni di Tomaso di Savoia-Genova, il secondo dagli acquisti dell’ingegner Giuseppe Canova.

Quest’ultimo si recò in Siam come progettista della prima ferrovia da Bangkok a Phetchaburi seguendo le orme di altri italiani, e in particolare piemontesi, giunti in Asia a cavallo tra Otto e Novecento per mettere le proprie competenze al servizio di Paesi che si stavano modernizzando. Interessante in questo senso è scoprire quali nuclei di reperti conservati al MAO o in altri musei torinesi derivino appunto da acquisti effettuati o doni ricevuti da tecnici e funzionari piemontesi che si recarono in Oriente per ragioni di lavoro, diventando poi collezionisti di manufatti esotici.

Porcellane Bencharong, realizzate in Cina per il mercato siamese

Tornando alla figura principale coinvolta nella formazione della raccolta di Agliè, il duca Tomaso di Savoia-Genova, questi era figlio di Ferdinando, fratello minore di Vittorio Emanuele II, e della principessa Elisabetta di Sassonia. Rimasto orfano di padre, morto di tubercolosi a soli 33 anni, venne affidato alla tutela del principe di Carignano Eugenio di Savoia, che indirizzò Tomaso alla carriera militare, inviandolo in Inghilterra, scelta non usuale per principi di casa Savoia, a studiare marineria. In veste di ufficiale della marina compì la circumnavigazione del globo tra 1872 e 1874, ma fu soprattutto il viaggio intrapreso in Asia orientale tra 1879 e 1881 al comando della corvetta Vittor Pisani a consentirgli di entrare più profondamente in contatto con quelle culture orientali da cui provengono i reperti raccolti ad Agliè, acquistati come souvenir di viaggio o ricevuti come dono diplomatico da personaggi d’alto rango, come l’imperatore del Giappone e il re del Siam Rama V.

Ceramiche cinesi del tipo bianca e blu e con iconografie benaugurali come rami di pesco e peonie

Tra i manufatti acquisiti dal duca, che andarono poi in parte dispersi quando la dimora di famiglia, il castello di Agliè, venne ceduta allo Stato nel 1939, appaiono preponderanti le ceramiche, in particolare le preziose porcellane cinesi, cui appartiene il grande vaso del periodo Qing in porcellana craquelé decorata a smalti policromi esposto in mostra.

Non mancano però oggetti d’arte di materiali diversi, come le opere pittoriche di produzione giapponese, cui si riconduce il bellissimo dipinto su carta realizzato a quattro mani, forse su commissione dello stesso Tomaso durante un shogakai, incontro pubblico di pittura e calligrafia, raffigurante un’elegante cortigiana con il suo servitore, immagine riprodotta sulla locandina della mostra, e manufatti d’uso comune, tra cui un risciò (non presente in mostra), recante lo scudo sabaudo, donato al duca dall’imprenditore della seta Carlo Giussani per i suoi spostamenti nelle regioni interne del Giappone, e un copricapo coreano Gat (XIX sec) a larga tesa tradizionalmente adoperato in estate per ripararsi da “mosche e zanzare”, come si legge sulle memorie di viaggio.

Scalone di palazzo Mazzonis, già Solaro della Chiusa, che oggi ospita le collezioni d’arte orientale del MAO

Di particolare importanza come occasione per implementare la raccolta fu l’incontro di Tomaso con Rama V, re del Siam, che a quel tempo, nel 1881, era in lutto per l’improvvisa perdita dell’amata sovrana. Tomaso assistette alle cerimonie in onore della defunta e alcuni oggetti presenti ad Agliè sono riferibili proprio a questo evento, in particolare le riproduzioni di modelli di barche da parata cerimoniale utilizzate per l’occasione. Afferenti alla cultura siamese, e visibili in mostra, sono anche la grande testa di Buddha in bronzo con tracce di doratura, risalente a fine XV secolo, e le maschere dei personaggi del poema Ramakien indossate dagli attori del dramma Khon.

I viaggi compiuti da Tomaso s’inseriscono in un contesto più ampio in cui si stava affermando la consuetudine di organizzare spedizioni in Oriente per allacciare relazioni diplomatiche o per scopi commerciali: significativo è in questo senso il trattato di amicizia e commercio stipulato a Parigi nel 1857 tra Regno di Sardegna e Persia, poi confermato come accordo italo-persiano nel 1862 a Teheran, che consentì l’afflusso a Torino di materiali confluiti nelle raccolte di scienze naturali. Il gusto per l’Oriente s’era però affermato già da tempo, entrando sin dal Settecento nell’arredo delle residenze sabaude e delle dimore aristocratiche, impreziosite da chinoiseries, manufatti di provenienza asiatica, talvolta adattati a nuove funzioni (ad esempio vasi cinesi adattati a lumi a petrolio) e oggetti realizzati in Occidente imitando modelli orientali.

La visita alla mostra vuole anche essere un invito a scoprire il castello di Agliè, magnifico esempio di residenza sabauda extraurbana che cominciò a svilupparsi nelle forme in cui oggi la contempliamo alla metà del Seicento quando l’allora proprietario, il conte Filippo San Martino d’Agliè, sentimentalmente legato alla prima Madama Reale, Cristina di Francia, volle trasformare la fortezza di famiglia, d’impianto medioevale, in residenza aulica, in grado di rivaleggiare con il palazzo ducale di Torino, chiamandovi a lavorare Amedeo di Castellamonte.

Il castello ducale di Agliè

Le successive stagioni di rinnovamento si situano nella seconda metà del Settecento, per opera di Ignazio Birago di Borgaro, dopo che nel 1763 re Carlo Emanuele III di Savoia aveva acquistato il castello dai San Martino per darlo in appannaggio al secondogenito, nato dalla terza moglie, Benedetto Maurizio duca del Chiablese, e nel periodo della Restaurazione sabauda, per opera di re Carlo Felice e della consorte, Maria Cristina di Borbone-Napoli, che affidarono i lavori a Michele Borda di Saluzzo. Con la morte di Maria Cristina il castello passò infine per eredità ai duchi di Savoia-Genova, che ne fecero la loro dimora, privilegiando la funzionalità degli arredi sulle esigenze di rappresentatività e apportando quindi modifiche non sempre in linea con la vocazione originaria degli ambienti.