Vi presentiamo a partire dall’appuntamento odierno una serie di episodi raccontati da Cristina Quaranta*, “torinese e roerina in egual misura”, che, appassionata e meticolosa indagatrice di archivi, riporta alla luce storie minute ambientate nella Torino popolare del Settecento, mettendo in luce aspetti caratteristici della mentalità e del modus vivendi dei torinesi del tempo

di Cristina Quaranta

ASCTo, Vicariato, Giochi Proibiti, 1789-1798

L’altro giorno Gaetano Boriglione è stato visto in pubblico mentre si prendeva 12 nerbate sul groppone e appeso al collo portava “un cartello dicente: giuocatore di giuochi proibiti”, poi venne portato alle carceri per quattro lunghi mesi.

Dettaglio di un cassettone attribuito all’ebanista regio Pietro Piffetti (1701-1777) con intarsi in avorio e tartaruga raffiguranti carte da gioco sparpagliate

Un altro fu applicato alla corda per almeno un quarto d’ora e dopo che il pubblico si sparpagliò per far ritorno ai propri affari, venne scortato in carcere: dovrà scontare ancora due mesi di pena detentiva. Era un giocatore, è un giocatore e sarà un giocatore nonostante le pene e le umiliazioni che dovrà subire proprio per essere giuocatore di giuochi proibiti per decreto regio del 4 marzo 1788.

Una persona che non vuol essere nominata ha segnalato che in casa Richelmy, nell’Isola San Gregorio al terzo piano è tenuta una bisca proprio dal signor Boriglione, nonostante la proibizione per decreto, “si tiene il giuoco della Bassetta solitamente la notte ed alcune volte di giorno dalle ore 3 dopo il mezzogiorno sino a sera con tante persone”.

La soffiata dell’ignoto signore cadeva come il cacio sui maccheroni, infatti era da qualche giorno oramai che al conte Vicario non ne arrivava una simile a questa: sul suo tavolo solo ordinaria amministrazione, solo arresti di poco conto. Ora può “incombenzare” di gran carriera tutti gli Arcieri disponibili, quelli a piedi aggiungendo qualche Guardia a cavallo[1] per poter sorprendere gli avventori della bisca clandestina.

Giuseppe Maria Mitelli, Zugh d’i tutti zugh (“Gioco di tutti i giochi”), 1702 – da www.piermarini.it

I gendarmi sono entrati cogliendo tutti di sorpresa, giocatori, biscazziere e servitori in livrea. Un tavolo quadrato coperto da un tappeto verde con due candelieri a due bracci aventi le candele accese e le persone sedute la dicevano lunga: si stava giocando alla Bassetta e probabilmente qualcuno di loro stava perdendo somme ingenti come spesso accade.

Il primo signore si è qualificato come Adriano Audifredi, giovane patrizio di provincia, ha ancora le carte in mano e sembrava le stesse “tagliando”. Il proprietario tenta una precipitosa fuga ma è colto dalle Guardie in fondo alle scale. Tutti bloccati, dunque, i giocatori ora sono nelle mani della Giustizia.

Si appura che appartengono tutti ad un ceto sociale di rilevante livello: le pene per loro saranno solo pecuniarie, per loro nessuna tirata di corda e nessun cartello appeso al collo, nessuno di loro sarà messo alla berlina. Vengono richieste a tutti le generalità, scoprendo così che ai tavoli da gioco quella sera sedevano un figlio di famiglia di Guarene, un chierico, un forestiero di Cherasco e un negoziante di stoffe in seta con un patrimonio dichiarato ammontante a 50.000 lire. Il più “povero” fra loro sembra essere un sostituto Procuratore che vive ancora della dote della madre di 8.000 lire costretto ahimè a condividere col fratello.

La minuziosa perquisizione degli ambienti ha portato alla luce ben 19 mazzi di carte da gioco, nuovi e sigillati, altri 24 sono spuntati fuori da un vecchio burò insieme alle marche, e alcune carte sparse si sono trovate a terra, finite sotto il tavolo, con la caratteristica d’avere una leggera piegatura su di un angolo.

Veduta dei Quartieri Militari di Torino entrando per la Porta Susina – da un’antica incisione (www.torinostoria.com)

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Il gioco de’ Lansquinett si giocava spesso all’Osteria della Caccia e non solo. Poco fuori Porta Susina in un sito detto “dei salici” si vocifera da tempo che un gruppo di giovani oziosi e donne che si accompagnano a loro, tengano giochi proibiti come il Lansquinett per l’appunto e menar vita disonesta.

Le doglianze all’Ufficio di Pulizia si fanno sempre più insistenti e richiedono un intervento urgente: tra quel gruppo di giovani, oltre agli sfaccendati vi sono evasi dalle prigioni,  detenuti più volte per furti di vario genere, che con la loro condotta scandalosa portano disturbo alla gente per bene. Tutto questo dà al conte Radicati il pretesto di organizzare una cattura a sorpresa.

Arcieri e Guardie sono scortati dalla Cavalleria e “fatto poi semicircolo si avanza per prenderli nel miglior modo e di sorpresa”. Purtroppo le manovre così tanto studiate non ottengono l’effetto sperato: il drappello di Guardie e la Cavalleria viene scorta da lontano e i furfanti hanno avuto il tempo di tentare la fuga “per non cadere nelle forze”; fortunatamente non tutti: alcuni vengono arrestati.

Una decina di uomini in età compresa tra i venti e i trentacinque anni, uno di questi evaso e da molto tempo ricercato,  insieme a sei donne di mala vita vengono tradotti nelle carceri delle Torri. Il corpo del reato, cioè le carte da gioco vengono trovate a terra, ultimo gesto per non essere presi in flagranza di reato.

Un’antica incisione con la Porta Palatina, adibita a carcere tra il 1724 e il 1872 

[1] “al fin di sorprendere li intervenienti a tal giuoco. Si è creduto di tentar la sorpresa in questo dopo pranzo nel trasferirci alla porta di detta abitazione alle ore 4 e mezza di Francia con gli aiutanti scortati da sei Ordinanze e sette Guardie civiche compreso il Caporale. Così gionti avendo noi fatto suonare in un sol colpo li 2 campanelli avanti le due cordicelle ivi pendenti per usar il segnale proprio degli ammessi al giuoco, stato opportunamente confidato dalla persona segreta, siasi così aperta la porta per la quale siasi introdotto l’Aiutante con la scorta e subito poi tutti gli altri”.

Note biografiche dell’autrice

*Cristina Quaranta, torinese e roerina in egual misura, è costumista teatrale col vizio di scrivere atti unici per rievocazioni storiche. Cerca nella Storia del ‘700, o meglio negli archivi, storie minute, riguardanti in particolare “donne del popolo” (ma non solo), che per qualche motivo hanno lasciato traccia a seguito della vita cattiva oppure onesta e tribolata che si sono trovate a condurre. Ogni cosa di loro, infatti, anche la più banale come “la dote, il fardello o il testamento” o l’arresto e la detenzione nelle Torri, ci può raccontare un’esistenza.

Ha vinto il premio letterario Carlo Alberto Dalla Chiesa 2007 e collabora alla rivista Roero Terra Ritrovata nata per la salvaguardia e la diffusione della memoria storica del territorio.

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