di Paolo Barosso

All’imboccatura della valle di Susa, sull’orlo della conca morenica che testimonia l’espansione dei ghiacciai avvenuta in epoche remote, sorge l’abitato di Avigliana. La cittadina, oggi centro residenziale e rinomata meta turistica, anche per la prossimità ai due bacini lacustri, il lago Piccolo e il lago Grande, d’origine glaciale, conserva importanti segni architettonici e artistici del glorioso passato, che la vide raggiungere il massimo splendore tra XI e XIV secolo, dapprima sotto l’autorità dei marchesi arduinici di Torino e poi con i conti di Savoia, che vi risiedettero per lunghi periodi in particolare durante il Trecento.

Scorcio del “Borgo Nuovo” di Avigliana con il campanile cuspidato di San Giovanni e la Torre dell’Orologio

Il nucleo medievale, formato da più borghi sorti in epoche diverse – Borgo Nuovo, Borgo Vecchio o di Santa Maria, Borgo San Pietro, Borgo Ferronia – s’inerpica sui fianchi della collina, sovrastato dall’altura, chiamata monte Pezzulano, che accoglie alla sommità gli affascinanti ruderi del castello, imponente costruzione in pietra appartenuta dapprima agli Arduinici di Torino (fu il marchese Arduino il Glabro a erigerlo nel X secolo) e poi ai conti di Savoia.

Veduta di Avigliana con i ruderi del castello sulla sommità del monte Pezzulano

Distrutto a più riprese, venne incendiato per l’ultima volta nel 1691 per mano dei francesi al comando del generale Catinat, che vanificarono i tentativi di ricostruzione (mai portati a compimento) avviati nel 1629 dall’architetto Carlo di Castellamonte su commissione del duca Carlo Emanuele I e proseguiti con gli interventi di riparazione e consolidamento realizzati dopo il trattato di Cherasco del 1631.

Il castello di Avigliana come appare dalla chiesa di San Pietro

L’altura, facilmente raggiungibile, è un formidabile punto di osservazione sulla basse valla di Susa, per vocazione storica territorio di transito per viandanti, pellegrini, mercanti ed eserciti. La vista che si gode dagli spalti del castello abbraccia anche uno dei nuclei storici di Avigliana, il Borgo San Pietro, che ospita uno degli edifici medioevali più importanti della città, la chiesa di San Pietro, che si caratterizza per una commistione di elementi romanici e sovrapposizioni gotiche, evidenziate dagli svettanti pinnacoli in cotto.

Il campanile della chiesa di San Pietro visto dalla cancellata d’ingresso al camposanto

Originaria forse del X secolo, la chiesa si trova su un’altura, in posizione dominante, attorniata da un vecchio cimitero ormai in disuso: un tempo svolgeva però le funzioni di parrocchiale, che cessarono nel 1320, quando tale ruolo passò alla chiesa di San Giovanni e Pietro, nel Borgo Nuovo, anch’essa importante nel panorama architettonico di Avigliana perché conserva intatto l’aspetto esterno trecentesco, rimaneggiato nel XV secolo con l’aggiunta dell’alta ghimberga e del campanile cuspidato abbellito da scodelle maiolicate (all’interno preziose pitture, tra cui diverse opere del maestro chivassese Defendente Ferrari).

Veduta dell’area absidale della chiesa di San Pietro con il campanile

La chiesa di San Pietro, passata nel 1205 dalla giurisdizione della Prevostura di San Lorenzo d’Oulx a quella dell’Ospizio del Moncenisio, sorprende per il composito corredo di affreschi che ornano l’interno, realizzati in un arco temporale che va dall’XI secolo al tardo Quattrocento. Di particolare valore, come documentazione storica, è l’affresco che raffigura il castello di Avigliana come doveva apparire nel XV secolo, forse l’unica testimonianza grafica capace di restituirci l’immagine della fortezza sabauda nel suo aspetto originario (pur con qualche errore di prospettiva).

Veduta d’assieme dei cicli di affreschi dell’area absidale

Alle campagne pittoriche più antiche appartengono la decorazione aniconica dell’arco absidale, con motivi geometrici, simboli e scritte realizzate a monocromo rosso su sfondo bianco, e alcuni lacerti raffiguranti gli apostoli nel lato destro del semicilindro dell’abside.

Dettaglio della teoria degli apostoli

Seguono altre fasi, riconducibili a periodi diversi, dalla fine del XII secolo sino alla seconda metà del Duecento, ma gli affreschi più significativi dal punto di artistico sono quelli attribuiti al cosiddetto “Maestro di Tommaso d’Acaia”, che li eseguì tra il 1348 e il 1362. Tra questi si evidenziano il Cristo in Maestà, la teoria degli apostoli e i simboli degli Evangelisti nel vano absidale, l’Annunciazione e Caino con Abele nell’arco santo, la Madonna della Misericordia e San Michele nella parete sinistra, San Giorgio e un angelo nella parete destra.

L’absidiola destra con gli affreschi attribuiti all’alessandrino Pitterio

Oltre agli interventi del cosiddetto “Maestro di San Domenico” (Madonna con due sante e santa Caterina nella controfacciata), cui si attribuisce il ciclo di affreschi nella chiesa conventuale di San Domenico a Torino, altre campagne pittoriche vennero commissionate tra la fine del Trecento e il XV secolo, con i lavori dell’alessandrino Giacomo Pitterio (fine Trecento) e della bottega pinerolese dei Serra, autori del ciclo delle storie di San Giuseppe e della Maddalena.

Dettaglio del ciclo dedicato alle storie di San Giuseppe e della Madonna

In parte legata alla chiesa di San Pietro è la drammatica vicenda di Filippo d’Acaia, figlio di Sibilla del Balzo e di Giacomo, principe di Savoia-Acaia, cugino e vassallo del Conte Verde, Amedeo VI di Savoia. Il giovane Filippo, alla morte del padre, avvenuta nel 1367, venne diseredato e spogliato dei diritti di successione sui domini piemontesi dei principi d’Acaia in favore dei fratellastri, figli di Margherita di Beaujeu, che era convolata in seconde nozze con Giacomo.

Umiliato dal testamento paterno, che lo escludeva dal potere, Filippo si risolse alla ribellione, cercando l’appoggio del marchese di Saluzzo, Federico II, e d’una banda di mercenari comandati da un tedesco, soprannominato il monaco Heckz, e sfidando sul campo il cugino Conte Verde, uomo di grande intelligenza e acume politico. Indotto a rinunciare ai propositi bellici, anche per le minacce del Visconti d’intervenire in sostegno ad Amedeo VI, Filippo si ritirò nella fortezza di Vigone nel pinerolese, ma di lì a poco, convocato con un pretesto nel castello di Rivoli, fu rinchiuso nelle prigioni della fortezza di Avigliana, in attesa che si istruisse il processo per le accuse rivoltegli dalla matrigna, la bella e intrigante Margherita, vedova del padre Giacomo.

Dettaglio del ciclo dedicato alle storie di San Giuseppe e della Madonna

Come racconta lo storico piemontese Francesco Cordero di Pamparato nel suo libro “Nobili morti”, accurata e avvincente indagine sulle morti di alcuni personaggi illustri del Medioevo piemontese, avvenute in circostanze misteriose o mai chiarite, dopo il 20 dicembre 1367 si perde ogni traccia dell’esistenza in vita dello sventurato Filippo: a questa data risale infatti la menzione, nei registri contabili del castello di Avigliana, delle ultime spese sostenute per il mantenimento del prigioniero.

Maria José di Sassonia Coburgo-Gotha, sposa del “Re di maggio”, Umberto II, e autrice di importanti ricerche storiche sulle origini della dinastia sabauda, scrive che “selon la rumeur publique” (secondo la voce popolare) il principe fu giustiziato, forse per strangolamento o più probabilmente, in base a un tipo di condanna in uso nei domini sabaudi nei confronti di personaggi altolocati colpevoli di delitti contro lo Stato, annegato nelle gelide acque del lago di Avigliana, stessa sorte che capitò più tardi a due cancellieri di Savoia, Guglielmo Bolomier e Giacomo Valperga, affogati nel lago di Ginevra.

La Pietà (1469) attribuita a Antoine de Lonhy, pittore borgognone legato alla corte di Savoia.

Come narra Cordero di Pamparato, negli scritti del padre cappuccino Placido Bacco, studioso di storia valsusina e sabauda vissuto nell’Ottocento, si fa cenno a un ritrovamento di ossa nella cripta della chiesa di San Pietro ad Avigliana, rinvenute sotto una lastra recante lo stemma sabaudo. L’ipotesi è che i resti mortali appartenessero all’infelice Filippo, giustiziato e poi inumato nella cripta di San Pietro.    

C’è invece chi ritiene, basandosi sul ritrovamento di antiche carte nel convento delle Domenicane ad Alba, dove visse e spirò suor Filippina (o Filippa) de’ Storgi, al secolo Umberta, figlia di Filippo di Savoia-Acaia, che lo sventurato principe si sia miracolosamente salvato dall’annegamento nelle acque del lago di Avigliana, grazie all’intercessione del beato Umberto III di Savoia (1136-1189), cui era profondamente devoto.

Secondo la ricostruzione della studiosa Cristina Siccardi, dopo il salvataggio Filippo si sarebbe recato nella penisola iberica, raggiungendo la località di Fatima in Portogallo e scoprendo, qui, la tomba dimenticata di un’antenata sabauda, Mafalda di Savoia, sorella del beato Umberto III e sposa del primo re del Portogallo, Alfonso Henriques (1109-1185). Indossate le vesti del pellegrino, Filippo sarebbe infine tornato in Piemonte, per rintracciare la figlia Umberta, e qui sarebbe spirato intorno al 1418, dopo aver rivelato la propria identità alla nipote, beata Margherita di Savoia-Acaia, che aveva fondato il convento delle Domenicane in Alba ed era Madre Superiora della stessa figlia Umberta, conosciuta come suor Filippina de’ Storgi.