di Arconte

Questa storia inizia verso le ore quattro del pomeriggio  del 24 settembre 1869, quando un contadino tutto affannato giunge alla stazione dei carabinieri di Pancalieri. Ansante e spaventato, il contadino narra al brigadiere Carlo Fornelli di avere visto in un vigneto del territorio di Lombriasco quattro giovinastri che oziavano, coricati sotto un filare, e che dovevano avere cattive intenzioni, perché ha notato vicino a loro molte armi da fuoco, fucili a trombone e pistole.

Il brigadiere Fornelli, conscio della pericolosa situazione, mette insieme una pattuglia formata da cinque militari, i carabinieri Pietro Bonacina, Francesco Robbiano, Giovanni Ridoli, Pietro Gamba e Daniele Dalmazzo. Si avviano, armati delle loro carabine, rivoltelle e manette, in direzione della località indicata.

Giungono nel vigneto di Lombriasco verso le cinque del pomeriggio. Uno dei giovani sospetti si accorge dell’arrivo dei militari e dà l’allarme ai suoi compari: tutti quattro caricano le armi, e appena i carabinieri giungono a portata di fucile, spararono e feriscono Bonacina e Robbiano.

Alla scarica, i carabinieri rispondono con un’altra scarica, feriscono a loro volta anche qualcuno dei malandrini, i quali si danno alla fuga, sparando pistole e tromboni man mano che li possono caricare contro  i carabinieri che li inseguono.

Il brigadiere Fornelli sta già per afferrare il giovane che ha dato l’allarme, il quale affrontandolo, gli spara contro quasi a bruciapelo la pistola. Il colpo lo manca ed i carabinieri, con una nuova scarica, lo stendono morto al suolo.

Poi tutti i carabinieri inseguono gli altri tre, li raggiungono e avviene tra loro una lunga e sanguinosa lotta che dura più di mezz’ora, nella quale malandrini e carabinieri rimangono tutti più o meno gravemente feriti. Alla fine, i carabinieri hanno la meglio, e i tre malfattori, ben legati, vengono condotti con un carro in caserma.

I quattro facinorosi sono identificati. Tre sono fratelli, i fratelli Sperone, nativi di Canale:

Battista, di ventitré anni, cenciaiolo abitante a Poirino e Giuseppe, di ventinove anni, abitante a Santena. Il terzo fratello, Giovanni, il più giovane perché appena ventenne, è rimasto ucciso nello scontro a fuoco coi carabinieri. Il quarto complice, più anziano, è Lorenzo Varrone, di quarant’anni, contadino di Santena. In caserma, prima di essere inviati nel carcere di Pinerolo, gli arrestati sono interrogati dal pretore di Pancalieri, l’avvocato Luciano. Mentre Lorenzo Varrone non vuole saperne di ammettere nessuna responsabilità e persisterà nel negare ogni addebito,  i fratelli Battista e Giuseppe Sperone si dimostrano particolarmente disposti a collaborare con la giustizia. Al pretore Luciano confessano una lunga serie di grassazioni, cioè rapine accompagnate da violenza, da loro compiute, anche con la complicità di  Lorenzo Varrone.

Prima di addentrarci nella ricostruzione delle imprese criminose dei fratelli Sperone, che si estendono a svariate zone del Piemonte, bisogna fare un cenno sulla particolare situazione del regno d’Italia nell’anno 1869. A livello nazionale, nel 1869, dopo l’istituzione della impopolare tassa sul macinato, scoppiano tumulti popolari, anche con dei morti fra i manifestanti. Del pari travagliata appare la situazione torinese, subito dopo il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. A Torino si riscontra una grave crisi economica ed una recrudescenza della criminalità comune, veramente scatenata. Si sono verificati misteriosi omicidi, inquietanti aggressioni, seguite da accesi dibattiti sulla inefficienza della Questura e sui possibili miglioramenti organizzativi per una più efficace tutela della sicurezza dei cittadini.

Panorama di Torino dal monte dei Cappuccini nel 1889

Si potrebbe ritenere che, in questo difficile momento, l’arresto eseguito dai carabinieri a Lombriasco venga enfatizzato dalla stampa torinese per i suoi aspetti rassicuranti: pericolosi malfattori sono stati assicurati alla giustizia dall’impegno e dalla abnegazione delle forze dell’ordine. Invece, la notizia non compare sulla Gazzetta Piemontese, anche per la concomitanza di un clamoroso fatto di cronaca nera francese: la scoperta a Pantin, nella periferia parigina, dei cadaveri delle vittime di Jean Baptiste Troppmann, che risulterà aver ucciso l’intera famiglia Kinck, formata da otto persone, i genitori e i loro sei figli. Così la sensazionale e grandguignolesca notizia francese viene a prevalere sulla “provinciale” notizia piemontese.

Per la ricostruzione delle imprese criminose dei fratelli Sperone ci affidiamo alla vivace narrazione fatta dal cronista giudiziario Curzio nella Gazzetta Piemontese del 13 luglio 1872.

Scrive Curzio: «Moltissime grassazioni si perpetrarono nel 1869 in Piemonte, e molte delle medesime furono commesse dai terribili fratelli Sperone, in unione, per alcune, con certo Lorenzo Varrone da Santena.

Delle venti e più grassazioni confessate dagli Sperone, noi non possiamo occuparci che di sei, perché la giustizia istruì il processo soltanto per sei, attesa la impossibilità di trovare i grassati ed i testimoni per le altre.

Ci occupiamo anche di un mancato assassinio e della ribellione da quei  malfattori commessa nell’atto del loro arresto, ribellione che ha pochi esempi negli annali giudiziari per l’accanita lotta sostenuta dai malandrini e dai carabinieri e pel sangue sparso in tale circostanza.

I fratelli Sperone sono nati in Canale, e chiamati Giovanni, Giuseppe e Battista. Il più feroce di loro era Giovanni, sebbene sia il più giovane: conta appena venti anni di sua vita.

Egli, in unione di altri individui rimasti sconosciuti, commise grassazioni audacissime, e come si sentì abbastanza forte, audace ed esperto nell’arte del malfare, abbandonò i suoi compagni a cui doveva obbedire, e si fece capo di una nuova banda di grassatori, alla quale indusse a prender parte i fratelli Giuseppe e Battista.

Nel giorno 9 aprile 1869, armando di tutto punto con pistole, tromboni e coltelli Giuseppe, Battista, non che Lorenzo Varrone, li condusse sulla strada provinciale di Alba, al ponte detto del Mabucco, in territorio di Diano d’Alba, dove doveva passare la corriera d’Alba che ogni giorno va a Cortemilia.

Verso le ore 10 e mezza antimeridiane di quel giorno passava appunto per quel luogo la corriera guidata da Domenico Ravassa.

Sul sedile, assieme al conduttore, stavano il cavalier Giuseppe Patetta, esattore del mandamento di Sommariva del Bosco, ed il chirurgo Luigi Canonica, e nell’interno della vettura, vi si trovavano don Fiorenzo Bonino, rettore del collegio di Cortemilia, e don Giovanni Abbona, parroco di Scaletta. Ad un tratto, sentono gridare: – Ferma, ferma!

I quattro grassatori erano sbucati da un burrone, e Giovani Sperone col trombone rivolto a Ravassa, correndo davanti ai cavalli, ripeteva: – Ferma, ferma, altrimenti sei morto!

I suoi compagni intimarono ai viaggiatori di discendere, dicendo: – A l’è la miseria ch’an fa fé sossì, vogliamo il denaro.

Alcuni viaggiatori vorrebbero fare osservazioni, ma la bocca dei tromboni e delle pistole loro impone il silenzio.

Li frugarono e li spogliarono tutti, togliendo a Ravassa lire 160, all’esattore Patetta lire 200 ed agli altri altre somme, che in tutto ascendono a lire 600 circa, oltre gli orologi ed alcuni piccoli coltelli.

Ciò fatto, i grassatori impongono ai viaggiatori di far silenzio, e si avviano verso Diano, indi verso Trezzo, poi alla Loggia ove prendono una refezione, e per ultimo, dopo aver diviso il bottino, ritornano ciascuno alle rispettive abitazioni, poste per Giuseppe Sperone a Canale, per Giovanni e Battista a Poirino e per Varrone a Santena.

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