di Arconte

Abbiamo ricordato al 17 febbraio l’anniversario della nascita di Alberto Viriglio, scrittore e poeta torinese. Torniamo a parlare del Nostro e proponiamo un suo gradevole studio, intitolato «Il giuoco ed il dialetto torinese», apparso nel 1900 nell’«Archivio per lo Studio delle Tradizioni Popolari», prestigiosa rivista diretta da G. Pitrè e S. Salomone Marino.

La grafia è quella originale proposta dallo stesso Viriglio che prevede l’uso del segno “ô” per indicare il suono di “u” italiana che nella grafìa piemontèisa moderna si rende con “o”.

Il giuoco ed il dialetto torinese.

Nel contare le carte che si distribuiscono pel giuoco di tarocchi, chi tiene il mazzo usa spesso accompagnare la distribuzione con una cantilena rimata

Un, dôi, tre, quat,

La marghera l’a fait un gat,

A la falô patanù,

Ch’a môstrava tut ël cù:

Disset, disdeut, disneuv e vint.

(Uno; due, tre, quattro, – la lattivendola ha partorito un gatto – lo ha fatto nudo – che mostrava tutto il culo – diciassette, diciotto, diciannove e venti).

Ad ogni verso cadono ritmicamente quattro carte, epperciò la cantilena sostituisce il conto dal cinque al sedici.

Il giuoco di tarocco è indicato comunemente colla giocosa locuzione: Scôpassè ‘Bagat (Schiaffeggiare Bagatto). Varie carte di trionfo o carte semplici si designano con un sinonimo scherzevole, che cela spesso un senso grassetto:

VI. Gli Sposi: L’Angel o le Matote d’ Savian, Angelo o Ragazze di Savigliano.

XIII. La Morte: La grisa, La grigia; L’Angel d’ Môntanar, L’Angelo di Montanaro.

XV. Il Diavolo: Braie bleu, Calzoni azzurri; Bale vische, Palle accese, Garibaldi.

XVI. La Torre: l’ prôibì, Il proibito ; Côl ch’a l’an tuti, quello che hanno tutti.

XVIII. La Luna: Côla ch’a fa ciair a ‘nde rôbè le siôle, Quella che fa lume a andar rubar le cipolle.

XIX. Il Sole: Côl ch’a fa madurè la melia, Quello che fa maturare la meliga.

Il due di spade: Cia, diminutivo di Lucia.

L’asso di bastoni: L’ suaman d’ le serve, Lo asciugamani delle fantesche.

Gruppo di Re, Dama, Cavallo e Fante: Barsigôla, Piccola bazzica.

Gruppo di Angelo, Bagatto e Pazzo (XX-I-O): Mitigati.

Tarocchi piemontesi

Moltissimi modi di dire, comunissimi, hanno base nel giuoco delle carte e dei tarocchi:

Avei ‘l mass ’n man, Avere il mazzo in mano, Dice sempre tutto lui.

Vôltè le carte ‘n man, Voltare le carte in mano, Tentare un inganno.

Cambiè daita, Cambiare data (modo di dare), Mutare sistema.

Giughè una carta, Giuocare una carta, Tentare un colpo.

Scartè Bagat, Scartare Bagatto, Deviare dal retto cammino.

Rispônde piche, Rispondere picche, Ricusare.

Caschè sôt la côpà, Cadere sotto la tagliata, Venire sotto la dipendenza.

Chi veul nen l’as a pïa ‘l dôi, Chi non vuole l’asso prende il due, Sono tutti e due uguali e cattivi.

Tarocchi piemontesi

Lassesse piè Bagat da dnanss, Lasciarsi pigliar Bagatto d’innanzi, Essere imbecille eccessivamente.

Piè ’l dôi da côpe, Prendere il due da coppe, Scappare.

Fè una surtìa neuva, Fare una sortita nuova, Tirare fuori un argomento strano.

L’as da fiôr, L’asso di fiori, Il deretano.

Avei Angel e Mônd, Avere Angelo (XX) e Mondo (XXI), Aver tutti i mezzi di riuscire.

Nel giuoco delle boccie:

Tirè da gieugh, Tirare da giuoco, Star nelle regole.

A bocie fërme, A boccie ferme, A cose finite.

Nel giuoco del pallone:

Marchè le casse, Segnare le caccie, Rilevare ogni detto e criticarlo.

E persino nel giuoco del lotto!

Piè un quaterno, Prendere un quaterno, Cadere per terra.

L’amore del dialetto per il traslato sorge pure nel giuoco della tombola (lotò): è raro che nelle serene riunioni di famiglia allietate dal «dilettevole» giuoco, alcuni numeri scaturiti dal sacchetto si dichiarino pedestremente per il rispettivo valore: la metafora non abdica i suoi diritti imprescrittibili.

1. L’ pi pcit d’ la nià, Il più piccino della nidiata.

2. L’ dôi d’ l’euli, Il vasetto (doglio) dell’olio.

4. La cadrega, La sedia.

8. Le bàricôle, Gli occhiali.

10. La pôlenta, La polenta.

13. La grisa, La Grigia.

16. L’ cul dle cusinere, Il deretano delle cuoche.

33. La marcia d’ j canoniè, La marcia dei cannonieri.

77. Passa la doira, Attraversa il ruscello.

77. Le gambe d ’ le fie, Le gambe delle ragazze.

88. Le marghere d’ Cavôret, Le lattivendole di Cavoretto.

Al 30 (Tranta), 40 (Quaranta) etc. si fa sempre la rima «Tut ‘l mônd a canta», rima che è puramente e semplicemente l’inizio della nota filastrocca:

Tranta, quaranta – Tut ‘l mônd a canta:

Canta il gallo, canta la gallina – Madonna Franceschina

Si mette alla finestra – Con tre colombe in testa;

Madamisela dël castel – Dà da beive al Côrônel,

Côrônel d’ la barba rôssa – Chi sa cosa gli costa!

Gli costa un ciarlatan – Su la piassa di Milan,

Su la piassa di Tortona – Dôve a pisto l’erba bôna,

L’erba bôna ben pistà – Madamisela l’è ’nnamôrà.

Alberto Viriglio.

Archivio per lo Studio delle Tradizioni Popolari, Vol. XIX, gennaio-marzo 1900, Rivista diretta da G. Pitrè e S. Salomone Marino, Palermo-Torino, Carlo Clausen, 1900.