di Arconte

Questa storia inizia alle quattro e mezza del pomeriggio del 29 maggio 1799, sulla strada che da Ciriè raggiunge Torino. Il viandante Giovanni Battista Pianta viene aggredito da due malfattori armati che minacciano di ucciderlo e lo depredano di un mezzo scudo d’argento e vari oggetti per un valore di 15 lire. Pianta è poco disposto a farsi derubare e i due malfattori lo colpiscono più volte con un coltello e gli causano tre ferite, la prima sull’osso temporale, la seconda tra la sesta e settima costa di sinistra e la terza vicino alla scapola destra.

I due malfattori si allontanano e quando Pianta viene soccorso e visitato da un medico, la ferita alla scapola destra è giudicata pericolosa, mentre le altre sono considerate guaribili in 20 giorni. Per fortuna, Pianta sopravvive alla brutta avventura.

Circa un’ora dopo, nel territorio di Vauda di San Maurizio, i due malfattori armati aggrediscono Antonio Oberto, lo minacciano di morte e lo depredano di diversi oggetti per un valore di 70 lire, senza ferirlo.

Le indagini portano a identificare e arrestare i due banditi: sono Pietro Papurello, detto Motticione, figlio del vivente Giovanni, e Domenico Papurello, soprannominato Battaglino, figlio del defunto Giuseppe, disertore delle Regie Truppe. Sono entrambi di Vauda di Front, oggi Vauda Canavese, forse parenti ma non fratelli, visto il diverso nome dei loro padri.

Due rapine a mano armata, due «grassazioni», secondo il linguaggio giuridico dell’epoca. La grassazione è reato piuttosto grave e, nel primo caso, è accompagnato da una pericolosa ferita inferta alla vittima. Per gli accusati, detenuti nelle Carceri Senatorie, c’è odore di forca e di esemplarità. Secondo le Regie Costituzioni del 1770, il reato di «grassazione» può essere commesso sia sulle pubbliche strade sia in luoghi privati e consiste in una depredazione compiuta con armi ed anche senza violenze fisiche o vessazioni di altro genere sulle vittime: comporta di per sé la pena di morte, anche quando il crimine è commesso per la prima volta e alla morte deve essere unita qualche esemplarità, a giudizio del Senato, cioè del Tribunale.

Questo episodio criminale, ordinario nella sua brutalità, viene commesso in un particolare momento storico del Piemonte.

Le due grassazioni sono infatti avvenute il 29 maggio 1799, tre giorni dopo l’ingresso in Torino del principe Aleksandr Vasil’evič Suvorov, comandante dell’esercito austro-russo, accolto da una vera festa di popolo. La festa è stata di breve durata: il generale francese Pasquale Antonio Fiorella, rintanato nella cittadella, ha iniziato a bombardare Torino. Suvorov gli ha mandato a dire che il suo comportamento violava ogni legge internazionale in materia bellica e il generale, rassegnato, si è preparato a un assedio dall’esito facilmente prevedibile. Fiorella si è arreso e gli austro-russi hanno occupato la cittadella.

È stata così restaurata la monarchia e l’antico regime: tutte le leggi repubblicane sono annullate. Viene nominato un Consiglio supremo sabaudo. Nemmeno gli austriaci si fidano del tentennante sovrano piemontese Carlo Emanuele IV e affidano il potere a un’amministrazione militare, simile alla precedente francese, con un Commissario imperiale e un Comando militare.

In ogni caso, i due grassatori vengono processati, secondo la precedente normativa, dalle strutture del Regno Sardo tornate in vigore, ovvero dal Senato di Piemonte, massimo Tribunale penale, che li giudica secondo le Regie Costituzioni del 1770.

Pietro e Domenico Papurello sono accusati delle due grassazioni prima descritte e ancora di essere «sospetti in genere di furti». Inoltre, Pietro Papurello ha dei precedenti penali, visto che ha già ottenuto un indulto per una condanna conseguente a complicità in un omicidio.

Il Tribunale, con sentenza del 26 agosto 1799, li condanna a morte per impiccagionepubblicamente appiccati per la gola, finché l’anima sia separata dal corpo»). Dopo la morte, i loro corpi dovranno essere ridotti in quarti da affiggersi «ai luoghi soliti». Si tratta di una delle  esemplarità prima ricordate che possono essere applicate prima dell’esecuzione, mentre il condannato è condotto al patibolo (pubblica emenda; applicazione delle tenaglie infuocate, taglio della mano destra per i ladri sacrileghi) oppure dopo l’esecuzione della sentenza di morte con distacco della testa e taglio del braccio destro, poi attaccati al patibolo; squartamento del corpo con esposizione dei quarti; corpo bruciato e le ceneri sparse nel vento; confisca dei beni del condannato.

Le Regie Costituzioni prevedono anche la tortura dei condannati prima dell’esecuzione perché rilascino eventuali ulteriori dichiarazioni sui loro complici torquiti però prima nel capo de’ complici»). La sentenza si chiude con la condanna a indennizzare le vittime, insieme ai complici già condannati, e la disposizione di restituire ai derubati gli oggetti di loro proprietà, depositati presso l’Ufficio come corpi di reato.

Sono norme di ancien régime che il regime repubblicano filofrancese ha abolito, più nella forma che nella sostanza, visto l’elevatissimo numero di condanne capitali eseguite sia dalla giustizia civile che militare, con ghigliottina e fucilazioni.

Poi sarebbe venuto il 14 giugno 1800, data di Marengo. La vittoria di Napoleone riconferma i Francesi come padroni del Piemonte. Il 20 giugno è ripristinato in buona parte il precedente assetto territoriale repubblicano, con un governo e una consulta che hanno rispettivamente il potere esecutivo e quello legislativo: nasce quella che è nota come repubblica subalpina, preludio della successiva annessione del Piemonte alla Francia (1802).

Questa vicenda, nella sua banalità, assume così valenze emblematiche della breve stagione della “restaurazione” del regime sabaudo gestita dagli austro-russi.