di Redazione

A distanza di oltre quarant’anni dal riconoscimento della prima certificazione di origine alla “Robiola di Roccaverano Dop” e sulla scia dei risultati positivi registrati nel corso del 2020, grazie alle nuove strategie di vendita, sul fronte dell’incremento di produzione (+ 3,4% rispetto all’anno precedente), si fa sempre più concreta l’ipotesi di un intervento di revisione di alcuni passaggi del disciplinare con tema portante la parziale riformulazione del nome del celebre formaggio, che verrebbe ribattezzato, se la proposta fosse accolta, come “Roccaverano Dop”.

Perché ridenominare la robiola di Roccaverano semplicemente come Roccaverano, paese dell’Alta Langa astigiana che costituisce il cuore di questa pregiata produzione, e eliminare il riferimento alla tipologia casearia, la cosiddetta “robiola”, cui la specialità è tradizionalmente associata?

Il punto di partenza del ragionamento che ha condotto a questa proposta è la necessità di rafforzare sempre di più l’identificazione del prodotto, legandolo strettamente al territorio di provenienza, per evitare “ facili e dannose confusioni”, e distinguendo così il formaggio di Roccaverano da altre tipicità casearie che, pur portando il nome di “robiola”, presentano caratteristiche molto diverse.

Dal punto di vista terminologico, in Piemonte si registra infatti una vasta gamma di prodotti caseari identificati come“robiole”, vocabolo che alcuni fanno derivare dal latino ruber, rosso, da cui rubeola, in italiano robiola, allusione alle tonalità rossastre assunte dalla crosta dopo la stagionatura, e altri collegano invece al nome d’una località della Lomellina chiamata Robbio, conosciuta fin dal Medioevo per la produzione di robiole.

Tra le produzioni più importanti designate con questo nome ricordiamo: la robiola di Murazzano, territorio delle Alte Langhe, oggi ridenominata, seguendo la filosofia ispiratrice della proposta di revisione in discussione in quel di Roccaverano, come “Murazzano Dop”, ricavata in genere da latte ovino della razza Pecora delle Langhe in purezza o mescolato a un massimo del 40% di latte vaccino; la toma o robiola di Bossolasco, formaggio a latte misto ovino-vaccino in percentuali variabili; la robiola d’Alba, a latte vaccino intero, pasta molle e rapida stagionatura, prodotta in una vasta area della provincia di Cuneo; la robiola di Cocconato o “robiola Coconà”, formaggio molle del basso Astigiano, a pasta bianca, di forma bassa e rotonda, senza crosta, ricavato da latte vaccino intero e sottoposto a affinamento breve.

Come si può notare, le caratteristiche delle robiole elencate, cui si aggiungono le cosiddette “robioline”, definite dalla corrispondente voce dell’Enciclopedia Treccani come formaggio molle di fabbricazione lombarda o piemontese, in forme cilindriche di 50-100 grammi, di latte di vacca solo o misto con quello di pecora o di capra, da consumarsi fresco, sono talmente variabili da caso a caso da rendere difficile la riconduzione di tutte queste diverse specialità all’interno di una medesima famiglia.

Mantenere l’uso del nome “robiola”, adoperato per produzioni così diversificate, genererebbe dunque confusione nei consumatori.

Non si dimentichi inoltre l’evoluzione storica del prodotto. Un tempo la robiola di Roccaverano era il frutto del lavoro di chi aveva qualche capra e poco latte, e con questo si realizzava un formaggio, senza ricetta alcuna, che serviva più che altro al sostentamento famigliare. Poi venne il tempo del Caseificio Sociale che produceva robiole principalmente con latte vaccino (fino all’85% del contenuto così come il disciplinare del 1979 permetteva di fare). Con la scomparsa del Caseificio Sociale e la contemporanea rinascita delle produzioni aziendali, si tornò alle origini, all’utilizzo del latte di capra. In quel documento erano marcate alcune imperfezioni che sono state riviste e corrette con il disciplinare del 2000.

La Roccaverano DOP di oggi si produce ormai, come consuetudine generale, con latte crudo di capra in purezza, proveniente dalle razze Roccaverano e Camosciata Alpina, mentre negli ultimi 10 anni le forme miste, pur consentite dal disciplinare nella misura del 50% di latte caprino e 50% di latte misto vaccino/ovino, hanno pesato per meno dell’1% della produzione totale. Inoltre le buone pratiche in vigore prevedono il pascolo durante i mesi preposti (da marzo a novembre), nessun OGM e alimentazione animale prodotta sul territorio per almeno per l’80%.

Si sottolinea quindi, da parte dei fautori della modifica del nome, l’opportunità di identificare al meglio il prodotto per evitare la confusione con le tante robiole che si producono, tutte indubbiamente buone ma con caratteristiche che nulla hanno a che vedere con la Robiola di Roccaverano DOP. Identificare con un nome chiaro, privo di doppi sensi, un prodotto e una terra significa dare valore a entrambi, come accade nel caso di altre produzioni casearie che legano indissolubilmente il nome del formaggio al territorio di provenienza, senza possibilità di fraintendimenti. Per rimanere in Piemonte si faccia riferimento, ad esempio, al Castelmagno Dop e al Murazzano Dop.

Scorcio del paese di Roccaverano con la bifora del castello

L’eventuale modifica al disciplinare lascerebbe inalterato il metodo di lavorazione e anzi, con la prevista proibizione di utilizzare gli NBT (New Breeding Techniques, cioè nuove tecniche di miglioramento genetico), rinforzerebbe quel principio di precauzione che ha già motivato la scelta, sancita dal regolamento in vigore, di vietare il ricorso agli OGM. La potenziale revisione del disciplinare si prefigge poi di porre rimedio alla questione irrisolta del comune di Cartosio in valle Erro, il cui territorio oggi è interessato solo in parte, ricomprendendolo nella sua interezza nella zona di produzione.

In poche parole, secondo i promotori di questa proposta, escludendo il termine “robiola” si darebbe una maggiore valenza al formaggio e si andrebbe ad evidenziare, dinnanzi al sistema informativo e al consumatore, che non si parla di forme quadrate, di latte vaccino, di robiole prodotte in zone diverse e con modalità differenti, dalla più artigianale fino alla sfera industriale, ma di un prodotto unico e non confondibile, la Roccaverano DOP, che ha un solo metodo di produzione, conforme al disciplinare in tutta la filiera produttiva, fatta esclusivamente con latte di capra, rotonda, artigianale e apprezzata sia fresca che stagionata.

Ringraziamo il Consorzio di Tutela della Robiola di Roccaverano DOP per la concessione del materiale e delle foto pubblicate