di Giorgio Enrico Cavallo

«Nel mese di luglio 1809, alla fine di una giornata molto calda, risalivo la Neva su una scialuppa…». A navigare sul fiume che bagna San Pietroburgo era Joseph de Maistre, uno dei più profondi (e inascoltati) filosofi che l’Occidente abbia prodotto negli ultimi due secoli.

Nato a Chambéry nel 1753, fratello dello scrittore Xavier, de Maistre fu un fedele suddito di Casa Savoia, che servì come diplomatico specialmente presso la corte dello zar: accettò infatti il delicato incarico che il nuovo re Vittorio Emanuele I, succeduto al debole fratello Carlo Emanuele IV dopo la bufera rivoluzionaria, gli offrì nel 1802.

Qui, egli scrisse la sua opera più celebre: le “Serate di San Pietroburgo”, una raccolta di colloqui sullo sfondo delle notti d’estate russe; dialoghi filosofici dal sapore d’altri tempi, quando i gentiluomini potevano discorrere dei massimi sistemi comodamente seduti ammirando il panorama.

I dialoghi, letti oggi, sono attualissimi: de Maistre, da vera “cassandra” inascoltata, aveva previsto le degenerazioni che il mondo moderno avrebbe corso abbandonando la religione e combattendo l’ordine di Antico Regime. Lui, in gioventù, fu inizialmente favorevole alla Rivoluzione Francese, ma ne intuì gli orrori che ne sarebbero derivati, e già dal 1790 il suo pensiero si fece ampiamente critico; d’altronde, egli stesso, savoiardo, venne obbligato a trovare rifugio in Svizzera quando Chambéry, nel 1792, cadde in mano ai giacobini.

Iniziò a scrivere: la sua produzione, vastissima, contiene il succo dei pensieri contro-rivoluzionari. «Le Serate – scrisse un giorno – sono la mia opera più amata: dentro vi ho riversato la mia mente. Quindi, forse ci vedrete poca cosa ma, almeno, tutto ciò che so».

Interno della chiesa torinese dei Santi Martiri, dove riposa il filosofo savoiardo

Profondamente cattolico, de Maistre consegnò alle Serate tutte le sue riflessioni sulla società. «Dove c’è un altare, lì c’è una civiltà», affermava, potendo ben constatare gli orrori della Rivoluzione seguiti alla scristianizzazione della Francia. Non a caso, nella sua opera “Del Papa” sostenne l’urgente necessità di ripristinare il primato petrino.

Fu anche critico nei confronti della Restaurazione, ma sempre incrollabile nei suoi princìpi cristiani: «Nulla – scriveva, con convinzione – può cambiare in meglio tra gli uomini senza Dio».

Il filosofo morì a Torino il 26 febbraio 1821; è sepolto presso la chiesa dei Santi Martiri, in via Garibaldi.