di Paolo Barosso

Immerso nella quiete delle campagne novaresi, ai piedi d’un rilievo morenico fitto di boschi, sorge il castello di Proh, che trae l’innegabile fascino sia dalla posizione isolata, sia dall’impronta quasi fiabesca della costruzione, con caratteristiche tali da richiamare il Medioevo idealizzato dei romantici.

La località di Proh, oggi frazione del comune di Briona, ma menzionata in un documento del 949 come “caput plebis”, rivestiva nell’alto Medioevo una certa importanza, come attesta la fondazione d’una pieve, di cui oggi rimane solo la memoria, dedicata a san Zenone, da cui dipendeva un’area vasta, che si estendeva da Briona e Castellazzo Novarese fino a Sillavengo.

In base alle informazioni che abbiamo rintracciato, la chiesa era situata sulla collinetta boscosa che sovrasta l’attuale castello quattrocentesco e che costituisce morfologicamente l’ultima appendice del cordone morenico discendente dall’imboccatura della Valsesia e digradante verso l’alta pianura. Questa collina morenica, “che comincia a Proh e va fino a Romagnano”, era anticamente identificata con il nome di “Monte Regio” e vi era prescritto, in tempi di minor rigore climatico, piantare gli ulivi (C. Bescapè).

Il territorio in cui si trova Proh, per la collocazione strategica, era attraversato da una rete di vie di comunicazione che collegavano Novara e Vercelli con la Valsesia: tra queste assumeva un particolare rilievo la cosiddetta “strada biandrina”, percorso tracciato per connettere la località di Biandrate all’area valsesiana passando per i possedimenti dei potenti conti di Biandrate.

Proprio i conti di Biandrate, discendenti dai conti di Pombia (ma secondo altri dal marchese di Torino Arduino III detto il Glabro) e signori di un ampio territorio comprendente inizialmente le diocesi di Novara e in parte Vercelli (con possedimenti anche in Valsesia, Canavese, Chierese, Vallese svizzero), furono investiti nel 1140 del feudo di Proh per concessione dell’imperatore Corrado III di Svevia.

Fu questa potente famiglia comitale, per molto tempo in competizione con i comuni di Vercelli e Novara per la supremazia territoriale, a prendere l’iniziativa per la costruzione del presidio fortificato, noto come “Castellaccio”, che fungeva da postazione di controllo lungo la strada da Novara alla Valsesia e di cui si osservano oggi le scarne vestigia in cima all’altura, in particolare i resti della torre (IX secolo) e della cinta muraria.

A poca distanza dai ruderi si trova ancora, quale testimonianza di questo insediamento medievale legato ai Biandrate, l’antichissima chiesa castrense di San Silvestro, che ha però smarrito nei secoli, per interventi successivi e manomissioni, l’originario impianto proto-romanico. 

Il vecchio castello dei conti di Biandrate fu coinvolto nelle feroci lotte che contrapposero nella seconda metà del Trecento i milanesi Visconti ai marchesi Paleologi del Monferrato. Al soldo di questi ultimi, come spesso accadeva a quei tempi, v’era un capitano di ventura tedesco, il famigerato Albert Stertz, fondatore della “Compagnia Bianca”, formata in prevalenza da mercenari inglesi, che imperversò per molto tempo nelle contrade tra Vercellese e Novarese fino a che non venne ingaggiata per prestare i propri servizi nel Pisano, trasferendosi quindi in Toscana.  

Ridotto a rovina l’antico Castellaccio (la tecnica adottata da Galeazzo Visconti contro lo Stertz consisteva nel distruggere castelli e borghi per non lasciare punti di appoggio ai mercenari), comparve sulla scena Francesco Sforza, signore di Milano dal 1450 al 1466, ma prima condottiero di ventura, che volle rafforzare il confine occidentale del Ducato, facendosi promotore della costruzione di numerose fortificazioni nell’area del Novarese, al tempo non ancora inserita nei domini sabaudi e soggetta al rischio di attacchi armati.

Presero così forma i castelli quattrocenteschi dell’area novarese, in parte riconducibili alla tipologia della “rocchetta”, come Castellazzo e Vicolungo, e in parte ispirati al classico modello del castello visconteo-sforzesco di pianura, oppure derivanti da una combinazione dei due.

Al secondo schema edilizio appartiene il castello di Proh, che presenta tratti architettonici ben riconoscibili capaci di contraddistinguere le fortificazioni novaresi del Quattrocento, tutte dotate per l’intero perimetro della costruzione ( o quasi) di apparato a sporgere con forte aggetto, segnato dal motivo ornamentale ricorrente a “denti di sega” e dalla caratteristica sequenza di caditoie e beccatelli di particolare profondità (alla novarese), realizzati generalmente in laterizio (con eccezioni, come Vergano e Galliate).

Pur mostrando l’impronta tipica della fortezza, con funzioni militari, è singolare che il castello quattrocentesco di Proh, quello che oggi ammiriamo nel suo splendido isolamento campestre, non abbia mai fronteggiato assalti né sia mai stato coinvolto in alcun fatto d’arme, a differenza del “Castellaccio” dei conti di Biandrate, oggi ridotto a rovina.

Flavio Conti, studioso di castellologia piemontese, nel suo imponente lavoro di schedatura raccolto nella trilogia “Castelli del Piemonte” (1975), riporta l’idea, suffragata dal testo d’una lapide murata presso l’ingresso, che il castello di Proh sia stato immaginato dallo Sforza più come “luogo di delizie”, di riposo e di svago, che come presidio militare, anche tenendo conto della presenza in un breve raggio di chilometri di altre fortezze ben munite per la difesa, quali Briona, Barengo, Castellazzo, che avrebbero reso poco utile l’edificazione in loco di un altro sito fortificato.

Dopo la parentesi ducale, il castello passò ai Tornielli, signori di Briona, poi a fine Cinquecento ai Caccia e dal 1672 ai novaresi Cattaneo, che ottennero di lì a poco il titolo comitale (nell’elenco dei castelli del Piemonte stilato dal Sesia nel 1970 l’edificio si trova infatti menzionato come “castello Cattaneo”, anche se con un’indicazione cronologica discutibile).

Il maniero di Proh conobbe poi fra Ottocento e Novecento diversi passaggi di proprietà e di destinazione d’uso, fino al recente accordo raggiunto tra gli attuali proprietari e la Fondazione UniversiCà, importante realtà culturale dell’alto Piemonte che si occupa di gestire siti d’interesse storico, architettonico e ambientale rendendoli fruibili al pubblico e valorizzandoli tramite l’allestimento di percorsi multimediali e la proposta di eventi tematici e visite guidate.    

Oggetto dell’accordo, siglato nel 2020 e in fase di attuazione, non è solo il castello di Proh, ma anche l’ampia area tenuta a bosco, circa 8 ettari, che si estende alle spalle del fabbricato e che verrà risistemata con percorsi di valorizzazione botanica, impreziositi da esperienze sensoriali e contributi multimediali. La realizzazione del progetto porterà importanti benefici anche per l’area agricola circostante, caratterizzata da pregiate produzioni di riso e, per la fascia collinare, di vino (da uve Nebbiolo, Barbera, Croatina, Bonarda Novarese, Erbaluce) nonché, in tempi recenti, dalla coltivazione dei mirtilli e dalla pratica della elicicoltura.

Ringraziamo la Fondazione UniversiCà per la concessione del materiale fotografico.

Per maggiori informazioni sul progetto, consultare il sito internet www.universica.it/castello-di-proh/

Paolo Barosso