Testo e foto di Paolo Barosso

Nelle ubertose campagne della pianura pedemontana che si estende tra torinese e cuneese sorgono diversi insediamenti fortificati d’origine medievale strettamente legati alla vocazione agricola del territorio. Tra questi, ne segnaliamo due che versano oggi purtroppo in condizioni di abbandono, ma che sarebbero meritevoli, per il valore storico, estetico e architettonico, di un’azione di recupero e rifunzionalizzazione: il castello di Carpenetta, frazione di Casalgrasso, e il castello di Bonavalle, nel comune di Murello.  

Veduta del castello di Carpenetta dai campi

Il primo dei due casi menzionati, il castello di Carpenetta, che secondo quanto scriveva nel 1836/1837 l’abate e storico Goffredo Casalis significa “luogo piantato di carpini”, vanta una storia millenaria, iniziata nel XII secolo come grangia dell’abbazia cistercense di Santa Maria di Staffarda e proseguita come casa-forte e castello con annesso ricetto.

L’antico villaggio rurale si trova alla destra del fiume Po, lungo la strada che conduce da Carignano a Racconigi, immerso nelle campagne del comune di Casalgrasso che, secondo l’ipotesi etimologica più accreditata, deve il nome alla fertilità delle terre, in cui si è sviluppata nei secoli, grazie inizialmente all’operosità e ingegnosità dei monaci cistercensi, una florida agricoltura, favorita dalla disponibilità d’acqua, trovandosi l’abitato in prossimità della confluenza tra il fiume Po e i torrenti Maira e Varaita.

Il motto riportato sullo stemma comunale di Casalgrasso, che recita “Hostibus resistit” (Resiste ai nemici), richiama alla mente i numerosi episodi bellici che coinvolsero il paese, ambito per la vicinanza alle sponde del fiume Po e per la posizione sul territorio (si ricorda il saccheggio compiuto da Facino Cane con la sua compagnia di ventura nel 1396), in particolare i cruenti avvenimenti del 1690, quando le truppe francesi al comando del maresciallo Catinat, al servizio di re Luigi XIV, furono prima respinte dalla valorosa resistenza degli abitanti, ma in un secondo momento, dopo la battaglia di Staffarda, tornarono sul posto incendiando le case e rovinando i raccolti.  

In origine insediamento agricolo monastico, cellula di quella vasta rete di strutture rurali dislocate nei possedimenti abbaziali per la gestione del patrimonio fondiario di Staffarda, il sito di Carpenetta, che fu feudo a se stante rispetto a Casalgrasso e che risulta appartenuto per un certo periodo (alla metà dell’XI secolo) ai potenti conti di Biandrate, passò nel 1309 dai marchesi di Saluzzo ai principi di Savoia-Acaia, conoscendo in seguito diversi avvicendamenti proprietari.   

 Del nucleo architettonico originario sopravvive ben poco, dato che le strutture attuali risalgono in prevalenza agli interventi edilizi che si susseguirono tra la metà del Trecento e il primo Cinquecento, su committenza delle famiglie titolari di diritti sul luogo, caratterizzato dalla compresenza di più consignori. Una tavola del famoso incisore Enrico Gonin (1798-1856) ci restituisce l’immagine del castello come doveva apparire nell’Ottocento, quand’era nelle mani dei marchesi Carron di San Tommaso.

Secondo quanto annota Flavio Conti nei suoi volumi sui castelli del Piemonte, la rocca di Carpenetta può essere ricondotta al modello del “castello rurale”, strutturato per l’immagazzinamento delle derrate alimentari e la difesa della popolazione rurale, richiamando per caratteri tipologici e funzioni gli esempi fortificati della pianura vercellese e novarese.  

Il fabbricato, costruito in laterizio, presenta planimetria a U, forse perché non fu mai completato o, più probabilmente, perché parzialmente distrutto in occasione di qualche evento bellico.

Sono ancora presenti e ben conservate, come elemento di caratterizzazione del complesso, due torri, una a pianta quadrata con apparato a sporgere nel coronamento, eretta a protezione dell’ingresso, e la seconda, di forma circolare, posta a protezione dello spigolo più esposto. L’insieme, pur complessivamente integro, appare bisognoso di interventi di manutenzione, finalizzati a restituire al castello il suo decoro e una funzionalità culturale-turistica.  

Il secondo insediamento fortificato che vi presentiamo, situato nelle campagne di Murello, a ridosso dei confini comunali di Racconigi, sempre in provincia di Cuneo, è il castello di Bonavalle.

Vedita del castello di Bonavalle dal lato sud – ph Alberto Chinaglia

Imponente edificio a pianta quadrangolare, sorprende per la maestosità della facciata principale rivolta a sud, caratterizzata da un corpo centrale sopraelevato (ad imitazione del vicino castello di Racconigi), frutto dei lavori di trasformazione compiuti da metà Seicento per ingentilire l’aspetto della severa fortezza medievale, e per la regolarità e simmetria della costruzione nel suo complesso, che ci sembra rimandare, per certi aspetti, al modello del “carré savoyard” (quadrato savoiardo).

Bonavalle presenta evidenti analogie nella distribuzione degli spazi con il castello torinese del Drosso (quartiere di Mirafiori), cui è collegato anche da contingenze storiche, come la comune derivazione da insediamenti agricoli fortificati con presenza cistercense e l’appartenenza nel corso del Trecento alla famiglia dei Vagnone di Trofarello.

Ciò che colpisce osservando il castello è anche la presenza delle torri angolari cilindriche: due più grandi a protezione dell’ingresso principale, risalenti al nucleo più antico della costruzione, e due torrette pensili, più esili, sulla facciata nord, quella rivolta in origine verso il giardino (non più esistente), che si presentano oggi sormontate da curiosi cupolotti, a mo’ di garitta, frutto di modifiche seicentesche.

Le stratificazioni successive, dovute a interventi promossi dalle tante famiglie che si avvicendarono nella proprietà di quote del feudo, che fu sempre gestito in condominio (con relative contese), non hanno comunque privato l’insediamento di Bonavalle della originaria impronta di “castello rurale”, eretto, come Carpenetta, a protezione di fondi agricoli e popolazione residente, come sembra testimoniare anche l’origine del toponimo, che si ritiene derivare dall’unione del termine “vallis”, nel significato di valle o alveo di un fiume, e “bona”, cioè fertile, con riferimento alla prosperità agricola della pianura alluvionale in cui è collocato.

Il castello non fu mai abitato in modo permanente dai consignori, nemmeno dalla famiglia che a fine Settecento riuscì ad accentrare a sé la totalità delle quote, estromettendo i Balbo, cioè i torinesi conti Turinetti, già promotori del cantiere seicentesco.  

Una delle torrette pensili con piccola cupola terminale

Un altro elemento di interesse è di natura storica, perché Bonavalle, che divenne da una certa epoca feudo autonomo, condivise inizialmente i destini del feudo di Murello, che al principio del XII secolo faceva parte del marchesato di Busca, per poi passare ai Cavalieri Templari, che acquistarono estese proprietà fondiarie e fecero erigere in loco una chiesa e un castello (tutt’ora esistente), e successivamente, in seguito alla soppressione dell’Ordine dei Templari nel 1312, all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, poi di Malta, il quale provvide a gestirlo per il tramite di un commendatore posto alle dipendenze della commenda di San Lorenzo di Racconigi.

Il castello visto dall’arco d’ingresso dell’azienda agricola

Il castello di Bonavalle e le relative proprietà agricole rimasero in capo ai conti Turinetti fino ai primi due decenni del Novecento, quando venne acquistato dal pittore Giuseppe Augusto Levis, allievo di Lorenzo Delleani, che intendeva farne la propria residenza (dal 1901 Levis frequentò la corte sabauda quand’era a Racconigi e nel 1913 fu invitato in Russia dallo zar Nicola II Romanov, come membro di una Delegazione torinese di politici e imprenditori).

Di lì a poco, però, Levis si ammalò, morendo di un’infezione polmonare, e lasciando per testamento l’immobile di Bonavalle per due terzi al comune di Racconigi e per un terzo al comune di Chiomonte in valle di Susa, dov’era nato e che ospita oggi, nelle sale dello storico Palazzo Paleologo (Palais Paleologue), la Pinacoteca “G.A. Levis” con un cospicuo nucleo di sue opere, soprattutto riferibili al tema del paesaggio montano valsusino. Dopo la morte della moglie di Levis, che aveva conservato l’usufrutto sull’immobile, il castello di Bonavalle, privo di manutenzione, andò incontro a un lento, ma inesorabile declino, fino a ridursi allo stato di rudere, aggravato dal recente cedimento della copertura.

Note bibliografiche e fonti internet:

Flavio Conti e G.M. Tabarelli, Castelli del Piemonte Tomo III, ed. Gorlich, 1980

www.castellodibonavalle.com, sezione Storia del castello

In collaborazione con la “Commissione per la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico” del movimento culturale “Croce Reale – Rinnovamento nella Tradizione” – Delegazione “Piemonte e Stati di Savoia”