Testo e foto di Paolo Barosso
A sud della città di Domodossola, sulla sommità del colle di Mattarella, formidabile punto di osservazione sulla conca ossolana, sorge il complesso architettonico e religioso del Sacro Monte Calvario, annoverato nella lista dei sette Sacri Monti del Piemonte tutelati dall’Unesco.

A metà del Seicento, lungo il sentiero che conduceva dal centro cittadino all’antico castello, di cui oggi sopravvivono alcune vestigia in cima al colle di Mattarella, venne tracciata, per iniziativa dei frati cappuccini Gioachino da Cassano e Andrea da Rho, la cosiddetta Via Regia o Via Sacra, strada ad uso processionale destinata a collegare le quattordici cappelle (cui si aggiunse la quindicesima, sul tema della Resurrezione) con la rappresentazione plastica dei Misteri o Stazioni della Via Crucis (a mezzo di gruppi statuari plasmati in cotto e in creta), che è il tema portante del Sacro Monte Calvario, particolarmente caro alla devozione francescana.

Promotori del complesso, battezzato “Sacro Monte Calvario”, furono quindi i frati cappuccini (anche nel caso della “Nuova Gerusalemme” di Varallo Sesia, primo esempio in ordine di tempo di questa specifica forma santuariale, era stato un frate minore osservante, Bernardino Caimi, a prendere l’iniziativa), ma l’idea partorita dai due religiosi, esposta alla popolazione locale in occasione delle loro predicazioni, ottenne l’immediato sostegno anche economico (tramite cospicue offerte) della comunità domese che, per bocca dei propri rappresentanti, si rivolse all’autorità diocesana di Novara allo scopo di ottenere la necessaria autorizzazione a erigere le croci nei punti prescelti per la successiva costruzione delle cappelle della Via Crucis.

L’ambizioso progetto si andò delineando a partire dal 1656, prendendo le mosse dalla realizzazione dell’Arco Trionfale, punto di partenza del percorso devozionale posto alle pendici del colle di Mattarella, e dalla costruzione del Santuario del SS. Crocifisso, posizionato al vertice dell’itinerario sacro, la cui prima pietra venne posata l’8 luglio 1657.
La comunità domese, dopo aver ottenuto il riconoscimento e la conferma dell’allora vescovo di Novara, Giulio Maria Odescalchi, fratello di papa Innocenzo XI, affidò la direzione dell’opera all’illustre giureconsulto Giovanni Matteo Capis (1617-1681), figlio del primo storico dell’Ossola, che fu anche, fino alla morte, il primo amministratore del complesso e il suo più grande benefattore.

Il sito prescelto per ospitare il Sacro Monte, ovvero la sommità del colle di Mattarella, era in precedenza occupato dalla possente mole del castello che fin dall’età longobarda (e forse bizantina) fu il cuore del potere militare e amministrativo dell’Ossola Superiore, passato in proprietà dei vescovi di Novara, artefici del suo ingrandimento, dal principio dell’XI secolo alla fine del Trecento e in seguito quasi totalmente distrutto ad opera dei Vallesani svizzeri che, una volta discesi a occupare la regione ossolana, devastarono la sua fortificazione più importante, demolendo il palazzo episcopale, residenza dei vescovi novaresi, e smantellando gran parte delle cerchie murarie e delle torri di cinta.

L’impeto distruttore dei Vallesani risparmiò soltanto la torre di Mattarella, ancora oggi visibile nella sua imponenza sulla cuspide del monte, e la lunga cortina superiore, con due torri minori e i fortini di difesa.
Il terreno su cui sorgeva il massiccio castrum dell’Ossola era però di proprietà demaniale, ricadendo quindi, alla metà del Seicento, sotto l’autorità del Regno di Spagna e dei suoi rappresentanti locali. Allo scopo di prevenire esose richieste in denaro, il Capis, con il supporto della comunità domese, si fece promotore presso la Corte di Madrid d’una supplica a Sua Maestà Cattolica affinché venisse formalizzato un atto di donazione. Nonostante l’immediato consenso del re Filippo IV, le lungaggini burocratiche trascinarono l’iter fino al novembre 1668 quando finalmente venne emanato il decreto a nome del nuovo sovrano spagnolo, Carlo II.

Sulle pareti interne del santuario, si legge un’iscrizione che ricorda la donazione del “luogo del castello” deliberata dal Governatore, marchese di Mortara, a nome del re di Spagna “per rendere l’Ossola incolume e inespugnabile”.
Quando si parla di Sacri Monti, e di complessi devozionali affini, non è infrequente l’uso di termini mutuati dal linguaggio militare, come traspare dai concetti di incolumità e inespugnabilità espressi nell’epigrafe. Questa considerazione si collega a una delle funzioni fondamentali assegnate ai Sacri Monti, alla loro costruzione e promozione, nell’epoca della Controriforma, vale a dire di “cittadelle della fede” e “sentinelle” dell’ortodossia cattolica contro la propagazione delle idee riformate, ereticali, che avevano preso piede a nord della catena alpina con alto rischio di infiltrazione nelle terre fedeli al Papa.
Se si osserva la distribuzione geografica di queste specifiche forme santuariali tra Cinque e Seicento, si nota infatti una particolare concentrazione di Sacri Monti in corrispondenza della dorsale alpina, quasi a voler creare idealmente una barriera a difesa della Cattolicità (Paolo Cozzo).

L’idea di Sacro Monte, maturata negli ambienti della spiritualità francescana, promotrice della pratica devozionale della Via Crucis, nasce però tra fine Quattrocento e primo Cinquecento dall’intento missionario e pedagogico di offrire al fedele occidentale, cui era impossibile recarsi in Terra Santa per i pericoli del viaggio, la concreta possibilità di “vedere” i luoghi in cui s’era svolta la vita di Cristo.

Questi vennero riprodotti, in una prima fase, con fedeltà topomimetica, cioè ponendo particolare attenzione alle caratteristiche del terreno e alla distribuzione degli spazi, in maniera tale da richiamare nel modo più fedele possibile l’originale (ad esempio la rotonda del Santo Sepolcro o la grotta di Betlemme), e, successivamente, attribuendo invece maggior valore alla corrispondenza cronologico-narrativa dei fatti, narrati al pellegrino in modo realistico ricorrendo alla statuaria a grandezza naturale e a stratagemmi come l’uso di barbe e capelli veri (come a Varallo Sesia, che dei Sacri Monti è l’archetipo) e con la finalità principale di ottenere l’immedesimazione emotiva dell’osservatore nelle scene riproposte.

Tornando alle vicende storiche del Sacro Monte Calvario, che si innesta in questo clima e su queste esperienze, il lungo iter costruttivo proseguì anche nel corso del Settecento, con l’allestimento della statuaria all’interno delle cappelle e la prosecuzione del programma decorativo, ma la quiete contemplativa del luogo venne gravemente compromessa dalla grande crisi seguita alla Rivoluzione Francese, che alla fine del Settecento si abbatté come un flagello su tutte le istituzioni civili e religiose.

Applicando la famigerata legge del febbraio 1801, che disponeva la soppressione delle corporazioni ecclesiastiche e l’avocazione dei loro beni alla Nazione, il delegato governativo della Repubblica Cisalpina, di cui l’Ossola faceva parte, prese possesso del complesso del Sacro Monte Calvario, con la confisca, la messa all’asta e la svendita di gran parte degli arredi sacri e degli oggetti religiosi, che andarono quindi dispersi.
Seguì per il Sacro Monte, così come per molte delle istituzioni benemerite dell’Ossola, nate e sostenute dalla generosità e devozione popolare, un periodo di abbandono, cui si tentò di porre rimedio con la Restaurazione e il ritorno dell’autorità sabauda. Si dovette però attendere il 1828 per assistere all’inizio di una fase di vera rinascita materiale e spirituale del Sacro Monte Calvario, portato a nuova vita dall’attivismo dei Padri Rosminiani.

Era stato il conte Giacomo Mellerio, ossolano di nascita, a svolgere opera di persuasione e mediazione affinché, con l’autorizzazione del vescovo di Novara, il sacerdote roveretano Antonio Rosmini, teologo e filosofo, si stabilisse al Sacro Monte di Domodossola, fondandovi il suo Istituto di Carità e prendendosi cura del complesso devozionale, che i Padri Rosminiani, per difendersi dalle vessazioni politiche anti-cattoliche del periodo risorgimentale, ottennero di acquistare nel 1857 dando formale avvio alla Casa Religiosa dei Padri Rosminiani, considerata la Casa Madre dell’Istituto.

Dal punto di vista architettonico il Sacro Monte Calvario, ancora oggi affidato alle cure dei Rosminiani, comprende una serie di edifici dislocati lungo la Via Regia (detta anche Via Sacra o Via Regia Crucis) che, snodandosi all’ombra di faggi e castagni, disegna una percorso devozionale, fisico e spirituale, tra i Misteri della Passione di Cristo, rappresentati visivamente nelle quindici cappelle, alcune interne al santuario del SS. Crocifisso o comunicanti con esso. L’itinerario prendeva l’avvio da un Arco Trionfale, chiamato anche dagli Ossolani “Arco di Pilato”, posto all’inizio di via Mattarella e purtroppo, con scelta sciagurata, demolito nel 1875.

Il complesso ha il suo cuore pulsante nel Santuario del SS. Crocifisso, che si eleva sulla roccia del monte in forma di ottagono allungato e che racchiude bellissime opere statuarie in cotto del plasticatore e scultore Dionisio o Dionigi Bussola (1615-1687) e del suo aiuto Giovanni Battista de Magistris detto “il Volpino”, tra cui le otto statue dei profeti su mensole aggettanti dai pilastri, colti in dialogo teologico tra loro, e l’oratorio della Madonna delle Grazie che, sorto su un’edicola sacra preesistente, contenente l’effigie della Beata Vergine, fu inglobato nel recinto del Sacro Monte, venendo collegato tra il 1674 e il 1694, per volere di Giovanni Matteo Capis, a una riproduzione della Santa Casa di Loreto.

Le cappelle della Via Crucis sono in numero di quindici, contrariamente alla regola codificata al tempo di papa Clemente XII nel 1731 che prevedeva soltanto quattordici stazioni. Il dramma della Passione e morte di Gesù, leitmotiv del Sacro Monte di Domodossola, non poteva infatti concludersi con la deposizione nel Sepolcro e, di conseguenza, si decise di aggiungere una quindicesima cappella, situata sulla cima del colle, poco distante dal Santuario, dedicata alla gloria della Resurrezione e del trionfo di Cristo.

Merita infine un cenno la Casa Stockalper, posta in vicinanza della Santa Casa di Loreto, ai limiti del recinto del Sacro Monte, voluta dal barone vallesano Gaspare Stockalper, influente politico e facoltoso imprenditore di Briga che, costretto all’esilio dai suoi compatrioti dal 1679 al 1685, si rifugiò in Ossola, potendo contare sull’amicizia del Capis e contribuendo generosamente all’opera di manutenzione e sviluppo del Santuario.
A memoria dello Stockalper rimangono, inserite nelle pareti esterne del portichetto che dà l’accesso al santuario, due piastre in ghisa recanti l’incisione del suo motto, Nil solidum nisi solum (niente è saldo se non il suolo), e il volto della statua del Re Mago Gaspare, dentro la cappella della Resurrezione, che ricalca proprio i lineamenti del barone svizzero, passato alla storia come il Re del Sempione.
Riferimenti bibliografici e siti internet
Bertamini Tullio, Cronache del castello di Mattarella, in “Oscellana” 1976 e seg
Gaddo Giovanni, Antonio Rosmini al Calvario di Domodossola, Stresa 1978