di Milo Julini
Era il 10 marzo 2021 quando Marco Datrino, noto antiquario e gallerista, originario di Trino Vercellese, si spegneva all’ospedale di Ivrea, seguito, a soli tre giorni di distanza, dalla moglie, Fiorella Vercellotti.
Vogliamo rendere omaggio alla figura di questo significativo esponente della cultura piemontese ricordandone, grazie alla testimonianza di Massimo Boccaletti, le imprese più importanti, che contribuirono a proiettare in una dimensione internazionale il suo paese d’adozione, Torre Canavese, dove Datrino nel 1968 aveva acquistato l’antico castello, appartenuto ai conti San Martino, adibendolo a dimora di famiglia, galleria d’arte e sede di mostre prestigiose.
Tra le prime esposizioni di grande richiamo, vi fu la rassegna allestita nel 1991 sul tema degli avori, che raccolse oltre cento opere provenienti in prevalenza dal museo tedesco di Erbach nell’Odenwald, un tempo appartenente al langraviato dell’Assia, in cui la tornitura e l’intaglio del prezioso materiale, associato nell’immaginario collettivo alla sfera della regalità, raggiunse alti livelli di specializzazione.
Un altro filone artistico su cui si concentrò l’attenzione di Datrino fu quello legato alla produzione di ceramiche, in particolare maioliche, che culminò nel giugno del 1992 nell’allestimento della mostra sul tema “Maioliche italiane dal 1650 al 1780”, con una vasta rassegna di piatti d’apparato, tazze da brodo, acquasantiere di Rossetti, piatti tondi da parata di Savona e Albisola, prodotti delle fabbriche di Milano e di Lodi.
La fama di Marco Datrino e, di riflesso, del castello di Torre Canavese è però indissolubilmente legata a una delle operazioni culturali più stupefacenti del fin-de-siècle novecentesco, che trovò la sua rappresentazione simbolica nello sbarco all’aeroporto di Caselle, nel marzo 1993, dei Tesori del Cremlino, destinati ad essere esposti nel piccolo borgo canavesano, invaso per l’occasione da un flusso travolgente, e mai sperimentato prima, di turisti e visitatori.
Grazie alla testimonianza del già citato Massimo Bocaletti, tratta dallo scritto «Il passaggio dall’URSS alla Russia nei ricordi del mercante d’arte Marco Datrino» apparso su Studi Piemontesi del dicembre 2014, apprendiamo che Marco Datrino, sul finire degli Anni ‘80, quando era un mercante-antiquario ormai affermato, cominciò a rivolgere il suo interesse commerciale all’Unione Sovietica, mercato fino ad allora interdetto agli occidentali.
A seguito del suo primo viaggio nei territori dell’allora URSS, avvenuto nel gennaio 1990, l’antiquario e collezionista piemontese, che s’era accostato ai temi trattati dalla corrente pittorica del “realismo sovietico”, maturò l’intenzione di organizzare per la prima volta nel mondo occidentale, e proprio nel cuore del Canavese, una grande mostra denominata “Arte rossa dei Soviet”, abbinandola a “Due secoli di pittura russa”, altra rassegna focalizzata sui “grandi vedutisti russi dell’800, ispirati al Rinascimento e ai paesaggi italiani, sottolineando in tal modo l’antico legame artistico culturale tra Italia e Urss”.
Come annota Boccaletti, Datrino poté acquistare con relativa facilità le migliori opere del realismo sovietico, ma si rese presto conto che la burocrazia della vecchia Urss gli avrebbe frapposto ostacoli non agevolmente superabili nel tentativo di ottenere in prestito i grandi capolavori dell’Ottocento russo, operazione sino ad allora mai attuata e capace di quindi di suscitare timori di ritorsioni, qualora fosse insorto qualche inconveniente, a carico dei funzionari coinvolti.
L’obiettivo fu però raggiunto grazie alla inaspettata collaborazione con l’unico museo sovietico che si rivelò disponibile a sostenere il progetto. Come scrive Boccaletti, “su duemila musei sovietici dove potenzialmente attingere le opere dei Grandi, solo quello di Kiev, diretto dalla intraprendente Tamara Soldatova, osò aderire (maggio 1990) alla richiesta dello spregiudicato antiquario italiano».
La doppia mostra con le opere del realismo sovietico e i quadri dei pittori russi dell’Ottocento, prestati dal museo di Kiev, si svolse dal 27 ottobre al 25 novembre 1990 riscuotendo uno straordinario successo e suscitando vasta eco sui media mondiali. Per merito di Marco Datrino e della sua coraggiosa iniziativa culturale, l’impenetrabile Urss per la prima volta si apriva al mondo occidentale.
Grazie al rapporto di stima e simpatia che si instaurò tra Datrino e Raissa Gorbaciova, influente moglie dell’ultimo Presidente dell’URSS, l’antiquario e gallerista piemontese poté, da lì a poco, concretizzare un altro sogno, quello di “fare nel castello di Torre, una mostra dei Tesori del Cremlino: un’idea folle, inconcepibile.
Pensare che le frontiere dell’Urss, che migliaia di persone cercavano allora di lasciarsi alle spalle a rischio della vita, si aprissero per far passare i favolosi “tesori” blindati nel cuore stesso del potere sovietico, per giunta, per una rassegna da tenersi non in una capitale occidentale, in virtù di chissà quale scambio diplomatico, bensì a Torre Canavese, paese di 600 anime dimenticato da Dio, pareva impossibile».
La straordinarietà dell’evento è ben rimarcata nella testimonianza di Boccaletti che ricorda come Datrino riuscì a vincere anche le resistenze di chi insisteva per organizzare la mostra non in Piemonte, bensì a Roma, ma alla fine, con caparbietà e determinazione, s’impose, e il 4 aprile 1993 la mostra “I Tesori del Cremlino”, che comprendeva una selezione di 108 pezzi straordinari come il favoloso trono di Ivan il Terribile, la corona di diamanti creata dal laboratorio del Cremlino di Mosca per lo Zar Pietro il Grande, la lastra sepolcrale di San Cirillo e l’uovo “Alexander Palace” di Fabergé, venne inaugurata nel castello di Torre , registrando, dopo circa tre mesi di apertura, un flusso costante di 4.500 ingressi al giorno, con “radicale sconvolgimento non solo nella vita del castello, dimora della famiglia Datrino, ma nell’intero Canavese”.
Per l’occasione l’antico castello che fu dei conti San Martino, testimone di tanti secoli di storia canavesana, venne rivestito con impalcature scenografiche che richiamavano l’ambientazione russa, accompagnando il visitatore in un viaggio ideale in territori ancora chiusi al turismo occidentale: chi entrava era accolto dalla facciata di una chiesa ortodossa, realizzata con tecnica ad intonaco graffiata, poi nella prima sala una serie di gigantografie rappresentavano i cortili del Cremlino, e anche nel giardino, che circonda la dimora, era stato disegnato un percorso “alla russa” con sagome di guerrieri e torri a cupola.
Tra le tante iniziative di Marco Datrino, ve n’è una in particolare che ha potuto concretizzarsi grazie al convinto sostegno dell’amministrazione comunale di Torre Canavese e che, ancor oggi, può essere ammirata da chi percorre le vie del grazioso borgo canavesano: la realizzazione di 150 opere pittoriche su supporto in fòrmica eseguite da quindici artisti provenienti da ciascuna delle repubbliche della ex URSS e fissate alle pareti delle abitazioni di Torre come parte di un grande “museo a cielo aperto”. I dipinti, i cui soggetti sono stati suggeriti agli autori dallo stesso Datrino, sono di proprietà del Comune, che ne cura la manutenzione, insieme con altre 400 opere, in parte esposte nella Pinacoteca del paese.
Note bibliografiche:
Massimo Boccaletti, Il passaggio dall’URSS alla Russia nei ricordi del mercante d’arte Marco Datrino, Studi Piemontesi dicembre 2014, vol. XLIII, fasc. 2.
M. Luisa Moncassoli Tibone e L. M. Cardino, Il Canavese: Terra di storia e di arte, Omega edizioni, 2002