di Paolo Barosso

Il Castello Reale di Govone, situato in posizione dominante sull’ampia valle del Tanaro, a metà strada tra le città di Alba e di Asti, fa risalire le proprie origini agli anni attorno al Mille anche se l’aspetto dell’edificio è oggi prevalentemente barocco.

La facciata rivolta a sud con le due statue di canidi che sorvegliano l’ingresso

Il presidio fortificato medievale, eretto su una delle cime più alte di quella sequenza di colline che costeggia il corso del Tanaro, saldando il Roero albese con l’Astigiano, venne radicalmente trasformato tra Seicento e Settecento per volere dei proprietari di allora, i conti Solaro, feudatari di Govone fin dal primo Duecento, quando ricevettero l’investitura dal vescovo di Asti.

La facciata rivolta a nord, in mattoni a vista

Insigne famiglia del patriziato astigiano, i Solaro, così come i Malabayla, i Troya, gli Scarampi, i Falletti, i Cacherano, gli Isnardi, gli Asinari, gli Alfieri, i Guttuari, e altri gruppi familiari, facevano derivare le proprie fortune economiche non solo dalla gestione delle casane, banchi di cambiavalute e prestito di denaro su pegno, ma anche da un variegato ventaglio di iniziative finanziarie e commerciali messe in campo, durante il corso del Medioevo, nelle contrade del centro-nord Europa, dove Astigiani e Chieresi si distinsero come veri e propri precursori della moderna attività bancaria, accumulando ricchezze e raggiungendo posizioni di rilievo sociale. 

Dettaglio di una delle due statue di cani a lato dell’ingresso

Suddivisi nel tempo in più rami, i Solaro misero a frutto le loro finanze acquisendo, in Piemonte, terre e feudi, tra cui quello di Govone, dove, tra Seicento e Settecento, promossero imponenti lavori di trasformazione dell’antico fortilizio, che assunse così l’attuale veste barocca, in parte ispirata ai disegni forniti dall’architetto teatino Guarino Guarini (1675) e, in seguito, completata con il probabile intervento di Paolo Antonio Masazza e Bendetto Alfieri (facciata nord).

La facciata rivolta a sud appare impreziosita da inserzioni scultoree in marmo (e statue in pietra), tra cui gli imponenti telamoni che sorreggono la balconata centrale e i rilievi con alcuni episodi delle dodici fatiche di Ercole, attribuibili al luganese Giovanni Battista Casella, che furono aggiunte verso la metà del Settecento, pur risalendo al secolo precedente.

L’apparato scultoreo del prospetto sud, infatti, non era stato pensato per il castello di Govone, ma si trovava in origine collocato ad ornamento dei giardini della Reggia Sabauda di Venaria Reale, voluta da re Carlo Emanuele II di Savoia nel 1659 e posta a nord-est di Torino.

I telamoni della facciata sud

I lavori settecenteschi di ingrandimento della Reggia, affidati all’architetto Michelangelo Garove e, in seguito, a Filippo Juvarra e Benedetto Alfieri, avevano comportato anche una rivisitazione dei giardini, con la demolizione del Tempio di Diana e della grande Fontana dell’Ercole, in omaggio al nuovo gusto per i cannocchiali prospettici protesi verso l’infinito senza ostacoli alla vista.

Gli elementi scultorei sopravvissuti, opera di artisti di livello, non furono distrutti, bensì reimpiegati nella decorazione di dimore nobiliari piemontesi, appartenenti a dignitari legati alla corte, come i conti Solaro, che portarono alcuni pezzi nel castello di Govone, dove tuttora possono essere ammirati.

Veduta del portale d’ingresso con i due telamoni ai lati

Nel 1792 si ebbe la svolta, che avrebbe decretato il passaggio di Govone nel novero delle residenze sabaude, perché, con la morte senza eredi diretti dell’ultimo Solaro, l’edificio passò alla Corona e, tre anni più tardi, il re Vittorio Amedeo III di Savoia, per decreto, lo assegnò ai due figli, Carlo Felice duca del Genevese e Giuseppe Benedetto Placido conte di Moriana.

Ercole uccide l’idra di Lerna, uno dei rilievi marmorei provenienti dalla Reggia di Venaria

Anni infausti nella vita del castello furono quelli della dominazione napoleonica del Piemonte, in quanto l’edificio, con la partenza dei Savoia per l’esilio in terra di Sardegna, venne abbandonato a se stesso e spogliato degli arredi. Solo l’interessamento dei marchesi Alfieri di Sostegno, che lo acquistò all’asta nel 1810, permise la salvaguardia della struttura architettonica, con lo scopo di restituirla ai sovrani sabaudi dopo l’auspicato ritorno della monarchia.

Gli anni Venti dell’Ottocento segnarono la rinascita della dimora, eletta a residenza estiva prediletta dalla coppia reale, formata da Carlo Felice di Savoia e Maria Cristina di Borbone Napoli, che ne organizzò i restauri, sotto la direzione degli architetti Giuseppe Cardona e Michele Borda. Nello stesso periodo, tra il 1819 e il 1820, si avviò il cantiere del grande parco all’inglese, assegnando l’incarico a Xavier Kurten, paesaggista prussiano, ma naturalizzato piemontese, che proprio nel febbraio 1820 ricevette dal principe Carlo Alberto di Savoia-Carignano la qualifica di direttore del parco e dei giardini del Castello di Racconigi, dove dovette trasferirsi, seguito dalla famiglia, per obblighi contrattuali.

Dettaglio della facciata sud con le preziose inserzioni marmoree

Alla morte di Carlo Felice, avvenuta nel 1831, la residenza passò in proprietà al secondogenito di Carlo Alberto, il duca di Genova Ferdinando di Savoia, che nel 1870 lo vendette alla casa bancaria Tedeschi di Genova, ponendo così fine alla “stagione sabauda” del castello di Govone, destinato a finire, dal 1897, nella proprietà dell’amministrazione comunale.

Con questa nuova condizione giuridica, privato della funzione residenziale, l’antico castello, che fu testimone delle vicende familiari dei conti Solaro e che, per qualche tempo, aveva ospitato i sovrani sabaudi nei loro soggiorni estivi, venne completamente privato del suo sfarzoso arredo, messo all’asta nel 1898 e, in parte, acquistato da Victor Masséna, duca di Rivoli (Rivoli Veronese) e principe di Essling, discendente del maresciallo di Francia André Masséna, per essere trasferito nella sua villa di Nice (Nizza). Oggi molti pezzi dell’arredo originario di Govone si trovano esposti proprio nella città di Nizza, facendo parte delle collezioni del Musée Masséna.     

Giardino del castello: una delle vasche con fontana centrale

Negli interni è degno di ammirazione, tra i raffinati ambienti del piano nobile, il magnifico salone da ballo o d’onore, capolavoro del trompe-l’oeil piemontese, ornato dagli affreschi parietali in chiaroscuro del torinese Luigi Vacca (1778-1854) affiancato da Fabrizio Sevesi, che vi riproposero il mito di Niobe, tema tratto dalla mitologia greca assai in voga a quel tempo (dopo il ritrovamento a Roma del gruppo scultoreo classico dei “Niobidi”, i figli di Niobe, che Carlo Felice e la moglie ebbero modo di osservare in occasione del viaggio a Firenze nel 1817), inquadrandolo nella cornice pittorica di spettacolari finte architetture con effetti suggestivi di illusionismo ottico.  

Uno degli ambienti dell’appartamento cinese, con le figure di volatili di varie specie tra specchi d’acqua, rami di melograno e peonie

Di particolare ampiezza e ariosità è la galleria del gran priore, voluta a metà Settecento dal gran priore Antonio Maurizio Solaro che intendeva celebrarvi i suoi avi, anch’essi gran priori dell’Ordine di Malta, mentre, a sud della camera da parata, sempre al piano nobile, si trova l’appartamento cinese, composto da galleria, camera da letto e bodoire, significativa testimonianza del gusto per l’esotismo orientale e per l’arredo “à la chinoise” che s’era andato radicando nel Piemonte sabaudo tra Seicento e Settecento per influsso della corte francese.

L’appartamento è decorato da papier peints (carte da parato) cinesi, forse acquistate a Vienna al tempo di Giuseppe Roberto Solaro (verso la metà del Settecento), marchese di Breglio, il personaggio più in vista della famiglia (fu ambasciatore sabaudo, come il padre), con scene che rappresentano in modo enciclopedico le produzioni del tè, della porcellana, del riso e della seta, e, nell’ultimo sala, paesaggi floreali con volatili di varie specie tra rami di melograno, specchi d’acqua e peonie in fiore.

Le carte cinesi (definite negli archivi “carte delle Indie” o “carte indiane”, in francese papiers des Indes, perché importate per il tramite di navi della Campagnia delle Indie Orientali) sono integrate da pannelli e decori di fattura occidentale del tipo chinoiseries.

Per informazioni su visite e accessibilità: https://www.castellorealedigovone.it/

Note bibliografiche:

Borra S. (a cura di), Il Castello Di Govone. Architettura, Appartamenti e Giardini, Celid, settembre 2020

www.castellorealedigovone.it