Testo e foto di Paolo Barosso

Il paese di Venaus si trova adagiato all’imbocco della val Cenischia, diramazione laterale della valle di Susa formatasi per effetto dell’erosione del torrente Cenischia, affluente di sinistra della Dora Riparia. Il centro abitato, il cui toponimo è di origine preromana, probabilmente celtica, risulta menzionato già nell’VIII secolo, quando il nobile franco Abbone, noto agli storici per essere il fondatore dell’abbazia della Novalesa e aver ricoperto la carica di governatore della Moriana e di Susa nel periodo della dominazione franca, inserisce il nome della località nel proprio testamento.

Veduta della val Cenischia con il paese di Novalesa sullo sfondo.

La prosperità economica delle comunità della val Cenischia dipese, in passato, dal passaggio della Strada Reale del Moncenisio, importante via di collegamento tra Piemonte e Savoia che per secoli condusse mercanti, pellegrini, soldati e semplici viandanti dalla valle di Susa alla transalpina valle dell’Arc. Realizzata tra Seicento e Settecento, di questa strada sopravvivono soltanto alcuni tratti in corrispondenza della borgata Cornale, frazione di Venaus, dove sono visibili resti di acciottolato e parti dei muretti a secco che la delimitavano.

Salita al Moncenisio di papa Pio VI in un’incisione del 1804 eseguita da Beys G. e Bonato P. (immagine tratta dal web).

L’abitato di Venaus non era, però, attraversato dal tracciato originario della Strada Reale, ma solo da una sua diramazione secondaria, che portava a Susa. Lo sviluppo del paese, con l’apertura di locande e osterie a beneficio dei viaggiatori, si ebbe soprattutto a partire dalla metà del Settecento quando, in seguito alla disastrosa piena alluvionale del 1751 e alla grande frana staccatasi l’anno successivo dal fianco della montagna, si provvide alla definizione di un nuovo tracciato che, questa volta, sarebbe passato attraverso il centro di Venaus.

Gli abitanti del paese, impegnati soprattutto nella gestione delle attività di ristoro e alloggiamento dei viandanti, e anche nel faticoso, ma redditizio, mestiere del marron (o marronnier)– con questo termine si designavano i predecessori delle moderne guide alpine che, partendo da Novalesa, dove finiva la carrozzabile, accompagnavano i viaggiatori lungo il valico del Moncenisio con rudimentali portantine (cadreghe), slitte in vimini a fondo piatto (ramasse) e a dorso di mulo -, conobbero, in seguito alla costruzione della nuova arteria stradale, un periodo di grande dinamismo economico, destinato, però, a conoscere un brusco rallentamento già nei primi dell’Ottocento, quando, con la dominazione napoleonica, si progettò, in sostituzione della Strada Reale, un nuovo percorso chiamato Route Imperiale.

Caratteristica abitazione in pietra di Venaus.

La carrozzabile, nota anche come Strada Napoleonica, saliva da Susa al passo del Moncenisio, tagliando completamente fuori i centri abitati della val Cenischia, Venaus, Novalesa e Ferrera, che vanamente tentarono di opporsi al progetto, anche perché il nuovo tracciato condannava alla fine l’antico mestiere dei marrons, che aveva fatto la fortuna di generazioni di valligiani.   

Oltre alle tracce dell’antica Strada Reale, nel territorio di Venaus si possono osservare, a lato della Statale 25, alcune gallerie paravalanghe, costruite nella seconda metà dell’Ottocento al servizio di una linea ferroviaria provvisoria, chiamata Ferrovia Fell (Chemin de Fer du Mont-Cenis in francese), dal nome del progettista, John Barraclough Fell, il cui percorso seguiva quello della Route Imperiale. L’ardita ferrovia, che collegava Susa con Saint-Jean-de-Maurienne in Savoia, rimase in funzione solo tre anni, dal 1868 al 1871, con un treno composto da tre vagoni merci e tre vagoni passeggeri trainato da una locomotiva speciale, progettata appositamente per superare le forti pendenze che caratterizzavano la linea.

Una visita al centro di Venaus, abbellito da un arredo urbano tenuto con grande cura, consente di ammirare la ricchezza e l’integrità del patrimonio architettonico montano, con abitazioni in pietra e tetti in losa, recuperate e restaurate dopo l’incendio che, nella notte del 3 gennaio 1983, devastò diversi edifici estendendosi anche alla parrocchiale.

Il principale monumento cittadino, testimonianza di arte sacra, è la chiesa parrocchiale dei Santi Biagio e Agata che, pur presentandosi oggi nella veste neo-medievale modellata nel primo decennio del Novecento, con una mescolanza di suggestioni neo-romaniche e neo-gotiche, fa risalire la propria fondazione ai secoli centrali del Medioevo. Già modificata da una riplasmazione seicentesca, la chiesa conserva della struttura più antica lo slanciato campanile, che riproduce i caratteri tipici dello stile delfinale, con un’alta cuspide ottagonale e, ai lati, quattro acroteri a forma di piramide triangolare.

Chiesa parrocchiale di Venaus: veduta del campanile in stile delfinale.

La presenza di queste caratteristiche architettoniche in un’area come la val Cenischia, che non fu mai ricompresa, come altri paesi dell’alta valle di Susa, nei possedimenti dei conti di Albon, conosciuti anche come Delfini del Viennois (da cui “Delfinato”), poi inglobati nel regno di Francia fino al 1713, ci rivela un’influenza culturale e stilistica capace di abbracciare una zona più ampia rispetto a quella strettamente riconducibile alla regione storica del Delfinato e degli Escartons alpini.

La facciata della chiesa parrocchiale, realizzata nel primo decennio del Novecento secondo il gusto del revival medievale.

L’interno della chiesa custodisce alcune preziose opere, testimonianze artistiche del periodo più antico: in particolare, il gruppo statuario del Calvario, attribuito all’intagliatore Jean Clappier di Bessan in Savoia, di cui solo il Cristo centrale è, però, ritenuto originario del XV secolo (il San Giovanni e la Vergine sono successivi), che, per confronto con altre opere analoghe presenti in chiese aldilà del Moncenisio, sembra dovesse dominare, dal trave dell’arco trionfale, il presbiterio dell’antica chiesa; il ciclo di affreschi raffigurante le Storie della Vita di Cristo, ricondotto dagli studiosi, almeno in parte, al primo Cinquecento, visibile sulla parete divisoria della navata centrale da quella laterale sinistra, ma collocato in origine su un muro esterno della costruzione romanica.     

La cappella di San Rocco, con l’affresco tardo-gotico dell’Annunciazione in facciata.

La comunità di Venaus dimostra anche particolare attaccamento alle tradizioni religiose e folkloriche locali.

Nella prima decade di febbraio, in concomitanza con la ricorrenza religiosa dei santi Biagio (3 febbraio) e Sant’Agata (5 febbraio), patroni del paese, si mette in scena la Danza degli Spadonari, un’antichissima pratica rituale, legata all’imminenza della stagione primaverile e all’inizio dell’annata agraria, che si è mantenuta vitale, per quanto riguarda la valle di Susa, nei comuni di San Giorio, Giaglione e, appunto, Venaus.

Affresco murale con la raffigurazione di uno Spadonaro, con la spada e il caratteristico copricapo intessuto di fiori finti, affiancato da una donna nel costume tradizionale, chiamato “Savoiarda”.

La Danza delle Spade, cui, con l’avvento del Cristianesimo, si sovrapposero significati nuovi, mettendo sovente in relazione queste celebrazioni con i festeggiamenti in onore dei santi patroni, affonda le proprie origini in sistemi rituali ancestrali volti a propiziare l’agricoltura e la fertilità della terra nel periodo di transizione dall’inverno alla rinascita primaverile dei campi.

Alcuni dei gesti compiuti dagli Spadonari, che indossano variopinti copricapi di forma ovale, intessuti di fiori artificiali, in plastica o in stoffa, e legati sotto il mento con un grosso nastro, sono infatti spiegati dagli antropologi culturali e dagli studiosi del folklore popolare come finalizzati, secondo gli scopi originari della danza, intrisi di suggestioni pagane e di magismo contadino, a propiziare una buona annata agricola, ingraziandosi le forze della natura.   

Scorcio delle vie interne del paese.

Da questa caratteristica della Danza deriva, ad esempio, il ruolo degli anziani, i più esperti, in origine chiamati a vigilare affinché non si commettessero errori nei movimenti perché anche solo una deviazione dalle regole rituali o un gesto compiuto in modo non corretto (tipicamente la caduta delle spade) erano ritenuti forieri di un cattivo raccolto

Gli Spadonari, tutti uomini, guidati da un Capo, sono affiancati dalle donne in costume tradizionale, detto “Savoiarda”, per le chiare similitudini con gli abiti femminili caratteristici della vicina Savoia, aldilà del Moncenisio.

Oratorio con affreschi votivi all’ingresso del paese.

Lo spirito religioso cristiano si manifesta pienamente, invece, nella processione del Cristo Rosso, che si tiene nel giorno del Giovedì Santo e deriva dalla consuetudine, un tempo molto più sentita e diffusa, delle sacre rappresentazioni della Passione di Cristo nel periodo della Settimana Santa. Il Cristo, nel caso di Venaus, è chiamato “rosso” per il colore della tunica e del cappuccio indossati dalla persona che interpreta Gesù, così come per la grande croce, anch’essa tinta di rosso. La celebrazione, in origine più articolata, si è conservata nella sua parte essenziale, con la processione che ha inizio dopo il Vespro e si conclude, alla fine di un itinerario a tappe per le strade attorno al paese, nella stessa chiesa parrocchiale da cui è partita, con il rito della lavanda dei piedi, praticato dal parroco su dodici anziani del paese in rappresentanza dei dodici Apostoli.

Paolo Barosso