di Paolo Barosso
L’Orto Botanico dell’Università di Torino è un gioiello poco conosciuto, nascosto nel verde del Parco del Valentino, e merita d’essere scoperto e valorizzato.
Situato accanto al Castello del Valentino, l’Orto Botanico venne istituito nel 1729 come “Regio Orto Botanico” per volere di Vittorio Amedeo II di Savoia, re di Sardegna, con finalità didattiche e di documentazione delle specie vegetali, in collegamento con la neonata “cattedra di Bottanica“, voluta per adeguare l’università torinese agli standard dei più prestigiosi atenei europei e pensata, in particolare, per istruire i medici nell’apprendimento delle proprietà farmacologiche delle piante.
In relazione a questo stretto rapporto tra la botanica, scienza che studia i vegetali, e la medicina, c’è da osservare che i primi orti botanici universitari, concepiti come veri e propri musei di piante viventi, erano sorti nel corso del Cinquecento proprio allo scopo di consentire ai futuri medici, che avevano così modo di sviluppare un interesse specifico per l’osservazione della natura, di imparare a riconoscere i cosiddetti “semplici”, ovverosia le specie vegetali (dette “piante officinali” perché lavorate in “officina”) da cui si estraevano i principi attivi utilizzati nella cura delle malattie (da qui la definizione, invalsa nel Medioevo, di “orto dei semplici“).
Tornando all’Orto Botanico torinese, che sostituì un precedente orto universitario nato a Mondovì nel 1560, ne fu primo direttore Giuseppe Bartolomeo Caccia, cui subentrò nel 1750 Vitaliano Donati, medico-naturalista, archeologo e botanico padovano che, chiamato a Torino da re Carlo Emanuele III, venne anche incaricato dal sovrano di compiere un viaggio di ricerca in Oriente finalizzato alla raccolta di reperti naturalistici e archeologici. Dall’Egitto Vitaliano Donati inviò alla corte torinese alcune antichità destinate a costituire il nucleo embrionale del futuro Museo Egizio, ma la sua missione terminò tragicamente durante lo spostamento via mare in India.
Un altro celebre direttore dell’Orto Botanico torinese fu Carlo Allioni, anche lui medico e botanico, fra i più importanti del Settecento, che assunse la carica nel 1763. Soprannominato il “Linneo piemontese”, perché fu tra i primi ad adottare, per la classificazione delle specie vegetali, la nomenclatura binomia introdotta dallo svedese Carlo Linneo, Carlo Allioni impresse una nuova linea d’azione alla gestione dell’Orto, facendo prevalere per la prima volta la funzione scientifica su quella didattica.
Tra i tanti meriti che si riconoscono ad Allioni, autore del testo “Flora Pedemontana” (1785), fondamentale ancora oggi per la conoscenza del patrimonio botanico del Piemonte e dei territori sabaudi (Savoia, Nizza, Aosta), vi sono l’aumento del repertorio di specie vegetali rappresentate nell’Orto torinese fino al numero di circa 4.500 (attualmente se ne contano 5.000), l’avvio di un proficua rete di rapporti con altri orti europei attraverso lo scambio di semi e di piante vive, e la formazione del primo nucleo del futuro Erbario dell’Orto Botanico di Torino, costituito da una vasta collezione di exsiccata, tra le più complete d’Europa.
Oltre all’hortus vivus (orto vivo) e all’hortus siccus (le piante seccate e ordinate a scopo di studio), a cui abbiamo accennato, vi è poi un terzo modo di conservare e tramandare le conoscenze botaniche, il cosiddetto hortus pictus (orto dipinto). Anche in questo terzo ambito l’Orto Botanico torinese, che fin dalla sua istituzione nel 1729 potè avvalersi dell’opera di un disegnatore, si distingue per la ricchezza delle tavole dipinte, dall’alto valore documentario ed estetico, che negli anni sono state radunate nell’Iconographia Taurinensis, conservata presso il Dipartimento di Biologia Vegetale.
Dal punto di vista dell’organizzazione degli spazi, l’Orto Botanico di Torino si compone di due parti, separate dall’edificio contenente aule e laboratori: a sud il Giardino, d’impianto settecentesco, con aiuole dal disegno geometrico in cui le piante sono raggruppate in modo sistematico, e a nord il Boschetto o Arboreto, sezione che risponde a una concezione ottocentesca, con dossi e piccoli rilievi modellati per ricreare un paesaggio naturale di ispirazione romantica.
Il Giardino comprende l’Alpineto, voluto dal direttore Bruno Peyronel nel 1962, con specie alpine coltivate tra rocce provenienti dal Pian della Mussa, le vasche, alimentate da acqua di falda a temperatura costante, la collezione di piante da frutto, i cassoni delle piante officinali, il viale alberato con alcuni esemplari monumentali, e le serre, fra cui quella tropicale, quella del Sud Africa e la serra delle piante succulente.
Addentrandosi nel Boschetto, creato nel 1831, si possono ammirare, tra pianori e collinette, l’area del bosco planiziale, con specie arboree e arbustive della pianura piemontese e padana, lo stagno, che riproduce un ambiente palustre padano, gli antichi fruttiferi, la zona degli alveari e il percorso del Terziario, che comprende specie vegetali presenti nel nostro territorio prima delle grandi glaciazioni e poi scomparse, ma ancora presenti in altre regioni del mondo.