Testo e foto di Paolo Barosso
La storia del presepe artistico conservato nella chiesa torinese di San Filippo Neri risale alla fine del Settecento, poco prima che Torino fosse occupata dalle truppe francesi e il sovrano sabaudo, Carlo Emanuele IV, costretto all’esilio.
Per la narrazione delle vicende che riguardano l’opera, ci basiamo sull’articolo apparso sul periodico “Il Presepio” n.24 del dicembre 1960, in cui si può leggere un’accurata ricostruzione storica.
Avendo saputo che i Padri filippini intendevano realizzare un grande presepe nel loro oratorio torinese, il re di Sardegna decise di donare loro alcune carrate di marmo, estratto da una cava di sua proprietà situata nel territorio di Gassino (qui esistevano parecchi affioramenti di marmo o “pietra di Gassino”, materiale ricco di fossili molto adoperato nella costruzione di palazzi e chiese del barocco piemontese, come l’ingresso della Basilica di Superga, il cortile del Rettorato dell’Università di Torino e il portale di Palazzo Carignano).
L’idea del sovrano era che i Padri filippini, vendendo il marmo di Gassino, potessero destinare il ricavato per finanziare l’allestimento del grandioso presepe che avevano in mente di costruire.
Purtroppo, di lì a poco arrivarono i subbugli, l’impeto rivoluzionario e l‘invasione francese del Piemonte, cosicché il progetto dovette essere accantonato, anche perché la chiesa torinese di San Filippo Neri era stata adibita dagli occupanti francesi a stalla per i cavalli e i Padri oratoriani dispersi nel territorio dell’Arcidiocesi.
Dopo la sconfitta di Napoleone e il ripristino nel 1814 della legittimità monarchica, sancito dal ritorno di re Vittorio Emanuele I di Savoia nell’antica capitale dinastica, anche i Padri filippini ebbero modo di rientrare in possesso della loro Casa torinese, rimettendosi ben presto all’opera nella realizzazione del grandioso presepe, che venne allestito sopra un palco di legno con l’altare nel mezzo, in maniera tale da potervi celebrare le Sante Messe.
Le statue, risistemate e restaurate più volte nel corso del tempo, sono a grandezza naturale di un uomo, formate da “manichini articolati di legno a cui si potevano dare tutte le pose, vestiti talvolta alla piemontese e talvolta all’orientale”. La Madonna, per qualche anno, venne abbigliata con vestiti riccamente ornati secondo la moda orientale, regalati da una duchessa di Aosta che li aveva utilizzati durante un soggiorno in Egitto.
L’opera, già grandiosa di per sé per le dimensioni dei personaggi, era resa ancora più attraente per i torinesi, che accorrevano in gran numero ogni anno per ammirarla, dalla scelta dell’illuminazione, che variava a seconda dei periodi, “a olio, petrolio, gas, elettricità”, e dalla realizzazione di panorami dipinti ad opera di fratelli dell’oratorio.
Nel corso degli anni il presepe di San Filippo Neri venne abbellito con i paludamenti di velluto dei Re Magi e del loro seguito, con le nuove teste dei personaggi “venuti da Parigi” o realizzati dai soci del circolo degli artisti di Torino, e con l’aggiunta di magnifici cammelli, fino a quando, con lo scoppio della Prima guerra mondiale, si interruppe la tradizione di esporlo e i pezzi andarono o dispersi o ammalorati, essendo stati riposti in un locale sotterraneo umido e malsano.
Con la fine del conflitto, il nuovo prefetto dell’Oratorio trovò l’antico presepe in gran parte rovinato e volle che si ponesse mano a un restauro, affidando il compito a una squadra di volenterosi collaboratori, tra cui un valente pittore, che provvide a ridipingere i panorami. Dopo alterne vicende, e un trasferimento temporaneo negli anni Sessanta del Novecento (a Biella e Oropa), il presepe artistico tornò nella sua sede torinese e oggi, grazie alle cure dei Padri filippini, può essere nuovamente ammirato in tutta la sua bellezza.