Testo e foto di Paolo Barosso
Già definito “vetus” (vecchio) in un documento del 1429, il castello di Palazzo Valgorrera, situato nel Pianalto di Poirino, è menzionato per la prima volta in un atto del 1152 quando l’imperatore Federico Barbarossa riconobbe i diritti sulla località al conte Guidone di Biandrate.

I conti di Biandrate, di origine sassone, ebbero signoria su vasti territori, comprendenti, nel periodo di massima espansione (XII secolo), la diocesi di Novara, parte di quella di Vercelli e diversi feudi dislocati tra Chierese, Astigiano, Lomellina, Valsesia e Vallese svizzero (Ottone di Frisinga, vescovo e storico tedesco, nel celebrare le imprese di Guidone, gli attribuiva in tutto il Novarese il possesso di 37 castelli, evidenziando che solo la città di Novara non gli apparteneva).

Appoggiati dall’impero, i Biandrate furono in competizione con Vercelli e Novara per la supremazia territoriale, ma, pur destreggiandosi con abilità tra le opposte forze in campo nella lotta tra comuni e Barbarossa, finirono per andare incontro alla rovina, culminata nella distruzione del centro di Biandrate e nell’atterramento del castello, avvenuti nel marzo 1168 ad opera d’una coalizione di milizie vercellesi e novaresi.

Anche nel territorio di Poirino la presenza dei Biandrate non dovette risultare gradita a Chieresi e Astigiani che, sia per questioni legate ai pedaggi e al transito delle merci, sia perché memori dell’aiuto fornito dagli stessi Biandrate all’imperatore Barbarossa ai loro danni, si mossero insieme contro Porcile e le borgate viciniori, distruggendole poco oltre la metà del XIII secolo.

Come annota l’Atlante castellano della provincia di Torino (Celid, 2007), nel 1299 la località di Palazzo Valgorrera, con il suo castello, era in proprietà dell’astigiano Baldracco Pelletta, che ne cedette in seguito le quote ai guelfi Malabaila, appartenenti a quella cerchia di facoltose e potenti famiglie magnatizie di Asti che, arricchitesi dapprima con i commerci nelle fiere della Champagne e del nord della Francia, tra XIII e XIV secolo reinvestirono i loro guadagni non solo con il semplice esercizio del prestito di denaro su pegno, ma anche ricorrendo a più evolute pratiche finanziarie, antesignane della moderna gestione bancaria.

Queste intraprendenti famiglie astigiane fondarono le loro “casane” (banchi di prestito) nei Paesi Bassi, nelle Fiandre e nel Brabante, giungendo a intrecciare proficue relazioni economiche (e politiche) con città e principi, senza però dimenticare l’investimento immobiliare, coltivato con l’acquisto di feudi, terre e castelli in Piemonte. Qui a Valgorrera i Malabaila rimasero per secoli, poi nel Settecento il sito passò ad altre famiglie e infine pervenne ai Ferrero d’Ormea, che la tennero fin oltre la metà del Novecento.

Il castello, non avendo subito particolari manomissioni o stravolgimenti architettonici nelle epoche successive, si presenta al visitatore come doveva apparire al viandante del Medioevo, ergendosi con la sua mole massiccia su una lieve sporgenza del terreno, una motta, in posizione dominante sulla piana agricola circostante.

In origine l’edificio, costruito in mattoni rossi, era più grande rispetto a quanto si osserva oggi: da un confronto tra i catasti risulta un cedimento o un’ablazione del lato sud avvenuta già verso la metà dell’Ottocento, a cui si tentò di porre rimedio con la costruzione di un “corpo scala” addossato alla parete crollata, funzionale a permettere il raggiungimento dei piani superiori. La parte dell’edificio sopravvissuta, rivolta a nord, è provvista di due graziose bertesche angolari e, al piano rialzato, conserva alcuni ambienti di pregevole architettura con volte gotiche nervate, meritevoli di recupero.

Molteplici, a nostro giudizio, sono gli elementi di interesse che giustificano un intervento di restauro e rifunzionalizzazione del castello di Palazzo Valgorrera a fini culturali e turistici: le intricate vicende del feudo, che si proiettano, tramite i Biandrate prima e i Malabaila dopo, nel grande affresco storico del Medioevo piemontese, la vetustà dell’edificio, considerata la più antica costruzione ancora esistente nel territorio comunale di Poirino, l’armonico inserimento del bene nel contesto della campagna circostante, tale da imporsi come vero e proprio “landmark” capace di caratterizzare e qualificare il paesaggio.

Infine il castello, messo al riparo dal rischio di ulteriori crolli e adeguatamente recuperato, potrebbe rappresentare una tappa di un circuito culturale e turistico volto a collegare e valorizzare i siti d’interesse storico, architettonico e ambientale dell’area di Poirino, tra cui citiamo: il borgo di Ternavasso, con il castello d’origine trecentesca, appartenuto ai Roero, la settecentesca palazzina di caccia, di proprietà dei Thaon di Revel, i boschi, le cascine e il lago artificiale realizzato nel 1612; la Tenuta Spinola-Banna, insieme di edifici medievali e settecenteschi immersi nella campagna, con il castello del marchese Gianluca Spinola, l’annesso giardino disegnato dal paesaggista Paolo Pejrone e la sede della Fondazione Spinola-Banna per l’Arte istituita nel 2004; il castello di Torre Valgorrera, strettamente collegato al borgo di Palazzo Valgorrera e appartenuto nei secoli ad alcuni dei più illustri casati piemontesi, Pelletta, Malabaila, Provana, Roero, Parella.

In collaborazione con la “Commissione per la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico” del movimento culturale “Croce Reale – Rinnovamento nella Tradizione” – Delegazione “Piemonte e Stati di Savoia”