Testo e foto di Paolo Barosso
Situata su un piano alluvionale alla destra del fiume Toce, la città di Domodossola si trova menzionata per la prima volta in uno scritto del geografo, astronomo e matematico Claudio Tolomeo (II sec. d.C.), che la designa come “capitale dei Leponzi” (da cui Alpi Lepontine), chiamandola “Oskella Lepontion”.
Divenuta in epoca romana “Oscela” o “Oscella Lepontiorum” (Oscella dei Leponzi, popolazione locale pre-romana, mescolata all’elemento celtico), la località viene citata nelle fonti alto-medievali come “Oxilla”.

In seguito acquisì la denominazione di “Domus Oxile” (da cui, per passaggi successivi, l’odierna titolatura di Domodossola), toponimo che richiama l’esistenza di una chiesa plebana (“Domus Dei”, nel senso di “Casa di Dio”), la prima e la più importante dell’Ossola, divenuta con il tempo Collegiata, retta da un collegio di canonici dipendenti dai vescovi di Novara, che fin dall’XI secolo avevano ottenuto l’egemonia sul territorio ossolano.

La rilevanza dell’antica Domodossola, sia in epoca celtico-romana, sia nel periodo medievale, derivava dalla collocazione dell’abitato lungo la direttrice che collega l’alto Novarese e la valle dell’Ossola al Vallese svizzero attraverso il valico alpino del Sempione, considerato il punto di congiunzione tra le Alpi Pennine e Lepontine.
Divenuta parte, dal principio del X secolo, del “comitatulus Oxulensis” o “Oxulae”, la località venne attratta nell’area di influenza dei vescovi di Novara, che dalla fine dell’XI secolo vi esercitarono la loro influenza.

Ambita per la posizione geografica, la città passò sotto il dominio visconteo (1381) e fu in seguito a lungo contesa tra le forze in gioco per la supremazia sul territorio, i Visconti, i Vallesani svizzeri e i Savoia (nel 1412 Amedeo VIII, al tempo ancora conte di Savoia, riuscì ad ottenere la dedizione delle comunità dell’Ossola, strappandole per qualche anno all’influenza vallesana).

Nel 1559, con il trattato di Cateau-Cambrésis, Domodossola e il suo territorio vennero assegnati al ducato di Milano e quindi sottoposti alla dominazione spagnola, per poi venire definitivamente integrati negli Stati di Savoia con il trattato di Worms (1743), confermato dalla Pace di Aquisgrana (1748), a suggello della guerra di successione austriaca.

Cuore pulsante di Domodossola è la scenografica piazza Mercato, che appare armoniosa ed elegante pur nella disposizione asimmetrica degli edifici, contornata da porticati quattrocenteschi e da case padronali risalenti nell’aspetto attuale al XV -XVI secolo.

Privata del Palazzo Comunale, che occupava il centro della piazza, demolito nel 1805 per far spazio alla strada napoleonica del Sempione, la piazza si trova a ridosso dello storico quartiere chiamato La Motta, che vanta tra i suoi luoghi più suggestivi la piazza Fontana, ornata da una fontana con vasca ottagonale e un piccolo obelisco installati alla metà dell’Ottocento, e la via Carina, caratterizzata da abitazioni con balconate lignee in stile tradizionale montano, che rivelano influenze dell’architettura Walser presente in alcune valli ossolane. Suggestiva è anche la raccolta piazza Chiossi, dirimpetto a palazzo Silva, ornata al centro da un alto pilone in precedenza collocato nel cimitero, dietro la Madonna della Neve.

Tra le testimonianze architettoniche e storico-artistiche che impreziosiscono il centro di Domodossola, valorizzato da recenti interventi di ripavimentazione stradale e riqualificazione degli edifici, risalta per bellezza e prestigio il Palazzo Silva, considerato una delle migliori realizzazioni dell’architettura rinascimentale in Piemonte, dimora fin dal Trecento della facoltosa famiglia dei Silva di Crevoladossola, che la abitò fino al Settecento inoltrato, con la morte dell’ultimo discendente.

Oggi l’edificio è sede della Fondazione Galletti (creata con i lasciti di Gian Giacomo Galletti), che ha riprodotto all’interno gli ambienti di una casa nobile ossolana del Seicento, con raccolte di cimeli e oggetti d’arte.

La chiesa più importante di Domodossola, che venne definita “civitas” dall’Anonimo Ravennate in un suo scritto del VII secolo malgrado non fosse sede vescovile (il termine “civitas” nelle fonti medievali era riservato ai centri urbani dove risiedeva un vescovo), è la Collegiata dei Santi Gervasio e Protasio.

Con la sua elegante e severa facciata, la Collegiata appare come il rifacimento di fine Settecento di una chiesa più antica, eretta nel XV secolo, di cui sopravvive il portale, incorniciato dall’elegante protiro aggiunto a metà Seicento.

Altro edificio di rilievo è il palazzo San Francesco, sito alle spalle del Palazzo di Città, che deve la denominazione al fatto d’essere stato costruito sulle vestigia tardo duecentesche della preesistente chiesa di San Francesco, in parte ancora visibili (colonne originali, capitelli, volte a crociera delle navatelle, affreschi).

Le sale interne dell’edificio ospitano le collezioni dei Musei Civici “Gian Giacomo Galletti”, di recente riaperti al pubblico. Il percorso museale si articola su tre livelli espotivi, che intendono tracciare una geografia del collezionismo ossolano: oltre al pian terreno, dedicato a mostre temporanee, si visita il primo piano, con il Museo di Scienze Naturali, e il secondo piano, in cui trovano spazio la Pinacoteca, la sezione Archeologica, le collezioni di Arte Sacra e una selezione di disegni realizzati tra fine Cinquecento e Novecento.

Fuori dal centro abitato, lungo il sentiero che conduceva dalla città al castello, di cui oggi rimangono pochi resti in cima al colle di Mattarella, venne tracciata dalla metà del Seicento, per iniziativa della locale comunità di frati Cappuccini, la cosiddetta Via Regia, strada ad uso processionale costeggiata da una sequenza di cappelle (dodici esterne, cui se ne aggiunsero tre interne al Santuario) con la rappresentazione plastica dei Misteri o Stazioni della Via Crucis.

Le cappelle costituiscono, insieme con il Santuario eretto alla sommità del colle, il ragguardevole complesso architettonico del “Sacro Monte Calvario”, annoverato nell’elenco dei sette Sacri Monti del Piemonte tutelati dall’Unesco.

Il luogo e la struttura, in abbandono dopo il periodo napoleonico, vennero affidati a partire dal 1828 alle cure di Antonio Rosmini che, esortato dal conte Giacomo Mellerio, vi fondò la Casa Religiosa dei Padri Rosminiani, considerata la casa madre dell’Istituto.

Sul versante orientale del Sacro Monte Calvario, in frazione Calice di Domodossola, merita infine una visita la chiesa romanica di San Quirico fuori le Mura, originaria dell’XI secolo e costruita in argentea beola sul sito di antichi apprestamenti cultuali pagani, risalenti al tempo dei Leponzi.