Testo e foto di Paolo Barosso
Nell’alto Piemonte, tra le abitazioni della frazione Roldo di Montecrestese, su uno sperone roccioso a dominio della valle ossolana, si trova una vera e propria rarità architettonica: un edificio in pietra di epoca celtica, identificato dagli studiosi come “tempietto lepontico”, ma comunemente noto agli abitanti del luogo come “Torre di Roldo” o “Torre dei Picchi” (secondo la tradizione locale i “Picchi” erano un gruppo di persone dedite al banditismo che operarono in zona tra il XIV e XV secolo).

Furono le ricerche condotte al principio degli anni Settanta dal padre rosminiano don Tullio Bertamini, storico dell’Ossola, a riconoscere nella costruzione, pur alterata nel periodo medievale con l’aggiunta di un corpo di fabbrica sovrapposto a quello originario, i tratti caratteristici di un tempio pagano di matrice celtica, desumibili in particolare dalla disposizione nord-sud, dalla distribuzione e organizzazione degli spazi interni, dalle peculiarità tecnico-costruttive e dalla posizione del manufatto, poggiante su una grande roccia, che con ogni probabilità era già di per sé dotata, prima dell’intervento edificatorio, di una destinazione cultuale.

Il visitatore che giunga in loco, addentrandosi nelle stradine della suggestiva borgata di Roldo, ricca di testimonianze legate alla civiltà rurale di montagna, rimarrà sorpreso dall’ottimo stato di conservazione dell’edificio sacro, costruito in pietra, la cosiddetta “beola”, varietà di gneiss estratta dalle cave ossolane, frammista a marmi locali, visibili sia nella pavimentazione interna in cocciopesto (malta di calce con frammenti laterizi), che risulta impreziosita dall’inserimento di scaglie marmoree, sia nella cornice della finestra quadrata aperta nel lato sud, composta da quattro lastre di marmo bianco.

La struttura in blocchi di beola appare tenuta assieme dall’uso abbondante di malta di calce e dal ricorso a particolari accorgimenti, tali da rivelare la notevole maestria raggiunta dai costruttori del tempietto, come le lunghe pietre d’angolo, che misurano anche due metri, collocate in corrispondenza degli spigoli esterni.

L’edificio, che all’interno è articolato in due ambienti, un piccolo e basso atrio che funge da ingresso, e un secondo vano più spazioso, coperto con volta a botte, che assolveva presumibilmente la funzione di “cella” provvista di altare, venne realizzato da maestranze locali, di etnia lepontica, nel corso del I secolo d.C., quando già era sopraggiunta l’invasione romana, ma prima della cristianizzazione, iniziata in Ossola nel IV secolo.

Si ipotizza che il tempio fosse deputato a ospitare la celebrazione di culti propiziatori, forse in onore della divinità solare, Belenos per il pantheon celtico, equivalente al dio greco Apollo.
A tale conclusione si è giunti basandosi sia sul posizionamento dell’edificio sacro, innestato su una grande formazione rocciosa adoperata come basamento e già in precedenza frequentata come luogo di culto, sia su un secondo significativo indizio: la presenza d’una finestra aperta sulla valle attraverso la quale, nel giorno del solstizio d’inverno, penetrano i raggi solari andando a illuminare, verso mezzogiorno, un punto preciso all’interno della cella, dove, con ogni probabilità, era collocato l’altare.

L’importanza del tempietto lepontico di Montecrestese non è soltanto locale, ma travalica i confini del Piemonte, trattandosi di una testimonianza molto rara, forse unica in Europa, di edificio religioso pagano di epoca celtica conservatosi sostanzialmente integro fino ai nostri giorni.
Tale sopravvivenza è stata resa possibile non soltanto dal materiale impiegato nella costruzione, la pietra, ovviamente più duratura nel tempo rispetto al legno che era normalmente adoperato dalle popolazioni celtiche per erigere i loro templi (al massimo la pietra poteva essere adoperata per i basamenti), ma anche dal fatto che, con l’avvento del Cristianesimo, non si sia proceduto, come spesso accadeva, al riuso del sito, destinandolo al nuovo culto.

Questi fattori hanno consentito il mantenimento dell’integrità della struttura, che è stata soltanto sopraelevata tra il XII e il XIII secolo, adibendola a postazione di vedetta sulla valle sottostante.
Il territorio dell’Ossola, nell’alto Piemonte, è stato profondamente influenzato dalla cultura degli antichi abitatori, chiamati Leponti o Leponzi, connessi all’elemento celtico. Il geografo, matematico e astronomo greco Claudio Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C. ad Alessandria d’Egitto, menziona nei suoi scritti la capitale dei Leponzi, l’odierna Domodossola, denominandola “Oskella Lepontion” (Oscela Lepontiorum), ma collocandola erroneamente nelle Alpi Cozie.
Reperti della civiltà lepontica, emersi dagli scavi dell’importante necropoli di Ornavasso, paese dell’Ossola Inferiore, sono visibili nella sezione archeologica del Museo del Paesaggio di Verbania, presso la sede distaccata allestita nel palazzo comunale di Ornavasso.

Oltre al tempietto lepontico di Roldo, il territorio comunale di Montecrestese, situato appena a nord di Domodossola e composto da una serie di frazioni sparse tra il fondovalle e gli aspri contrafforti montani, conserva significative testimonianze di una remota frequentazione antropica, in particolare i due siti megalitici di Croppolo e Castelluccio, che comprendono complessi in pietra caratterizzati dalla presenza di “menhir”, cioè grandi pietre infisse nel terreno, grezzamente lavorate e disposte secondo disegni più o meni intellegibili (ad esempio in circolo attorno a un menhir centrale più alto) e di camere ipogee a pianta rettangolare o ellittica ricavate nei terrazzamenti costruiti a scopo di sfruttamento agricolo sul fianco della montagna.

Questi siti preistorici sono espressione del cosiddetto “megalitismo” architettonico, manifestatosi in Europa a partire dal IV millennio a.C. e prolungatosi in alcune regioni fino all’Età del Bronzo, periodo in cui l’uomo acquisì una particolare abilità nella lavorazione delle pietre di grandi dimensioni, che venivano sistemate nel terreno e impiegate per l’erezione di complessi monumentali la cui funzione è ancora oggi non del tutto chiara: c’è chi ne sostiene la valenza sacrale, legata alla celebrazione di riti propiziatori, o funeraria, interpretando ad esempio le steli alla stregua di segnacoli di sepolture, e chi ne ipotizza invece l’utilizzo come siti di osservazione astronomica.
Nel caso delle camere ipogee ritrovate a Montecrestese, come anche a Varchignoli nel comune di Villadossola, all’imbocco della valle Antrona, rimane il dubbio se si trattasse di vani adibiti ad abitazione, a ricovero per animali o attrezzi, a camera sepolcrale oppure se li si debba leggere come elementi architettonici di supporto e rinforzo dei soprastanti terrazzamenti coltivati.
Note bibliografiche e siti internet
Tullio Bertamini, Tempietto lepontico a Montecrestese, in Oscellana, VI, 1 1976
www.archeocarta.org, Montecretese (Vb): tempietto lepontico o torre di Roldo