Il 13 ottobre 1882 muore a Torino il conte Joseph Arthur de Gobineau: come lo ricorda la nostra città?
di Milo Julini
Nello “Stato Civile” di Torino del 14 ottobre 1882, riportato dalla “Gazzetta Piemontese” di domenica 15 ottobre 1882, alla voce “Morti denunciati” appare per primo un personaggio dall’inusuale nome e cognome di Arthur Giuseppe conte di Gobineau, d’anni 63, di Normandia.
Chi sia questo signore, del quale sono fornite indicazioni inesatte circa la data di morte (13 ottobre) e l’età (66 anni), lo stesso giornale lo spiegherà molti anni dopo e con dovizia di dettagli sui suoi ultimi istanti.
Il giornalista e saggista Concetto Pettinato nel 1923, scrive: «Sulla fine di un pomeriggio di ottobre del 1882, in un tranvai di Torino, un signore dai baffi e dal pizzo bianchi, pallido come un cencio e con l’alta fronte imperlata di sudore, arrovesciò il capo sullo schienale e invocò balbettando l’aiuto dei presenti affinché lo trasportassero in una vettura di piazza e ordinassero al vetturino di ricondurlo al suo albergo. Di lì a poche ore, lo sconosciuto spirava. Dai registri dell’albergo risultò trattarsi del conte Arturo Giuseppe di Gobineau, proveniente da Parigi e diretto a Roma» (Concetto Pettinato, La rivincita di Gobineau, “La Stampa”, 16 novembre 1923).
Sei anni dopo, era la volta di un giornalista che si firma “Alpa” a raccontare che «La sera del 12 ottobre 1882, in un omnibus di Torino, un vecchio dalla fisionomia fine, dal pizzo alla Napoleone III, che indossava lo stiffelius con eleganza, sentendosi male, chiese soccorso. Livido, bagnato di sudore freddo, colpito da paralisi quasi fulminea, fu trasportato all’albergo Liguria, dove si era fermato brevi ore desinando [alla] table d’hôtel. (L’albergo di questo nome era sito in via Carlo Alberto, numero 31 bis, e fu soppresso nel 1886). Riusciti vani i soccorsi di un medico, il malato cessava di vivere a minuti trenta (sic!) del giorno 13. Moriva così senza che gli amici e i parenti ne confortassero l’ultima ora, assistito da Albino Guidi, albergatore, da Santino De Ambrogio, inserviente, e da Giacomo Chiesa, portiere, il conte Arturo Giuseppe di Gobineau già ministro plenipotenziario di Francia, l’amico di Riccardo Wagner, di Prospero Merimée, di Alessio di Tocqueville, di Ernesto Renan, di don Pedro, l’ultimo imperatore del Brasile, di Giorgio V il cieco, re di Hannover; l’uomo che aveva percorso il mondo dall’Iran al Brasile, con gli occhi dello scopritore, l’autore di una quarantina di opere singolarissime.
Il 21 ottobre la sua spoglia mortale fu sepolta nel cimitero di Torino nell’arcata 87 del primo ampliamento. Ivi sotto il porticato, è murata una lapide semplice con questa epigrafe: “Conte Gobineau Arturo Giuseppe, morto il 13 ottobre 1882, d’anni 66”» (Alpa, Gobineau e l’Italia, “La Stampa” 6 maggio 1929).
Non seguiremo Pettinato e Alpa nelle loro erudite (e ampollose) dissertazioni su Gobineau, per capire chi sia leggiamo cosa scrive la Enciclopedia Treccani:
«Gobineau, Joseph-Arthur conte di. – Diplomatico e scrittore francese (Ville-d’Avray 1816 – Torino 1882). Entrato nella carriera diplomatica nel 1849, fu segretario a Berna (1849-54), poi ministro di Francia in Persia (1855-58), in Grecia (1864-68), in Brasile e in Svezia (1872-77). Scrisse varie opere fra cui La Renaissance (scene storiche, 1877), l’Histoire des Perses d’après les auteurs orientaux, grecs et latins (1869), libri di viaggio come Trois ans en Asie (1859), romanzi come Les Pléiades (1874), poemi come Amadis (1876).
Ma l’opera che gli diede celebrità è l’Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-55), in cui, all’interno di uno studio sulla nascita e la decadenza delle civiltà, cercò di dimostrare l’innata diversità di carattere dei singoli popoli, sostenendo il primato della razza “aria” e, in essa, dell’elemento germanico. Tale concezione, che rese G. famoso in Germania, ove nel 1894 si costituì a Friburgo una Gobineau-Vereinigung, è stata talora considerata premessa teorica del razzismo nazista».
Nel 1932, 50° anniversario della morte, a Torino vi è il clima giusto per la valorizzazione del personaggio, almeno in alcuni suoi aspetti. Il Consiglio Comunale fa porre una nuova iscrizione al Cimitero Monumentale: «Giuseppe Arturo Conte di Gobineau, nato in Villa d’Avray nel 1816 e morto in Torino il 13 ottobre 1882 diplomatico, scrittore filosofo, il tempo e gli eventi ne esaltano la figura di presago pensatore».
Una seconda lapide commemorativa è posta in corrispondenza dell’albergo dove è morto, identificato con qualche incertezza in via Carlo Alberto 45 bis, all’angolo con via Andrea Doria, sulla facciata della casa che è stata, in un recente passato, sede del ristorante “I Due Lampioni”.
A proposito di questa seconda lapide, subito rimossa dopo la fine della seconda guerra mondiale, lo scrittore Vittorio Messori formula uno stuzzicante parallelo con Nietzsche: «Ma che venne a fare a Torino, morendovi per infarto a porta Nuova, nel 1882, e restandovi sepolto in una tomba al Cimitero Generale sovraccarica di simboli misteriosi e che nessuno sa chi abbia progettato e pagato, che venne a farci il conte di Gobineau, il padre del moderno razzismo, il cantore della superiorità ariana, l’autore del Saggio sulla ineguaglianza delle razze umane? Non si è mai saputo perché questo personaggio cosmopolita, dai risvolti inquietanti e misteriosi, fosse attirato da una città di mezza provincia com’era allora Torino. Sappiamo invece del giudizio di Nietzsche, in una lettera del suo secondo soggiorno: “Sono di nuovo nella mia cara città di Torino, questa città che anche Gobineau ha tanto amato. Probabilmente, essa ci rende uguali”.
Eguali, certamente nella discendenza spirituale: la lapide sulla casa che Nietzsche abitò fu posta nel 1944, in una Torino occupata da quei nazisti che – a torto o ragione – anche a lui e alla sua dottrina si ispiravano. Andati via i tedeschi, per decisione dell’amministrazione democratica fu tolta la lapide sulla facciata dell’albergo dove Gobineau terminò la sua agonia, cominciata alla stazione. Quel suo luogo di morte fisica fu in via Carlo Alberto, la stessa in cui Nietzsche, sprofondando nella follia, trovò la morte spirituale» (Vittorio Messori, Il mistero di Torino, Mondadori, 2004).
Parallelo stuzzicante, come si è detto, che evidenzia fatti incontestabili: non sarebbe forse ora di revocare la damnatio memoriae decretata dalla intellighènzia torinese nei confronti di questo personaggio?