di Milo Julini

La morte di Carolina Invernizio”: sotto questo titolo, “La Stampa” di martedì 28 novembre 1916, scrive: «È morta ieri, alle ore 18, a Cuneo, dove si trovava presso il marito colonnello Quinterno, la scrittrice di romanzi Carolina Invernizio. La morte è avvenuta per broncopolmonite, dopo una breve malattia durata sette giorni. A Cuneo le si preparano solenni funerali».

A questa stringata notizia segue un breve approfondimento:

«Carolina Invernizio era certamente la più popolare delle nostre scrittrici di romanzi, ed a Torino specialmente ella era notissima, quantunque vivesse piuttosto appartata. Vi fu un periodo in cui i suoi romanzi, oltre una cinquantina complessivamente [se ne calcolano circa tre volte tanti!, N.d.A.], ebbero una grande fortuna e molti di essi furono anche tradotti e divulgati all’estero. Carolina Invernizio non fu una scrittrice forbitissima, letterariamente parlando, ma si era formato uno stile suo proprio, semplice ed accessibile e conosceva tutte le piccole malizie del narratore che sa avvincere e commuovere. Tra i suoi romanzi più noti si ricordano: Bacio infame, Cuore di Madre, Il cadavere accusatore, Il Genio del male, Il segreto di un bandito, I misteri delle soffitte, La donna fatale, La morta nel baule, La sepolta viva, La peccatrice ecc.

Quasi tutti i romanzi della Invernizio ritraevano lo spunto dalle cronache di avvenimenti reali ed avevano per isfondo alle vicende del dramma l’ambiente torinese. Per questo appunto, tra il popolo nostro, essi si divulgarono con rapidità prodigiosa e con successo grandissimo».

Un testo solo in apparenza conciso e sintetico perché, a parte la forte riduzione del numero dei libri scritti da Carolina Invernizio, riporta tutti gli elementi essenziali della sua produzione letteraria: quella di una autrice di romanzi d’appendice fra le più popolari tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Viene lasciata in ombra la sua vita personale, ben tratteggiata dalla frase «notissima, quantunque vivesse piuttosto appartata». Una scrittrice nota e apprezzata soltanto per quanto scrive, della quale non si conosce neppure il volto, figuriamoci il gossip!

E bisogna dire che Carolina Invernizio sui suoi dati personali non solo ha mantenuto grande riserbo – intervistata da Guido Gozzano per la stampa del suo centesimo romanzo non vuole che si pubblichi la sua foto! – ma non ha esitato a alterare la verità: è nata a Voghera, ancora appartenente al Regno di Sardegna, il 28 marzo 1851 ma ha accreditato come anno di nascita il 1858.

Così, per lungo tempo, si è scritto che era sette anni più giovane… ringiovanimento non legato a pura civetteria ma, pare, derivante dal desiderio di non apparire più anziana del marito.

E a proposito del marito, Marcello Quinterno, di Govone (Cuneo), sposato nel 1881, si dice spesso che fosse ufficiale dei bersaglieri. Apparteneva invece al servizio di Commissariato militare, quello che provvede alle truppe il vettovagliamento, il vestiario, l’equipaggiamento. Marcello Quinterno si occupava di vettovagliamento, a Torino dirigeva il Panificio Militare. Un burocrate militare che Carolina promuove al rango di affascinante bersagliere – i bersaglieri al tempo erano il fiore all’occhiello dell’Esercito italiano – grazie ad una foto dove il marito portava il cappello piumato.

La rete fornisce molte notizie su Carolina Invernizio, a partire dal Dizionario Biografico Treccani. Preferisco soffermarmi sulla “mia” Carolina Invernizio, l’autrice de «Il piccolo di Vanchiglia (‘L Cit ‘d Vanchija)», pubblicato sull’appendice della Gazzetta di Torino e poi in volume nel 1895 dalla Tipografia della Gazzetta di Torino.

La Invernizio ha permesso all’editore Salani di Firenze di modificare il titolo strettamente legato alla realtà torinese e così nel 1898 è apparso Il segreto di un bandito. Romanzo storico sociale. Ne esiste anche una versione in spagnolo, destinata agli immigrati italiani nell’America del Sud, El secreto de un bandido. Novela historica social, Reggiani, Buenos Aires Milano, 1900 (versione in spagnolo di L. M. Bocalandro).

La Invernizio, in omaggio ad un modello riconducibile a Rocambole ed a Vautrin, lo presenta come un ladro gentiluomo, che vive una doppia vita. È capace di muoversi a suo perfetto agio, elegante, distinto, bello e seducente, nella buona società aristocratica torinese dove fa strage di cuori di dame e contemporaneamente, come genio del male, è a capo una associazione di malfattori vasta e tentacolare con adepti anche all’estero e fra le basse forze di polizia.  È un quadro molto lontano dalla realtà, ma comunque interessante poiché così il Cit ëd Vanchija rappresenta l’Arsenio Lupin italiano.

In quarant’anni di attività Carolina Invernizio ha scritto oltre centoventi romanzi di cui uno in piemontese, Ij delit ëd na bela fija (1889-1890). Molti escono a puntate sul quotidiano torinese La Gazzetta di Torino; quasi tutti sono pubblicati dall’editore Salani di Firenze, che li piazza con successo anche nell’America latina, presso i nostri emigranti.

Sono strutturati in modo da avvincere il lettore dall’inizio all’ultima pagina: raccontano di infami seduttori, di donne malvagie e corrotte affiancate a creature angeliche, di sepolte vive, di morte che risorgono dal sepolcro per vendicare le offese ricevute. L’esito prevede costantemente la punizione del colpevole o dei colpevoli (più spesso ad opera della giustizia divina e di vendetta privata, piuttosto che di sentenze della magistratura) e il trionfo degli innocenti, spesso sancito da un matrimonio.

Molte opere della Invernizio non appaiono del tutto riconducibili alla detective story anglosassone ma, nei suoi romanzi del primo decennio del Novecento, mette a punto in modo più preciso l’impianto del racconto investigativo.

Si avvertono i primi segni di questa sua evoluzione verso il poliziesco ne I ladri dell’onore (1894), dove compare la figura di una detective dilettante, rappresentata da un personaggio classico dell’appendice, la fanciulla disonorata e tradita. Così, per amor di vendetta, la fanciulla Lorenza Adile assume un ruolo investigativo.

Si trova un deciso impianto investigativo ne I misteri delle soffitte (1901), La felicità nel delitto (1907), Il cadavere accusatore (1912), e soprattutto in Nina, la poliziotta dilettante (1909), che sancisce l’approdo della Invernizio al romanzo giallo vero e proprio.

La Invernizio costituisce un caso forse unico nella detective story italiana perché attinge i suoi personaggi in ambito esclusivamente femminile. Sono figure femminili che ideano o eseguono il crimine, sono investigatrici dilettanti che risolvono l’enigma secondo le tappe canoniche della detection. Le figure maschili, escluse quasi completamente dall’azione, sono relegate a ruoli passivi di assassinato o di complice. Le investigatrici di Carolina Invernizio agiscono nell’ambito di un solo romanzo, non sono mai protagoniste di una serie.

Carolina Invernizio è definita da Emilio Zanzi, sulla Gazzetta del Popolo nel 1932, come la mamma dei “libri gialli”, quando nell’estate del 1929 è nata la collana  I libri gialli di Mondadori.

È opportuno ricordare gli ostacoli e le difficoltà che il perbenismo e il conformismo torinese dell’epoca frapponevano alla signora Quinterno per la sua attività di scrittrice come Carolina Invernizio: era costretta a trovare le sue fonti di ispirazione unicamente nella cronaca giudiziaria dei giornali, senza collaboratori, senza esperti, senza ghost writer, senza la possibilità di contatti diretti, se non con i criminali, almeno con esponenti delle forze dell’ordine come Charles Dickens e Wilkie Collins, amici di investigatori di Scotland Yard, e come Victor Hugo e Balzac che frequentavano Eugène Francois Vidocq, ladro e galeotto evaso divenuto un brillante poliziotto parigino.

Con tutti questi limiti, il successo e l’importanza di Carolina Invernizio sono stati giustamente riconosciuti dalle affermazioni di Emilio Zanzi.

Concludiamo ricordando una scrittrice che, a nostro avviso, rappresenta la versione statunitense di Carolina Invernizio: Anna Katharine Green (Brooklyn, 1846-1935), considerata la prima vera scrittrice di romanzi polizieschi, che crea il personaggio di Ebezener Gryce investigatore, schivo e modesto, della Metropolitan Police di New York, che appare nel 1878, nel suo primo romanzo, Il mistero delle due cugine (The Leavenworth case), considerato il suo capolavoro, oltre che pietra miliare del giallo, perché usa per la prima volta l’espressione detective story.

A Cuneo, Carolina apre nel 1914 il suo salotto di via Barbaroux a intellettuali e a personaggi della cultura, come recita la targa commemorativa posta sulla sua casa: «In questa casa Carolina Invernizio il 27 novembre 1916 chiude l’operosa esistenza fra il signorile salotto e i romanzeschi fantasmi».