di Paolo Barosso

Nei pressi dell’abitato di Dronero, in borgata Monastero, sul lato destro del torrente Maira, sorge la chiesa parrocchiale di Sant’Antonio, importante edificio che incorpora consistenti tracce del più antico complesso monastico cistercense femminile del Piemonte.

Veduta dell’elegante chiostro quattrocentesco

Il cenobio di Sant’Antonio, abitato da monache benedettine-cistercensi*, venne fondato in una data che oscilla tra il 1125 e il 1135 per iniziativa dei potenti marchesi di Busca, ramo della vasta famiglia aleramica, derivato da Guglielmo, figlio di Bonifacio del Vasto.

La fortuna dei marchesi di Busca, benefattori della celebre abbazia di Staffarda, con cui intrattennero intensi rapporti devozionali e patrimoniali, è legata alla figura dell’imperatore svevo Federico II. In particolare Manfredo II, nipote del capostipite Guglielmo, fu vicario generale dell’impero “da Pavia in su” tra 1238 e 1250, e la sorella Bianca Lancia diede all’imperatore germanico, con cui aveva intrecciato una relazione adulterina, due figli, poi legittimati (a seguito del matrimonio celebrato in articulo mortis): Costanza, che nel 1241 sposò l’imperatore di Nicea, e Manfredi, lo sventurato re di Sicilia caduto a Benevento nel 1266 combattendo contro Carlo d’Angiò.

La facciata della chiesa parrocchiale di Sant’Antonio come si presenta oggi

Il monastero di Sant’Antonio di Dronero, operante in un’area, la bassa Val Maira, già sede di insediamenti monastici sin dall’VIII secolo, con le abbazie di San Costanzo al Monte e Villar San Costanzo, fu dipendenza della fiorente abbazia di Staffarda (1), accumulando in breve tempo un significativo patrimonio fondiario, frutto di donazioni, in buona parte dovute ai marchesi di Saluzzo, con terreni nelle zone di Cuneo, Fossano, Villafalletto.

Già nel XV secolo si registrano i segni anticipatori della crisi che avrebbe condotto nel Cinquecento alla soppressione del monastero: la diminuzione progressiva del numero delle monache, provenienti in prevalenza dai ranghi della nobiltà, e una certa decadenza della disciplina monastica, attestata dal richiamo del vescovo di Torino, Ludovico dei marchesi di Romagnano, che nel 1466 invitò la comunità a un’osservanza più attenta dei doveri spirituali e liturgici.

Il lungo corridoio con le cellette delle monache

Tra le figure più eminenti del monastero di Sant’Antonio, ricordiamo l’ultima badessa, Isabella “De’ Burgo” della nobile famiglia dei Costanzia di Costigliole, cui apparteneva anche Giorgio, l’abate di Villar San Costanzo che fece realizzare la splendida cappella funeraria a lui destinata con le pareti affrescate da Pietro da Saluzzo. Isabella, promotrice di lavori di restauro e ammodernamento del complesso di Sant’Antonio, difese i diritti del monastero contro le pretese del comune di Dronero e del vescovo di Alba (nella cui diocesi si trovavano diversi possedimenti, chiese e priorati dipendenti dal monastero di Sant’Antonio), venendo coinvolta in una contesa pluriennale che si concluse purtroppo con la sconfitta della comunità.

Un tratto sopravvissuto delle antiche mura monastiche

Nel 1511, l’anno stesso della morte di Isabella, la città di Saluzzo venne eretta in diocesi con Bolla di Papa Giulio II: con il medesimo provvedimento si disponeva la soppressione del monastero di Sant’Antonio, adducendo come giustificazione la decadenza della disciplina monastica.

Contro l’applicazione della Bolla vi fu l’opposizione delle monache, ma la lunga contesa che ne derivò si risolse nel 1592 con la chiusura definitiva del monastero e l’allontanamento delle religiose, che trovarono sistemazione in parte a Fossano e in parte a Saluzzo. Il vescovo della neonata diocesi, che accolse le monache con tutti gli onori, tenne per sé il nuovo titolo di Parroco di Sant’Antonio, delegando le funzioni a un vicario. Nel frattempo il marchesato di Saluzzo, che era caduto nelle mani dei Francesi dopo la morte di Gabriele, l’ultimo dei marchesi, avvenuta nel 1548, era stato militarmente occupato dal duca Carlo Emanuele I di Savoia, che ottenne poi la formale assegnazione dei territori saluzzesi con il Trattato di Lione del 1601.

Scorcio del chiostro quattrocentesco con gli aggraziati pilastri in cotto sormontati da capitelli

Da quel momento in avanti s’intrapresero radicali lavori di trasformazione del complesso, che venne snaturato, e della cui struttura originaria si conservarono in particolare il chiostro e una parte del porticato, accanto ad altre tracce architettoniche e pittoriche, come l’affresco raffigurante la Madonna del Latte, fatto risalire al tempo della badessa Isabella, quindi tardo-quattrocentesco. L’affresco è stato riportato alla luce di recente, con la campagna di restauri condotta grazie all’eredità di don Alessandro Marino, l’ultimo vicario, morto nel 1999 (in seguito sostituito nelle funzioni di parroco dall’arciprete di Dronero).

L’affresco della Madonna del Latte, di recente riportato alla luce

Con i fondi del lascito, cui si sono aggiunte donazioni di benefattori, si è potuto recuperare quanto sopravviveva della struttura originaria, in particolare l’elegante chiostro quadrangolare con pilastri ottagonali in cotto, d’aspetto quattrocentesco, le cellette delle monache, la casa vescovile, adoperata come residenza estiva e in occasione delle visite pastorali in loco, e gli ambienti della vecchia stalla, ricavata dopo la soppressione del monastero, adibita ora a sala polivalente con l’intitolazione alla memoria di Don Marino.

L’interno della chiesa parrocchiale, frutto dei radicali rimaneggiamenti successivi alla soppressione del monastero
  1. Si discute sulla data di effettivo inquadramento del monastero nell’Ordine Cistercense, se sia contestuale alla fondazione o successiva (non è possibile accertarlo su base documentale)
  2. Alcuni ipotizzano un periodo originario di autonomia del monastero, solo in un secondo momento sottoposto all’autorità dell’abate di Staffarda

Note bibliografiche:

Franco Caresio, Abbazie in Piemonte, EDA, Torino, 1999

A. Piovano-L. Fogliato, Abbazie e Certose. Religione, economia e arte nel Cuneese medievale, Cavallermaggiore 1979

www.cittaecattedrali.it

Tutte le foto pubblicate sono di Roberto Beltramo

Scorcio dell’ala dell’antico monastero con le cellette delle monache