Testo e foto di Paolo Barosso

La chiesa romanica di San Lorenzo a Montiglio Monferrato, con il suo ricco apparato scultoreo e decorativo, è un notevole esempio di quella “scuola del Monferrato” che nel primo Novecento suscitò l’interesse dello storico dell’arte e medievista americano Arthur Kinglsey Porter, tra i primi a individuarne i tratti caratterizzanti.

Veduta del paese di Montiglio dalla collina della pieve di San Lorenzo

Come risulta da un elenco di pievi della diocesi di Vercelli, in cui la località di Montiglio era in origine inclusa, l’edificio di culto, oggi adibito a cappella cimiteriale, esisteva già nel X secolo, anche se della primitiva costruzione non sembrano rimanere tracce (all’interno si nota però una lastra tombale, risalente alla fine del VI secolo, quindi all’epoca longobarda, che reca un nome sassone, Sahsmar).

L’interno della pieve di San Lorenzo

La chiesa, forse sorta sulle fondamenta d’un tempio pagano dedicato a Mercurio (o, secondo un’altra tradizione, a Esculapio), funzionò per molto tempo come “pieve”, antesignana delle odierne parrocchie, e quindi come punto di riferimento per la vita religiosa, ma anche economica e amministrativa, di un vasto distretto ecclesiastico (piviere) comprendente più chiese minori (ecclesiae subiectae), chiamate oratorii o tituli. Queste, così come gli abitanti del distretto, facevano capo al “pievano” (o arciprete), che aveva diritto di battesimo e sepoltura e riscuoteva le decime, versate in natura (corrispondenti alla decima parte del raccolto), a sua volta suddivise in quattro quote, destinate rispettivamente al vescovo, alla chiesa, al mantenimento del sacerdote e ai poveri.

L’importanza della chiesa battesimale di San Lorenzo, con giurisdizione su un ampio territorio, si spiega con la posizione privilegiata della località di Montiglio, situata lungo l’itinerario che in epoca romana conduceva da Hasta Pompeia (Asti) a Industria (Monteu da Po) con il suo porto sul fiume Po e, in età medievale, posta al centro degli interessi geopolitici dei marchesi del Monferrato, che vi fecero erigere un possente castrum già nel XII secolo.   

L’area absidale della pieve con la tipica alternanza cromatica e le due sporgenze laterali, aggiunte nel Settecento dopo l’eliminazione delle due navate minori

Gli elementi architettonici della chiesa di San Lorenzo sopravvissuti agli interventi edilizi più recenti (realizzati nel Settecento e Ottocento) non appartengono però a questo primo edificio sacro, di cui, come si è detto, non ci sono giunte testimonianze visibili, ma vengono fatti risalire dagli studiosi a un periodo compreso tra il 1140 e l’ultimo trentennio del XII secolo.

Veduta del fianco laterale sud della pieve di San Lorenzo

Nella seconda metà del Cinquecento, come risulta dai verbali dei sopralluoghi condotti dai visitatori apostolici della diocesi di Casale (dal 1474, con l’istituzione della nuova diocesi da parte di papa Sisto IV, la pieve di Montiglio passò dalla giurisdizione di Vercelli a quella di Casale), si diede inizio alla costruzione nel centro del paese di una nuova chiesa parrocchiale, con il titolo di Santa Maria della Pace, e l’antica pieve di San Lorenzo, per la sua posizione ormai marginale rispetto al cuore dell’abitato, mantenne per sé solo il ruolo di cappella cimiteriale, attraversando una lunga fase di declino che avrebbe reso necessari gli interventi di risistemazione realizzati tra Settecento e Ottocento.

Proprio alla fine del Settecento, in conseguenza del cedimento della copertura originaria della chiesa (forse a capriata, tratto caratteristico del romanico astigiano e monferrino), si provvide alla costruzione dell’attuale volta a botte. Alcuni studiosi, giudicandola erroneamente d’origine medievale, la reputarono ispirata all’architettura provenzale, ma si sbagliavano perché non avevano tenuto conto dell’intervento settecentesco.

Il capitello con la raffigurazione di due personaggi tra elementi vegetali, interpretati a seconda delle versioni come Adamo ed Eva avvolti dalle spire del male dopo il peccato originale, come due vignaioli intenti a pigiare l’uva o come una scena agreste con due fauni

Il cantiere, oltre a manomettere la struttura romanica della volta e delle pareti, provocò problemi di stabilità all’edificio, per via del maggior peso della nuova copertura, e si dovette in tempi brevi intervenire di nuovo procedendo all’eliminazione delle due navate laterali, che in origine terminavano in due absidi minori. Ne derivò lo stravolgimento della planimetria originaria della chiesa, che oggi si presenta al visitatore ad aula unica, con una sequenza di cappelle con pianta a trapezio lungo le pareti.

Fortunatamente, nella rimodulazione degli spazi interni, si salvaguardarono le colonne della costruzione medievale e (almeno per tre lati, essendo il quarto lato non più visibile perché incorporato nel muro), i preziosi capitelli scolpiti e istoriati, che sono un importante esempio di arte romanica, con il loro straordinario repertorio iconografico in cui si riconoscono riferimenti all’Antico Testamento e una pluralità di significati simbolici, perfettamente comprensibili per l’uomo medievale, molto meno per l’uomo contemporaneo, con insegnamenti spirituali e ammonimenti morali rivolti al fedele e al pellegrino di passaggio (a questo proposito, si noti che uno dei modiglioni del coronamento esterno dell’abside è in forma di conchiglia, richiamo simbolico all’idea del pellegrinaggio, mentre altri presentano teste antropomorfe, forse in funzione apotropaica, o sono del tipo francese a copeaux).

Le sculture dei bellissimi capitelli sono attribuite a maestranze con ogni probabilità provenienti da Tolosa in Francia, che erano già state attive nel cantiere dell’abbazia di Santa Fede a Cavagnolo (Torino).

Lato sud: coronamento ad archetti pensili intrecciati del cleristorio sormontato da cornice fitomorfa

Il volto di diavolo raffigurato sulla prima colonna di destra, intento a mordersi la coda per la rabbia, sembra voler esprimere disappunto alla vista del fedele che, entrando in chiesa e dirigendosi verso l’altare, accompagnato dalla foresta di segni e simboli scolpiti, compie un processo di purificazione, pentendosi dei peccati e riavvicinandosi a Dio. 

Capitello con motivo a nastro intrecciato e agli spigoli sirene bicaudate, evocazione simbolica della doppiezza

Vi sono poi scene di non facile lettura, che da un lato mostrano la difficoltà per l’uomo di oggi, intriso di materialismo, a interpretare correttamente scene e figure dal significato non chiaro, e dall’altro lato mostrano bene la tipica ambiguità e ambivalenza del simbolo, che evidenzia la sua capacità di indicare a chi guarda non un solo concetto, ma un ampio ventaglio di riferimenti spirituali e morali, talvolta in contrasto tra loro.

E’ il caso del capitello in cui compaiono due figure umane tra elementi vegetali: qualcuno vi scorge il richiamo all’episodio veterotestamentario di Adamo ed Eva, avvolti nelle spire del male dopo il peccato originale, altri vi vedono una scena agreste con due fauni dei boschi e altri ancora dei vignaioli intenti a pigiare l’uva.

Tornando all’esterno, balza subito agli occhi, salendo la stradina che conduce all’ingresso della chiesa, la semplice facciata del tipo a salienti, che non è quella originaria del XII secolo, ma è il frutto di una sovrapposizione di interventi: il primo realizzato nel tardo Settecento, il secondo nel corso dell’Ottocento e il terzo in occasione dei restauri del 1950-59 quando, giudicando inappropriata la facciata neoclassica ottocentesca, la si sostituì con una moderna, ma molto più in sintonia con lo stile romanico delle origini.

L’impianto della chiesa, come già osservato, rispecchia bene molti dei caratteri considerati caratteristici della scuola romanica del Monferrato, riguardante in realtà una vasta area geografica interna al Piemonte che non coincide né con i confini storici e politici dello Stato marchionale monferrino, estremamente mutevoli a seconda dei periodi, né con il territorio oggi abitualmente definito con questo nome.

Si trovano infatti chiese campestri rispondenti ai parametri costruttivi e estetici di questa scuola non solo nel Monferrato propriamente detto, ma entro un perimetro territoriale molto più ampio, che comprende le colline del Chierese orientale e naturalmente tutta l’Astesana, cioè le zone storicamente sottoposte alla dominazione del comune di Asti, in molti frangenti rivale dei marchesi monferrini, estendendosi nell’Acquese, nell’Ovadese (Alto Monferrato) e nel Tortonese occidentale.

Fondendo richiami culturali di matrice borgognona, provenzale e padana, il romanico sviluppatosi nelle campagne astigiane e monferrine tra XI e XII secolo, soprattutto ad opera di maestranze locali, rielaborò questi influssi artistici di diversa provenienza, giungendo a caratterizzarsi in modo marcato per alcuni tratti originali, ancora oggi ben riconoscibili a chi osservi queste chiesette che, nel loro splendido isolamento campestre o nella quiete cimiteriale, paiono quasi essere “fossili” del Medioevo proiettati nel presente.   

Le sculture dei bellissimi capitelli di San Lorenzo attingono a un vasto repertorio, riprendendo elementi del mondo vegetale e animale, con significati simbolici, e motivi geometrici. Alcuni mostrano invece motivi narrativi

Tra gli elementi che maggiormente ricorrono nell’architettura delle chiese romaniche astigiane e monferrine, spesso innestate su edifici di culto più antichi, ne possiamo evidenziare alcuni, riscontrabili anche nella pieve di Montiglio Monferrato.

Il primo è il vivace effetto cromatico della tessitura muraria, dovuto all’alternarsi di materiale laterizio (rosso) e di conci di pietra arenaria con sfumature di colore diverse (la “Pietra da Cantoni”, estratta dalle cave della zona, facilmente lavorabile), talvolta in combinazione con il riuso di spolia, cioè di materiale ricavato da edifici più antichi o di epoca romana (esempio tipico sono le rovine della città romana di Industria, nel territorio comunale di Monteu da Po).

Veduta dell’area absidale e del fianco sud della pieve, con l’ambiente quadrato sporgente che ha sostituito l’abside laterale in occasione del cantiere ottocentesco

Salvo modifiche successive, il secondo aspetto riguarda l’impianto dell’edificio, che solitamente è ad aula unica, con sviluppo rettangolare e copertura a capriata, ma in certi casi è più complesso con tre navate, terminanti in altrettante absidi semicircolari forate da monofore a strombatura semplice o doppia che danno luce all’interno (come in origine a Montiglio), ed è generalmente privo di transetto e di cupole (nella pieve di San Lorenzo, la presenza di due sporgenze quadrate in corrispondenza dell’area presbiteriale, evocanti un transetto, non va però letta come eccezione alla regola, in quanto tali ambienti vennero aggiunti nel Settecento dopo l’eliminazione delle navate laterali e delle absidi minori).

Colpisce infine – e il caso di Montiglio è emblematico – l’estrema ricchezza e fantasia dell’apparato decorativo e scultoreo, riscontrabile sia all’esterno (in facciata, nell’abside e nel lato sud, associato simbolicamente alla vita perché scaldato dai raggi solari), sia all’interno, con capitelli lavorati e istoriati e con motivi ricorrenti, a damier, a billettes, a dente di sega e di lupo e le sequenze di archetti pensili.

Riferimenti bibliografici

L. Pittarello (a cura di), Le chiese romaniche delle campagne astigiane. Un repertorio per la loro conoscenza, conservazione, tutela, ed. provincia di Asti, 1998

Luca Finco, Movimenti storici del paesaggio culturale astigiano attorno alle antiche chiese, in Ricerche e progetti per il territorio, la città e l’architettura, numero 10, dicembre 2016

Franco Correggia (a cura di), Alla scoperta del romanico astigiano, Edizioni del Capricorno, 2017

Simone Caldano, Piemonte medievale. 55 luoghi da scoprire e visitare, Edizioni del Capricorno, 2020.