Testo e foto di Paolo Barosso
Asti, città di mercanti e di banchieri, tra le più ricche e potenti del Piemonte medievale, raggiunse l’apice del benessere economico e dello splendore artistico fra XIII e XIV secolo, ma, pur vantando significativi monumenti riconducibili a questo periodo, sia in ambito civile che religioso, offre al visitatore anche importanti testimonianze dell’architettura e arte barocca, con elementi rococò e neoclassici, espressione di quell’opera di rinnovamento edilizio promossa tra Seicento e Settecento dalle grandi famiglie astigiane di cui fu indiscusso protagonista l’insigne architetto Benedetto Alfieri (1699-1767).

Muovendoci nel vasto panorama del barocco astese, che annovera prestigiosi edifici di civile abitazione, ci soffermiamo in questo articolo sull’architettura religiosa, focalizzandoci sulle chiese parrocchiali di San Martino e di San Paolo, la prima situata nel “recinto dei nobili”, rione di San Martino-San Rocco, legata nelle forme attuali alla committenza dei Padri Barnabiti, presenti in Asti dal primo Seicento, e la seconda incastonata nel cuore dell’omonimo rione, lungo l’antica Contrada Carrera, attigua alla scomparsa “porta Sancti Pauli”, una delle sei porte d’accesso alla città medievale, e plasmata, nelle linee tardo-barocche e neoclassiche che oggi la caratterizzano, per volere dei padri Oratoriani di San Filippo (detti Padri Filippini).

La chiesa di San Martino, dedicata al santo vescovo di Tours, evangelizzatore della Gallia nel IV secolo, cui è intitolata anche la piazza antistante, risulta già menzionata in un documento del IX secolo, in seguito dalla seconda metà del XII secolo fino al 1328 venne affidata ai canonici regolari della Congregazione di Oulx, per poi passare, dopo alcuni cambi di gestione, ai Padri Barnabiti, che l’hanno tenuta come loro sede dal 1606 al 1987.

Furono proprio i Barnabiti a promuovere la ricostruzione della chiesa in forme barocche dopo la demolizione della precedente fabbrica gotica a tre navate, risalente al XIV secolo.
Tra il 1695 a il 1696 si avviò il cantiere del nuovo edificio, realizzato su progetto del padre barnabita milanese Giovanni Ambrogio Mazenta (1565-1635) che, secondo il giudizio della storica dell’arte Silvia Taricco, s’ispirò nel disegno ai grandi modelli romani del “trionfante Barocco”, contenendone però le proporzioni, più misurate, e frenandone l’impeto fantasioso.

Si eresse una chiesa, che è quella attualmente visibile, celebrata come una delle più alte realizzazioni del barocco e barocchetto astigiano, capace di comunicare al visitatore un senso di meraviglia, accentuato dalla ricchezza e esuberanza dell’apparato decorativo interno.
L’edificio, con facciata austera, ma alleggerita dall’elegante timpano a volute e fastigio tondeggiante, si presenta ad aula unica, con cappelle laterali e profonda zona presbiteriale, il cui sviluppo è spiegabile con la necessità di farvi radunare i membri della Congregazione nei momenti di meditazione e preghiera (in altre zone del Piemonte, ad esempio nel Cuneese, si rispondeva alla stessa esigenza predisponendo un apposito ambiente situato a un livello superiore della chiesa).

L’elemento superstite di maggiore evidenza dell’antica costruzione gotica, di cui si modificò anche l’orientamento (non più est-ovest, ma nord-sud), è la torre campanaria, con basamento trecentesco, dotato di bifore e colonnine in pietra, e sopraelevata nel Settecento.
Osservando la facciata, si notano delle nicchie, utilizzate per accogliervi statue provenienti da altri luoghi di culto e ivi trasportate a seguito delle leggi napoleoniche di soppressione delle congregazioni religiose che determinarono la nazionalizzazione e spoliazione dei loro beni.

Sopra il portale d’ingresso troviamo il santo titolare della chiesa, San Martino, raffinata scultura in marmo dell’astigiano Carlo Francesco Rista, cui era stata inizialmente commissionata nel 1732 per l’altar maggiore, mentre gli altri quattro vani ospitano due pregevoli statue marmoree dei santi Filippo e Giacomo, prelevate nel 1815 dall’antico monastero vallombrosano di Asti (dedicato proprio a San Filippo e San Giacomo), popolarmente noto come Certosa di Valmanera, e due sculture in legno, ora conservate all’interno, raffiguranti la Fede e la Speranza.

L’apparato decorativo e pittorico che impreziosisce l’interno della chiesa, rendendola uno dei riferimenti principali nel panorama architettonico del “recinto dei nobili”, venne invece in prevalenza realizzato nella prima metà del Settecento, quando furono chiamati a operare nel cantiere mastri luganesi, il pittore canellese Giovanni Carlo Aliberti, che lasciò in San Martino il suo lavoro più grandioso, eseguito nel 1726, l’affresco della cupola sul tema della Gloria di San Martino assunto in Paradiso, e, in seguito, il bolognese Antonio Caccioli (1672-1740) , che proseguì l’opera dell’Aliberti dopo la sua morte (1729), occupandosi in particolare dell’area presbiteriale, dove si ammirano le scene della Vita di San Martino.

La chiesa di San Martino è entrata recentemente a far parte del progetto di “Museo Diocesano diffuso” che, oltre alla ex-chiesa di San Giovanni, attigua alla Cattedrale, include proprio il piccolo museo parrocchiale d’Arte Sacra, in cui sono esposti oggetti liturgici, paramenti, quadri e statue.

Degna di nota è la magnifica sacrestia, che conserva un arredo ligneo in noce chiaro opera del minusiere Antonio Manzone (1714), attivo in Asti, e mostra, sulla volta, un affresco a finte architetture con effetti illusionistici spaziali (1748/9) dovuto ai fratelli Pietro Antonio e Giovanni Pietro Pozzi (o Pozzo), fratelli di origini luganesi, cui si riconducono diversi interventi di quadrature architettoniche e pittura murale a prospettive in cantieri di residenze sabaude e edifici ecclesiastici in Piemonte.

Sempre firmata dai fratelli Pozzi, in collaborazione con il figurista Gobbi, è la decorazione pittorica della ex chiesa dell’Arciconfraternita dei Disciplinanti di San Michele Arcangelo, oggi sconsacrata, che si affaccia sul lato opposto di piazza San Martino e presenta un interno in stile barocco con elementi rococò.

Ricostruita verso la metà del Settecento su progetto dell’ingegner Giovanni Peruzzi, era ornata all’interno di arredi (in parte ancora in loco) riconducibili all’intervento di Francesco Maria Bonzanigo, appartenente a una celebre famiglia di intagliatori in legno, ebanisti e costruttori d’organo originaria del Ticino in Svizzera (Bellinzona) e stabilitasi in Piemonte nel primo Settecento.
Nell’opera dei vari Bonzanigo si riscontra una sopravvivenza di gusto barocco frammisto a elementi classicheggianti, combinati in realizzazioni di raro virtuosismo.

Sopra il portale d’ingresso spicca un fregio con la raffigurazione dell’arcangelo San Michele nel duplice atteggiamento di “pesatore della anime”, con il tipico attributo iconografico della bilancia, strumento adoperato per “pesare” i peccati, e di angelo guerriero, capo delle milizie celesti e protettore della Cristianità, impegnato nella lotta contro il Maligno e destinato, secondo l’Apocalisse, a guidare nei Tempi Ultimi l’esercito angelico in difesa della “donna vestita di sole” e di suo Figlio.

Spostandoci nel rione di San Paolo, incontriamo, lungo l’antica Contrada Carrera, la chiesa parrocchiale dedicata al santo nativo di Tarso. Anche la chiesa di San Paolo, come quella di San Martino, esisteva già nel Medioevo, documentata per la prima volta nel 1292.

Di questa primitiva costruzione rimane buona parte della struttura, pur inglobata nei fabbricati di epoca successiva. L’elemento più visibile è la torre campanaria, che, nella sovrapposizione di stili, ricorda quello di San Martino, dato che la base conserva l’aspetto romanico, con le caratteristiche sequenze di archetti pensili, mentre il coronamento, con la cella campanaria, venne aggiunto nel Settecento.

La storia della chiesa parrocchiale di San Paolo venne segnata da un cedimento strutturale, il crollo della copertura, avvenuto nel 1578, che indusse il vescovo di Asti, Domenico Della Rovere, a intervenire finanziando il rifacimento dell’edificio, che cambiò anche orientamento, con la nuova facciata rivolta a levante (prima era a ponente), e la suddivisione dell’interno in tre navate.
Un nuovo cantiere di ricostruzione della chiesa nelle attuali forme tardo-barocche venne avviato nella seconda metà del Settecento dai Padri Filippini, che avevano stabilito la loro sede in alcune abitazioni attigue, adibite a convento.

L’altar maggiore della chiesa di San Paolo.
La realizzazione della nuova chiesa, ultimata nel 1794 su progetto di padre Massirio, architetto che conferì alla chiesa la “compassata severa misura dei volumi neoclassici” (Noemi Gabrielli), comportò l’abbandono della precedente costruzione, la cui parte absidale venne convertita parzialmente in sacrestia, con le magnifiche volte ellittiche che si possono tutt’oggi ammirare. Delle tre navate preesistenti, quella di destra venne demolita nel 1939 per far posto all’attuale piazzetta, mentre la navata sinistra, alla cui facciata si appoggia il campanile, fu trasformata per contenere il vano scala della casa parrocchiale.
L’interno, a navata unica con cupola, conserva opere pregevoli, come la pala della Madonna del Rosario, sull’altare sinistro, un tempo attribuita a Orsola Caccia (1596-1676), figlia di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, ma oggi assegnata al pittore astigiano Bartolomeo Pellizza (fu dipinta nel 1595, l’anno prima della nascita di Orsola Caccia), e il gruppo in legno dorato di Sant’Anna e Maria Bambina, opera settecentesca dell’intagliatore Giovanni Battista Bonzanigo.
Note bibliografiche:
Noemi Gabrielli, Arte e cultura ad Asti attraverso i secoli, Ist. Bancario San Paolo di Torino, 1976
AA.VV., Guida di Asti. Un percorso tra storia, arte e folklore, GS editrice, Santhià, 2000