di Paolo Barosso
Una passeggiata nel centro antico di Chieri, tra architetture medievali, sovrapposizioni barocche e inserimenti neoclassici, è capace di rivelare, ogni volta, angoli nuovi e affascinanti scoperte: tra questi, proponiamo oggi un breve itinerario che conduce dalla via maestra, attraverso l’antico quartiere Vairo, fino alla sommità della collina di San Giorgio, dove è conservata, all’interno della chiesa dedicata al martire, la campana di San Giorgio, ritenuta dagli studiosi la più antica del Piemonte.

Lasciato l’asse commerciale della via maestra, oggi via Vittorio Emanuele II, imbocchiamo via Visca, uno dei vicoli d’impianto medievale che s’inerpicano lungo i fianchi della collina. La strada che percorriamo, stretta e tortuosa, è l’antica contrada dei Balbo, che attraversa il quartiere Vairo, contesto urbano caratterizzato dall’edilizia signorile del tardo Medioevo, quando le famiglie dell’aristocrazia chierese, dopo aver accumulato ingenti fortune con l’esercizio dei commerci e con l’attività finanziaria collegata alla gestione delle “casane”, banchi di cambiavalute e di prestito di denaro su pegno, investirono i loro capitali per l’abbellimento estetico delle proprie dimore, impreziosendone gli interni con soffitti lignei e decori pittorici.

La prima tappa del nostro itinerario si trova al civico 4 di via Visca, all’interno degli spazi commerciali dell’orologeria e gioielleria Ceppi, dove fa bella mostra di sé un sorprendente soffitto ligneo dipinto a cassettoni che, in origine, doveva essere quello della Sala Magna dell’abitazione di proprietà della famiglia Bertone, facoltosa stirpe appartenente al consorzio dei Balbo insieme con i Simeoni, i Lanfranchi e gli stessi Balbo.

Risale a un esponente di spicco della famiglia, Gianardo (o Giovanardo) Bertone, giurista e consigliere dei duchi di Savoia, l’iniziativa che portò, nella seconda metà del Quattrocento, alla ristrutturazione e all’aggiornamento stilistico del blocco edilizio del quartiere Vairo che ospitava la dimora di famiglia, con l’affidamento alle maestranze chieresi dei Fantini dell’incarico per la realizzazione di uno dei soffitti decorati “più spettacolari e narranti dell’intero Piemonte”, eseguito tra il 1455 e il 1460, significativa testimonianza del livello di raffinatezza estetica raggiunta dal ricco patriziato chierese nell’autunno del Medioevo

Il soffitto ligneo appare popolato da una selva di immagini che attingono al repertorio iconografico dell’araldica, con le arme dei Bertone e di gruppi familiari a loro legati, quasi a voler ricostruire, a beneficio del visitatore, la propria storia dinastica attraverso l’intreccio delle alleanze matrimoniali, ma anche ai bestiari medievali, con una serie di figure antropomorfe e zoomorfe, mostruose, ibride, chimeriche (spicca il cavallo con le zampe anteriori in forma di mano umana), dai molteplici richiami simbolici, e vi si riscontra altresì il riflesso del gusto, tipico del periodo, per le scene allegoriche con valenza di insegnamento morale.

Riprendendo il cammino verso la sommità della collina, imbocchiamo via San Giorgio, dove, proprio all’inizio della strada, troviamo uno degli edifici civili più rappresentativi e meglio conservati del gotico chierese, palazzo Valfrè, che fu una delle proprietà più importanti della potente famiglia Mercadillo, cui apparteneva anche il prospiciente palazzo Opesso, oggi utilizzato come sede di mostre e attività culturali.
Costruito tra la fine del Trecento e il primo Quattrocento, palazzo Valfrè, grazie ai recenti restauri, è tornato a mostrare, sul fronte verso strada, l’impostazione originaria della facciata, con il portico al piano terreno, oggi coperto, ma leggibile nella successione di colonne e arcate, e la sequenza di grandi monofore al primo piano, cui corrisponde la fila di bifore più piccole al livello superiore.

A breve distanza, prima di affrontare il tratto più ripido della salita, sostiamo in piazza Mazzini, l’antica platea marchadilli, attorno a cui si concentravano le proprietà dell’illustre famiglia chierese.
Qui si trova la chiesa di San Guglielmo d’Aquitania, protettore della città di Chieri insieme con San Giorgio Martire. Grazie alla sua facciata di gusto classicheggiante, l’edificio di culto si distingue in modo marcato nel panorama architettonico chierese, inserendosi con effetto scenografico in questo spicchio di città in collegamento visivo con il maestoso Arco di Trionfo, eretto nel tardo Cinquecento in onore del duca Carlo Emanuele I e della consorte, Micaela Caterina di Asburgo-Spagna.

La chiesa, sede della Confraternita dello Spirito Santo dal 1576, esisteva già nel XIII secolo, quando il comune di Chieri vi teneva le riunioni consiliari in caso di alta partecipazione di pubblico, ma venne ricostruita in forme gotiche alla fine del Quattrocento e ulteriormente rimaneggiata tra tardo Seicento e Settecento con la riplasmazione dell’edificio in chiave barocca.
Incerto l’intervento dell’architetto sabaudo Michelangelo Garove (1648-1713), si devono invece all’architetto Francesco Benedetto Feroggio i progetti per la rivisitazione dell’apparato decorativo interno e per la nuova facciata, che però tardò ad essere realizzata, vedendo la luce solo nel 1840.

All’interno della chiesa, in una nicchia, sono custodite le reliquie di San Teodoro martire (o San Teodoro di Roma) di cui si conserva lo scheletro intero, portato qui da Roma, dove era stato estratto dalle catacombe, alla metà del Settecento e ricomposto grazie all’intervento di un chirurgo.
Con una breve digressione dall’itinerario e tornando sulla via maestra di Chieri, là dove in origine sussistevano le abitazioni medievali della famiglia Broglia, esponenti di punta del patriziato chierese, ammiriamo le forme barocche della chiesa dell’Immacolata Concezione, detta di San Filippo Neri, in quanto appartenuta alla Congregazione dell’Oratorio fondata da San Filippo Neri, inventore dell’oratorio come luogo di preghiera e di cultura musicale nella Roma del Cinquecento.

Osservando la facciata, splendida “macchina teatrale” con accentuato sviluppo verticale costruita nel 1720 su disegno di architetto ignoto, notiamo, all’interno di nicchie, le statue di santi significativi per la storia della chiesa o strettamente legati all’orizzonte devozionale dello Stato Sabaudo: San Filippo Neri, San Carlo Borromeo, San Francesco di Sales e San Valentino martire (le cui reliquie, estratte dal cimitero di Calepodio a Roma, sono conservate all’interno della chiesa, in quanto donate ai Padri Filippini della città natale dal cittadino chierese Giuseppe Antonio Gabaleone di Wakerbarth, che fu ambasciatore della Santa Sede presso il re di Polonia e che le aveva, a sua volte, ricevute in dono da papa Clemente XII).
La chiesa, che conserva del periodo gotico il campanile, offre al visitatore un interno seicentesco, progettato dall’architetto Antonio Bettino da Lugano, splendidamente decorato dagli stucchi del maestro Pietro Somasso, artista di origine luganese, oltre a numerose tele, di Daniel Seyter, Stefano Maria Legnani detto il Legnanino, Claudio Francesco Beaumont e Mattia Franceschini.

Tornando sulle nostre orme, in piazza Mazzini, possiamo soffermarci, alla sinistra della chiesa di San Guglielmo, sul prospetto quattrocentesco di palazzo Marcadillo, che, derivato dall’unione di due edifici più antichi, fu adibito a sede del comune di Chieri per circa quattrocento anni. Il lato sinistro del complesso, oggi sede di un’istituzione scolastica privata, mostra invece un’aggraziata architettura barocca, scandita da membrature e coronata da una balaustra, capolavoro dell’architetto chierese Mario Ludovico Quarini (1736-1800).
Proseguendo l’itinerario, raggiungiamo la cima della collina di San Giorgio, sede del nucleo primigenio della Chieri medievale, dove il vescovo torinese Landolfo nell’XI secolo fece erigere un castrum a presidio del sito. Qui sorge la chiesa di San Giorgio Martire, oggi caratterizzata, nelle sue linee architettoniche e nell’apparato decorativo interno, dalla commistione di più stili, gotico, barocco e neogotico.

La torre che la affianca, inglobata nella prima campata della navata laterale sinistra, è quanto sopravvive dell’originario insediamento fortificato, poi divenuto di pertinenza comunale. Eretta nel Trecento come torre municipale e utilizzata in seguito come campanile della nuova chiesa, appare sovrastata da una curiosa struttura a pagoda, dagli echi orientaleggianti, aggiunta in età barocca.
Nel corso del Quattrocento, la primitiva chiesa di San Giorgio, di fondazione romanica, venne ricostruita secondo i canoni dell’architettura gotica, ancora oggi percepibili, nonostante gli interventi successivi, soprattutto nella conformazione esterna dell’abside, a pianta poligonale. Il cantiere di età barocca portò a una radicale trasformazione dell’edificio di culto, che nel Settecento fu poi dotato di una nuova facciata, realizzata forse su disegno dell’architetto Bernardo Antonio Vittone, il cui intervento su San Giorgio non ebbe solo una finalità scenografica, ma funzionale, dovendosi ridare stabilità alla struttura gotica e incorporarla nella costruzione barocca.

L’interno della chiesa, rivisitato nelle decorazioni secondo il gusto neogotico, con inserzioni liberty, custodisce numerose opere d’arte sacra tra cui, nella cappella a sinistra dell’altar maggiore, un bellissimo busto reliquiario di San Giorgio, notevole testimonianza di oreficeria medievale, risalente al Trecento.
Il nostro breve itinerario si conclude con una curiosità. Appena varcata la soglia d’ingresso della chiesa, all’interno di un vano, troviamo esposta la campana bronzea di San Giorgio, commissionata dal comune di Chieri nel 1455 (troviamo incisa sulla campana l’effigie del leone “passante”, cioè nell’atto del camminare, che appartiene all’arme comunale della città) per essere collocata nella torre municipale di San Giorgio e venire impiegata, con i suoi rintocchi, per segnare l’avvio delle adunanze del consiglio cittadino, in applicazione delle disposizioni statutarie del 1311.

La campana di San Giorgio sopravvisse ai tragici eventi del 1795 quando le autorità dello Stato Sabaudo, dovendo recuperare materiale da fondere per fabbricare i cannoni necessari ad opporsi all’avanzata dei rivoluzionari francesi, disposero la confisca della maggior parte delle campane del Piemonte, risparmiando, fortunatamente, quella di Chieri, che rimase in funzione fino al 1912.
La Soprintendenza alle Belle Arti, ritenendola, forse, la più antica del Piemonte tra quelle ancora esistenti, decise la conservazione del prezioso oggetto, che oggi si trova esposto e visibile al pubblico in uno spazio appositamente allestito.

Note bibliografiche e riferimenti internet
Antonio Mignozzetti, Chieri. I monumenti, gli artisti, ed. Gaidano & Matta, 2016.
www.compagniadellachiocciola.it