di Paolo Barosso
Mercoledì 13 marzo alle ore 16, in concomitanza con la festa di Sant’Eldrado, all’abbazia di Novalesa verrà presentato il progetto “Il Tesoro di Eldrado“, promosso con il sostegno della Compagnia di San Paolo e la collaborazione tecnica della società cooperativa Culturalpe.
Si tratta di un portale digitale dedicato al patrimonio artistico, librario e documentario legato alla storia del cenobio e alla figura del suo più importante abate, Eldrado, a cui è dedicata (insieme al contitolare, San Nicola di Bari) la più suggestiva cappella del complesso novalicense.
Partendo dai reperti e dai fondi archivistici e librari conservati nel monastero benedettino sono state messe in luce le dinamiche sottese alla loro conservazione, allargando poi lo sguardo ai beni non più presenti in loco per svariate vicissitudini, ma rintracciabili presso altri enti e istituti italiani e stranieri.
L’idea è quella di ricomporre la memoria di un luogo e delle vite che lo hanno attraversato, secondo il canone di un archivio digitale nel quale documenti, libri, dipinti, oreficerie e altre reliquie del tempo concorrono alla ricostruzione di un mosaico di tessere difficilmente apprezzabile nella realtà.
Alla presentazione del Tesoro interverranno padre Michael Davide Semeraro, priore di Novalesa, Andrea Maria Ludovici, amministratore delegato della società cooperativa Culturalpe, e Jacopo Suppo, vicesindaco della Città metropolitana di Torino, ente proprietario dell’Abbazia.
Nella locandina che dà annuncio dell’iniziativa, campeggia l’immagine della cosiddetta “cassa di Sant’Eldrado“, lo splendido reliquiario a doppio spiovente che contiene le spoglie mortali di Eldrado e che, il 13 marzo di ogni anno, viene portato in processione per celebrare la festa del santo.
La preziosa urna con le reliquie di Eldrado, datata al XII secolo, si trova esposta, fin dalla metà dell’Ottocento, nell’abside della chiesa parrocchiale di Novalesa, dedicata a Santo Stefano protomortarire, e si presenta come uno straordinario capolavoro di argenteria in cui gli studiosi ravvisano influssi stilistici di un “bizantinismo di stampo ottoniano” uniti a una forte impronta della cultura “romanico lombarda” senza escludere l’intervento di maesatranze locali.