Con proclama del 22 luglio 1747 il re Carlo Emanuele III di Savoia invitava i sudditi a ringraziare Dio per aver consentito ai soldati piemontesi di respingere «Li nemici che in numero molto superiore erano venuti ad attaccare con gran impeto li nostri trinceramenti del colle della Sieta al di sopra d’Exilles con li avere li medesimi persi sei stendardi, lo stesso generale che li comandava, molti ufficiali di primo grado e da cinque o seimila uomini tra morti e feriti e prigionieri».

di Paolo Barosso 

Sabato 15 e domenica 16 luglio l’appuntamento è al colle dell’Assietta per la 50^ Festa dël Piemont accompagnata dalla rievocazione dell’epica battaglia settecentesca, nota come Battaglia dell’Assietta, di cui quest’anno ricorre il 270° anniversario.

E’ il 19 luglio 1747 quando, nel quadro della Guerra di Successione Austriaca (1740/48), un complesso intrico di rivendicazioni dinastiche innescato dalla morte dell’imperatore Carlo VI e dall’ascesa al trono asburgico nel 1740 della figlia Maria Teresa, le truppe franco-spagnole al comando del cavaliere di Belle-isle, dirette attraverso i valichi alpini verso il forte di Exilles (e quindi Torino), si trovarono dinnanzi alle difese approntate dai Piemontesi, attestati sui trinceramenti del colle dell’Assietta e del Serano, sulla linea di cresta tra le valli di Susa e Chisone.

Prevedendo infatti le mosse del nemico, che già dal maggio 1747, in base alle informazioni fornite dai servizi piemontesi, stava concentrando truppe a Guillestre, nel Delfinato, in vista di un’invasione da condurre attraverso il Monginevro, il re di Sardegna Carlo Emanuele III decise di far approntare un campo trincerato sull’Assietta, brullo pianoro a oltre 2500 metri d’altezza, che costituiva un passaggio obbligato per gli eserciti che volessero penetrare in Piemonte da occidente sin da quando le alte valli della Dora e del Chisone, vigilate dalle postazioni forticate di Exilles e Fenestrelle, erano passate in mano sabauda (con il trattato di Utrecht del 1713).

Cortile interno del Forte valsusino di Exilles, il cui fronte difensivo venne ribaltato verso la Francia dopo il passaggio dell’alta valle della Dora ai Savoia nel 1713

Il sovrano ordinò così al marchese Balbiano, al tempo Governatore di Susa, di disporre l’erezione di piccole opere di difesa, per lo più costituite da muri a secco, con funzioni di collegamento tra le due ridotte poste alle estremità dell’altopiano, l’una realizzata alla Testa dell’Assietta (detta anche della Butta), l’altra sulla vetta del Gran Serin, possente bastione naturale a dominio del pianoro, e di far presidiare il luogo con 13 battaglioni di fanteria posti al comando del tenente generale Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio.

La disparità delle forze tra franco-spagnoli e austro-piemontesi fu evidente sin dall’inizio – circa 25.000 francesi contro 7.500 sabaudi, tra piemontesi, austriaci e svizzeri – ma nel delineare le sorti della battaglia, che sembrava già decisa considerando i numeri in campo e la sicurezza ostentata dal comando francese, giocarono altri fattori: senz’altro errori tattici, commessi dal cavaliere di Belle-isle (che pure dimostrò eroismo nella battaglia, pagando il coraggio con la vita e venendo sepolto nella parrocchiale di Sauze d’Oulx per essere poi traslato nella cattedrale di Embrun, sotto il coro), così come l’efficacia dei trinceramenti apprestati dai sabaudi, ma furono soprattutto la caparbietà e l’ostinazione dimostrate dai soldati piemontesi, da allora in avanti riassunte nell’appellativo spesso frainteso di Bogia nen, a determinarne l’esito.

In questo scenario bellico s’inserisce infatti l’episodio, sospeso tra verità e leggenda, che diede origine al celebre appellativo e che vide coinvolto il valoroso soldato Paolo Novarina conte di San Sebastiano, cui era stato affidato il comando del Primo Battaglione Guardie, attestato alla Testa dell’Assietta, dove sorgeva la Ridotta della Butta.

Come scrive Davide Bertolotti nella sua Descrizione di Torino (edita nel 1840), di fronte all’impeto dei battaglioni francesi, il conte Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio, comandante delle forze sabaude, “veduto assalire il Colle di Serano (Gran Serin)” e temendo di “non poter più sostenere lo sforzo de’ nemici“, non solo dispose che i battaglioni della riserva si spostassero a rinforzo dei battaglioni impegnati nel combattimento, ma mandò l’ordine al conte di San Sebastiano di abbandonare la Testa dell’Assietta e di venirlo a raggiungere con i suoi soldati. Il San Sebastiano per ben tre volte oppose rifiuto all’ordine scritto di ritirarsi dalla sua posizione troppo esposta replicando con sprezzo del pericolo che “in faccia al nemico le Guardie non possono volgere le spalle” e aggiungendo, secondo tradizione, la frase, divenuta poi popolare, “Noiàutri i bogioma nen da sì”, che risuonò di bocca in bocca tra i soldati piemontesi incitandoli alla strenua resistenza, sino alla capitolazione definitiva degli attaccanti.

Aldilà dell’episodio, entrato nel mito, la vittoria conseguita dai Sabaudi all’Assietta risultò eclatante ed ebbe tale risonanza da assumere valore simbolico e un’impronta fortemente identitaria nell’immaginario collettivo dei Piemontesi, che ancora oggi ne celebrano la memoria rievocando le fasi salienti della battaglia. La sonora sconfitta inflitta ai Francesi segnò inoltre le sorti generali della Guerra, preludendo al Trattato di Aquisgrana del 1748, che vide assurgere a pieno titolo gli Stati Sabaudi nel novero delle grandi potenze europee.

Le immagini di repertorio si riferiscono a precedenti edizioni della rievocazione storica della Battaglia dell’Assietta

Fonti:

Mauro Minola, Assietta. Tutta la storia dal XVI secolo ad oggi, Susalibri, Sant’Ambrogio di Torino 2006;
Marco Boglione, Le Strade militari dell’Assietta Storia, itinerari, fortificazioni, Blu Edizioni, Torino 2006;
Dario Gariglio, Battaglie alpine del Piemonte sabaudo. Tre secoli di guerre sulle Alpi occidentali, Roberto Chiaramonte Editore, Collegno 1999