di Arconte
Questa storia inizia il 14 novembre 1856, presso San Grisante, vicino a Crescentino, quando i carabinieri Bonora e Tissot stanno pattugliando la campagna. I due carabinieri sono vestiti in borghese e, per giustificare i fucili che portano, indossano abiti che li fanno assomigliare a due cacciatori. Ad un certo momento, Bonora e Tissot incontrano un uomo che se va in giro armato di un fucile a due canne. Questi attacca discorso coi militari e racconta di essere un disertore, poi aggiunge che se avesse incontrato dei carabinieri, li avrebbe ricevuti col fucile di cui era armato e che era pronto a sostenere una lotta. Evidentemente li ha scambiati per due cacciatori o per due malviventi suoi pari!

Poco dopo l’uomo del fucile deve mettere in pratica quello che ha appena finito di dire, perché i due presunti cacciatori manifestano di essere carabinieri e lo dichiarano in arresto: l’uomo punta il suo fucile all’altezza della cintura di Bonora e spara. Il militare, grazie al suo sangue freddo, accortosi dello sparo fatto dal disertore a distanza di soli venti o venticinque passi, si butta a terra e così rimane illeso.
Uno dei proiettili va a sfiorare il mento di una contadina, Orsola Vay detta Quaranta, che a una certa distanza sta pascolando una vacca.
Intanto il carabiniere Tissot corre in aiuto del commilitone, l’uomo punta contro di lui il fucile, che ha ancora un colpo in canna, a distanza di tre o quattro passi, ma il carabiniere riesce a impedire lo sparo e, dopo aver disarmato il bandito, procede al suo arresto.
L’arrestato è Giovanni Scrimaglia, di 24 anni, di Mazzè. È effettivamente un disertore, del Corpo dei Cacciatori Franchi, reparto punitivo dell’esercito piemontese. I Cacciatori Franchi sono addetti a lavori pubblici, come la costruzione di strade e di ponti, e sono alloggiati in forti come quello di Bard, di Exilles e di Fenestrelle. Dal 1854, una sola compagnia di Cacciatori Franchi si trova nel forte di Exilles ed il resto del reparto è stanziato nel forte di Fenestrelle.
E proprio dal forte di Fenestrelle è scappato Giovanni Scrimaglia, del quale torniamo a narrare le malefatte. Nel mattino del 1° ottobre 1856, è risultato che dal forte di Fenestrelle hanno disertato due soldati, Giovanni Scrimaglia e Giovanni Carlo Dente.
Prima di fuggire, Scrimaglia e Dente hanno rubato al caporale Domenico Gaviati un paio di stivaletti del valore di dodici lire e, al sergente Giovanni Battista Virano, un altro paio di stivaletti del valore di cinque lire. Al sergente Virano hanno inoltre preso la somma di tredici lire e novanta centesimi, forzando il tavolino dove era riposta; hanno anche tentato di scassinare un baule del Virano, posto, come il tavolino, in un camerone della fortezza di Fenestrelle, dove, la sera del 30 settembre Scrimaglia era di guardia.

Giovanni Carlo Dente, di 26 anni, è di Murazzano.
Ed è proprio nella zona di Murazzano, poco più di due settimane dopo, che i nostri due disertori hanno iniziato una carriera di feroci rapinatori.
Nella sera del 18 ottobre, lungo la strada da Ceva a Murazzano, armati di pistola, hanno aggredito Clemente Mondone e, minacciando di ucciderlo, lo hanno depredato di lire 1,80 e di alcuni ettogrammi di lardo, di formaggio e di pane per un valore complessivo di lire 1,95.
Nella notte dal 21 al 22 ottobre, presso Bastia, mentre Dente stava fuori in agguato, Scrimaglia si è introdotto scalando un muro nella casa di Bartolomeo Borca, e con uno stiletto ha minacciato il proprietario, portandogli via 7 lire circa e due fucili, del valore complessivo di 30 lire. Si tratta di una grassazione, ovvero rapina accompagnata da violenza, uno dei reati più gravi per il Codice penale del tempo. Poco dopo i due compari sono stati visti da un traghettatore, ciascuno con un fucile.
La sera del 23 ottobre, presso Marsaglia, i due hanno chiesto ospitalità a Luigi Revelli che li ha accolti in casa sua: loro lo hanno minacciato con pistola e coltello e lo hanno rapinato di 310 lire circa formate da marenghi, monete di Savoia, scudi e qualche moneta di metallo. Per rovistare nel guardaroba dove si trovava la borsa contenente il denaro, i due malandrini hanno rischiarato la camera mettendo in una lucerna alcuni pezzetti del lardo preso a Clemente Mondone, con cui hanno ottenuto una luce sufficiente.
Le vittime hanno descritto gli autori di queste aggressioni come due individui, uno di colorito rubicondo, l’altro più pallido, come sono effettivamente Dente e Scrimaglia, i quali hanno anche detto ad alcuni derubati di essere disertori.
La giustizia non accerta che cosa è successo dopo le tre grassazioni: ma è certo che i due si sono divisi e che Scrimaglia ha deciso di ritornare dalle sue parti. Il 14 novembre ha avuto l’infelice idea di raccontare i fatti suoi proprio ai due carabinieri in borghese che lo hanno arrestato.

A proposito del movimentato arresto di Scrimaglia, ricordate quella contadina che è rimasta coinvolta mentre stava pascolando una bovina e che ha sentito il proiettile sparato da Scrimaglia ferirla di striscio al mento? Orsola Vay, questo è il nome della contadina, ritiene di essere stata miracolata per aver evitato il pericolo di una ferita mortale. Alcuni anni dopo fa allestire un quadretto votivo che ricostruisce con qualche libertà la scena: i carabinieri sono raffigurati in uniforme, con tanto di lucerna. Scrimaglia, ritratto nell’atto di sparare, porta un cappello alla calabrese e indossa pantaloni di un inconsueto colore giallo sostenuti da una fascia arancione.
Orsola Vay con la sua imperturbabile bovina è ritratta nell’angolo in basso a destra: è seduta su un mucchio di erba, porta abiti bianchi ed un piccolo scialle azzurro. Vediamo il suo volto insanguinato di profilo, con gocce di sangue che scendono dal mento. Orsola alza le mani in un gesto di stupore ma forse già di ringraziamento alla Madonna col bambino che occupa l’angolo in alto a sinistra.
In secondo piano, un uomo inginocchiato e a mani giunte ringrazia la Madonna. È il marito di Orsola, come si può verosimilmente ipotizzare dalla scritta sul retro della tavoletta che descrive la scena e, fatto raro, riporta anche il nome del pittore: «Una donna pascolava una bovina in prato asseduta in un mucchio di erba un assassino accerchiato da due carabinieri uno con l’assassino e l’altro dietro spara al carabiniere e va a colpire la donna. (Orsola moglie di Quaranta Giuseppe da Monchiero li 22 Agosto 1859) Cenna dipinse».
L’offerta dell’ex voto è avvenuta il 22 agosto 1859, quindi a qualche anno di distanza dallo scampato pericolo, quando erano già avvenuti molti fatti che andiamo a narrare. In primo luogo è stato arrestato l’altro disertore, Giovanni Carlo Dente.

Il 25 novembre 1856, sulla strada da Savigliano a Cavallermaggiore, i carabinieri Amondry e Bisagno, fermano due uomini che mostrano un passaporto ed un certificato di buona condotta. Quando i militari vogliono arrestare uno dei due, questi oppone una accanita resistenza.
È Giovanni Carlo Dente che tenta di usare contro il carabiniere Amondry una pistola a doppia canna di tipo proibito ed un coltello a serramanico; dopo che è disarmato della pistola, da cui parte un colpo, e del coltello, riuscito a sfuggire dalle mani dei carabinieri, ha l’audacia di ritornare all’attacco, armato di un tridente.
Poi, col compagno, comincia a gettare sassi contro i carabinieri investendoli con tanta violenza che i militari sono costretti a difendersi con le sciabole e riescono ad arrestare soltanto il più giovane dei due. Questi è identificato come Giuseppe Dente, fratello del disertore Giovanni Carlo, di 24 anni, che abita a Marsaglia e lavora come garzone in un caffè.
Nello scontro, i due carabinieri sono rimasti gravemente feriti: Amondry presenta una contusione al braccio destro con rottura del gomito, Bisagno ha due ferite alla testa.
Giovanni Carlo Dente è poi arrestato il 25 dicembre 1856.
Alla conclusione dell’istruttoria, Scrimaglia e Giovanni Carlo Dente sono accusati dei furti commessi nel forte di Fenestrelle, delle tre grassazioni presso Murazzano, di porto abusivo di armi proibite; Scrimaglia di ribellione alla giustizia con tentato omicidio al momento del suo arresto; Giovanni Carlo e Giuseppe Dente di resistenza e rivolta ai carabinieri con armi e ferite.
Il processo si svolge nel dicembre 1857 in Corte di Appello di Torino, nella prima sezione criminale, con il Presidente Gaetano Deleuse. Questo dibattimento attira uno straordinario numero di spettatori.
La colpevolezza di Scrimaglia e di Giovanni Carlo Dente per i furti nel forte di Fenestrelle è evidente e sono schiaccianti anche le prove per le tre grassazioni, commesse a poca distanza di tempo.
La Corte dedica molta attenzione alla resistenza opposta da Scrimaglia al momento dell’arresto. Aveva volontariamente sparato contro Bonora e cercato in ogni modo di fare fuoco contro Tissot, mettendo «a grave repentaglio la vita di due valorosi militari». Scrimaglia ha così messo in atto una vera ribellione alla giustizia, con resistenza agli agenti della forza pubblica ed è quindi incorso nella sanzione prevista dall’articolo 581 del Codice penale: è punito anche di morte l’omicidio volontario quando è stato mezzo o conseguenza immediata del delitto di ribellione alla giustizia ancorché solo tentato…

Il Pubblico Ministero Allamandola chiede la condanna a morte di Scrimaglia e di Giovanni Carlo Dente e tre anni di carcere per Giuseppe Dente.
I giudici rilevano che la resistenza ai carabinieri di cui sono accusati i fratelli Dente ha avuto per i militari conseguenze ben più gravi della ribellione di Scrimaglia, ma per Giovanni Carlo Dente non è stato provato il tentativo di omicidio.
I carabinieri stessi non hanno spiegato se il colpo di pistola sparato da Giovanni Carlo Dente sia partito volontariamente oppure per caso, nella colluttazione, mentre i militari cercavano di strappargli l’arma di mano.
E in dubio, pro reo: nel dubbio, si propende per l’interpretazione più favorevole per l’accusato. Vista però l’accanita resistenza di Dente ai carabinieri, ai quali ha causato gravissime ferite, giustizia vuole che, se il dubbio gli evita la pena capitale, sia sottoposto a quella subito inferiore, i lavori forzati a vita.
Suo fratello Giuseppe Dente, invece, si trova in una situazione molto più favorevole, perché è un giovane lavoratore, dotato di buone qualità morali, che è stato trascinato ai bagordi e poi allo scontro con la forza pubblica dalle vive richieste del fratello, il quale ha insistito perché lo accompagnasse all’estero, dove voleva rifugiarsi per timore del castigo per i suoi gravi misfatti. È quindi meritevole di un giudizio meno severo.
La mattina del 21 dicembre 1857, la sala e i posti riservati sono affollatissimi. Alle undici precise, il Presidente Deleuse legge la sentenza: la Corte di Appello di Torino condanna Scrimaglia a morte, Giovanni Carlo Dente ai lavori forzati a vita, previa la degradazione, e Giuseppe Dente a quattordici mesi di carcere, da calcolare dal 25 novembre 1856, giorno del suo arresto.
Gli accusati non dicono una parola.
La difesa di Scrimaglia ricorre in Cassazione ma il ricorso è respinto, il 26 febbraio 1858. Il 27 marzo 1858, alle cinque e mezza di mattina, a Torino, Scrimaglia è impiccato dagli esecutori di giustizia Pietro Pantoni e Giuseppe Montegianotti.

L’ex voto, offerto da Orsola il 22 agosto 1859, in data a noi ignota ma verosimilmente intorno agli anni ’60 del Novecento, è entrato a far parte della Collezione di tavolette votive San Lorenzo di Ermanno Mori che comprende più di 700 ex voto, datati dalla seconda metà del XV secolo ai nostri giorni, con reperti provenienti da tutta Italia. Viene inventariato con queste indicazioni: «Italia Settentrionale – 1859 (cm. 32 x 23)».
Dal 1994 al 1997, l’ex voto di Orsola è stato esposto in Assisi, nelle sale del Monte Frumentario, in un museo che conteneva una collezione di 300 tavolette votive, con un nucleo fondamentale proveniente dalla raccolta di Ermanno Mori e altre acquisite da Ezio Ranaldi. Nel corso di un viaggio, avevo acquistato il libro – catalogo di questa collezione: F.C. Crispolti, Ezio Ranaldi, Leonardo Valente, Le tavolette votive della Collezione San Lorenzo, Minerva, Assisi, 1994. Questo catalogo, che contiene una interessante prefazione di Federico Zeri sul valore storico artistico delle Tavolette Votive, era anche presentato in una edizione speciale rilegata e con una bustina contenente 28 immagini a colori da incollare su quelle in bianco e nero del libro. L’ex voto di Orsola era la Tavola XXI: La Vergine salva una pastorella vittima di un inconsueto incidente.
La storia di Scrimaglia compare nel libro “Stòrie dla forca. Stòrie dij bòia. Impiccati ed esecutori di giustizia in Piemonte. 1850-1871”, Libreria Piemontese Editrice, Torino, 2000. Nel 2011, riguardando il libro “Le tavolette votive della Collezione San Lorenzo”, ho potuto abbinare la documentazione di questo libro con l’ex voto: questa fortunata combinazione mi ha permesso di elaborare questo racconto delle malefatte di due disertori e della ingenua fede di una contadina del Piemonte preunitario.