Dopo il prezioso contributo di Antonella Pinna sulla storica libreria “Dante Alighieri” di piazza Carlo Felice, vi presentiamo di seguito un’interessante conversazione con i fratelli Fogola, per tanti anni titolari della celebre attività torinese. Il tema del dialogo è, sul piano generale, il futuro del libro in formato cartaceo, che oggi sembra messo in discussione sia dalla crescente disaffezione verso la lettura, sia dall’evoluzione tecnologica, e, con riguardo al nostro territorio, il rapporto di Torino e del Piemonte con il libro e le librerie.

Nanni e Mimmo Fogola ci hanno accolti nella libreria Moderna di Gianfranco Fava, all’imbocco della Galleria Tirrena, variante anni Sessanta di quei passages couverts con destinazione commerciale in voga a Torino, sull’esempio francese, tra fine Ottocento e primo Novecento.

Abbiamo rivolto loro alcune domande incentrate sulla figura del libraio, che, come noto, sta attraversando una fase difficile, e sulla situazione delle librerie e dell’editoria, con particolare riguardo al Piemonte e al caso di Torino, rimasta quasi orfana ormai di quelle librerie “storiche” che non erano solo negozi di libri, ma anche punti di ritrovo e cenacoli culturali.

I fratelli Fogola presso la Libreria Moderna
I fratelli Fogola presso la Libreria Moderna

Il primo punto che abbiamo toccato nella piacevole conversazione con i fratelli Fogola è la preconizzata scomparsa del libro, minacciato, nella sua essenza di supporto cartaceo, dall’evoluzione tecnologica.  

Ciò che penalizza il libro è di essere scritto”, così esordisce Mimmo Fogola con una frase che, sulle prime, disorienta. “Il libro”, prosegue Fogola, “non è da considerarsi unicamente come supporto cartaceo di un testo, ma è anche un oggetto, tradizionalmente concepito come elemento d’arredo, atto a riempire spazi della casa appositamente pensati ed allestiti per la sua custodia ed esposizione. Di solito ci si limita a considerare il libro secondo il primo metro di valutazione, cioè concependolo alla stregua di semplice supporto della scrittura e mezzo di trasmissione del sapere che vi è contenuto. Come tale il libro è facilmente condannabile all’oblio perché basta un’innovazione tecnologica, che introduca una forma più maneggevole e pratica di supporto alla lettura, come i tablet e gli e-reader, perché lo si possa considerare superato e, quindi, progressivamente abbandonato. E’ quanto capitò alle carrozze trainate dai cavalli quando nacque l’automobile”.

“Il libro, però” – ed è questo il punto centrale del ragionamento di Mimmo Fogola – “non è un semplice supporto, facilmente sostituibile con strumenti innovativi di lettura, ma è un oggetto, cui siamo abituati a fare i conti da secoli, per il quale allestiamo appositi ambienti nelle nostre case e che amiamo maneggiare, osservare, sfogliare”.  Proprio considerando il libro come oggetto, da cui dipendono un insieme di abitudini consolidate e di modi di concepire la realtà, prima di tutto l’abitare (pensiamo alla libreria domestica o agli ambienti adibiti a studio), possiamo arrivare alla conclusione, che è quella a cui giunge Fogola, che il libro cartaceo non scomparirà mai del tutto perché la sua estinzione implicherebbe la rinuncia a quel complesso di relazioni ed emozioni che gli ruota attorno.

Scorcio autunnale di piazza Carlo Felice a Torino
Scorcio autunnale di piazza Carlo Felice a Torino

Il secondo punto che tocchiamo riguarda l’evoluzione del mestiere del libraio e il destino delle librerie, sia con riguardo alla situazione generale, sia in riferimento al caso di Torino e del Piemonte.

Affrontando il tema, assai complesso, Fogola rileva subito un paradosso: “Da un lato è assodata la crescente disaffezione verso la lettura, dovuta a fattori non solo economici, ma anche culturali, dall’altro lato si nota però una straordinaria fioritura di libri stampati, per una media che sbalordisce e che parla di 150/160 testi al giorno. Questo è un evidente eccesso, che non sortisce altro effetto di disorientare il lettore e l’editore stesso, sommerso da proposte di pubblicazione, ed è causa di dispersione di energie e risorse, che potrebbero essere più utilmente convogliate su pochi testi, ma di buona qualità e selezionati”.

“Ciò che manca oggi al libraio”, notano Mimmo e Nanni Fogola, “è forse il fiuto, che un tempo sapeva orientare il venditore. Nostro nonno, Giovanni Battista Fogola, nativo di Montereggio vicino a Pontremoli in Lunigiana, scendeva a valle dalla sua borgata con la gerla piena di libri, per venderli nei centri abitati più grossi. Così cominciò il mestiere, dando l’avvio alla dinastia di librai, poi anche editori, di cui siamo gli ultimi discendenti, e che lo portò ad aprire, nell’allora culturalmente vivace Torino (siamo nel 1911), prima tre chioschi e poi la libreria Dante Alighieri in piazza Carlo Felice. Senza fiuto per il libro e senza la capacità di comprendere i gusti del potenziale acquirente, non avrebbe mai combinato nulla e se ne sarebbe tornato sui suoi passi, con la gerla colma di libri invenduti”.

Nanni Fogola evidenzia come a Torino (ma la città riflette una tendenza generale), aldilà del problema specifico della chiusura delle librerie storiche in centro, il negozio-libreria puro non esista più o comunque sia in fase di sparizione: il libraio, per sopravvivere, deve per forza differenziare e ampliare l’offerta merceologica, trattando beni che con il libro c’entrano poco o nulla. La figura del libraio puro, in realtà, è ancora rintracciabile, ma è oggi incarnata dai gestori dei chioschi e delle bancarelle di libri, fenomeno tanto radicato a Torino che, come nota Mimmo Fogola, “la nostra è la città a livello europeo che ne vanta il maggior numero in rapporto al numero degli abitanti, ancor più di Parigi”. Questo è sicuramente un valore aggiunto e rappresenta una realtà ancora oggi vivace, tanto che, osserva Mimmo, “se noi proponessimo un cambio, al netto di costi e affitti, tra il negozio-libreria e un chiosco, nessuno accetterebbe mai”.

Legatura alle armi sabaude - metà XVIII secolo - libro conservato presso il Museo Civico di Arte Antica a Palazzo Madama
Legatura alle armi sabaude – metà XVIII secolo – libro conservato presso il Museo Civico di Arte Antica a Palazzo Madama

La nostra piacevole conversazione sta volgendo al termine e lo sguardo attento di Mimmo e Nanni Fogola si posa infine sul Piemonte, e su Torino, dove, come notano i due fratelli, pur in un contesto di generale disaffezione verso la lettura, esiste ancora, rispetto ad altri luoghi, una certa attenzione per il libro e questo spiega l’alto numero di librerie che resistono, oltre cento (anche se relegate spesso in quartieri meno centrali), la rilevante concentrazione di chioschi, bancarelle e cartolibrerie, ma anche la notevole presenza di librerie antiquarie, come Gilibert in Galleria Subalpina, Peyrot di Pier Luca Monge e Bergoglio libri antichi, attive a Torino in numero superiore a quello di qualsiasi altra realtà italiana.

Inoltre “per quanto riguarda le scelte di acquisto, il lettore torinese ha sempre manifestato una spiccata propensione per le pubblicazioni che riguardano Torino e il Piemonte e questo, per un piccolo editore legato al territorio, rappresenta senza dubbio un vantaggio. Ad esempio noi, come librai-editori, tempo fa lanciammo una collana di gialli, i “Gialli Fogola”, realizzati da autori locali (tra gli altri, Renzo Rossotti, Angelo Caroli, Mario Barbero, Corrado Farina), e decidemmo di ambientarli in terra sabauda. Ricordo che, nelle scelte di acquisto dei clienti, incideva parecchio l’ambientazione tutta torinese/piemontese del libro giallo, e questa atteggiamento di attenzione per la città e il territorio finì per decretare il successo della collana”.

Paolo Barosso