Chieri, sita a poca distanza da Torino, “in una pianura dolcemente inclinata verso scirocco, a piè d’ameni colli, che la riparano dai venti boreali” (Casalis), era annoverata nel tardo Medioevo tra i centri urbani più fiorenti del Piemonte, in grado di contendere a Torino la sede dell’Università subalpina, attiva a Chieri a fasi alterne tra il 1421 e il 1434.

Nell’ambito della colonizzazione romana del Piemonte collinare a sud del Po, alla fine del II secolo a.C., s’inserì la fondazione di varie città dai nomi beneaugurali come Valentia (Valenza Po), Pollentia (Pollenzo) e l’antica Chieri, che venne ribattezzata Carreum Potentia, incorporando il toponimo Karr(o), designante il preesistente villaggio celto-ligure.

Chieri - la Collegiata di Santa Maria
Chieri – la Collegiata di Santa Maria della Scala

Chieri conserva l’impianto medievale, su cui s’innestano pregevoli architetture barocche, come l’elegante cupola della chiesa di San Bernardino, opera di Bernardo Antonio Vittone, la chiesa della Immacolata Concezione detta di San Filippo con il movimentato prospetto settecentesco disegnato da Mario Ludovico Quarini, e la facciata della chiesa di San Giorgio Martire, realizzata anch’essa su probabile disegno del Vittone.

La mossa facciata barocca di San Filippo
La mossa facciata barocca di San Filippo

La chiesa di San Giorgio, sorta nell’area dell’antico castrum, già documentato nell’XI secolo, domina il centro cittadino dall’alto d’una rocca ed è affiancata da un campanile cuspidato “a pagoda“, d’aspetto nord-europeo, che in origine fungeva da torre civica. Ricostruita in forme gotiche nel XV secolo, venne poi rimaneggiata in età barocca, con interventi radicali che lasciano però ancora oggi intuire i caratteri originari dell’architettura quattrocentesca.

Scorcio della chiesa di San Giorgio con il curioso campanile cuspidato "a pagoda", in origine torre civica
Scorcio della chiesa di San Giorgio con il curioso campanile cuspidato “a pagoda”, in origine torre civica

Il nucleo storico di Chieri ci offre importanti testimonianze di quella civiltà del cotto, basata sull’impiego del mattone a vista e delle formelle decorate, che caratterizzò il Quattrocento piemontese. E’ questo il periodo in cui venne riconfigurato l’aspetto della città, con interventi edilizi commissionati dalle famiglie dell’aristocrazia comunale che s’erano arricchite dapprima con la gestione di banchi di prestito, le “casane”, nel Nord Europa, e successivamente investendo i guadagni nel commercio di tessuti con le Fiandre e nella produzione di fustagno, tanto da trasformare la città in una capitale del tessile.

Chieri - dettaglio di edificio medioevale con decorazioni
Chieri – dettaglio di edificio medioevale con decorazioni

Nella Chieri quattrocentesca, integrata nei domini sabaudi dal 1347, quando la città si sottrasse all’influenza angioina, si avviarono cantieri importanti, come la riplasmazione in forme gotiche tra il 1405 e il 1436 della Collegiata di Santa Maria della Scala, definita impropriamente cattedrale, dato che la città non fu mai sede episcopale.

Chieri - il Battistero
Chieri – il Battistero

L’interno, rimaneggiato nell’Ottocento, custodisce opere di pregio come gli stalli goticizzanti del coro e gli affreschi quattrocenteschi della cappella Gallieri, ma è il battistero a stupire, con la nitidezza gotica del profilo esterno e le importanti opere ivi conservate, la “Pala Tana”, eseguita da Defendente Ferrari o Martino Spanzotti nel 1503 su committenza dei fratelli Tana, e la Madonna del Melograno, statua lignea di fattura franco-fiamminga, che testimonia, con la sua presenza a Chieri, la forza vitale di quell’asse nordicizzante che, in ambito artistico, accomunò varie città piemontesi nel tardo Medioevo.

Collegiata di Santa Maria della Scala - l'alta ghimberga con la copia della Madonna del Melograno nella lunetta
Collegiata di Santa Maria della Scala – l’alta ghimberga con la copia della Madonna del Melograno nella lunetta

La Madonna lignea di Chieri, scolpita tra il 1405 e il 1415 probabilmente dal borgognone Jean de Prindall, risalta sia per la ricercatezza formale, evidente nel panneggio della veste, sia per il contrasto psicologico tra lo sguardo della Vergine, che presagisce le sofferenze riservate al figlio, e l’atteggiamento del bambino che, tentando di afferrare il melograno, per l’iconografia cristiana simbolo della Passione, si protende consapevolmente verso il suo destino.

L'arco trionfale
L’arco trionfale

Accanto ad altri monumenti, tra cui l’arco trionfale, eretto nel 1580 e rifatto nel 1761 dal Vittone, o la chiesa di San Domenico, edificata nel 1260, i vicoli che s’inerpicano sulla collina dominata dalla chiesa di San Giorgio, caratterizzante lo skyline cittadino con il campanile-torre cuspidato, mostrano edifici dall’impronta tipicamente quattrocentesca, come le case dei Villa e dei Solaro, adibite a ghetto ebraico nel Settecento.

Chieri - Chiesa di San Domenico
Chieri – Chiesa di San Domenico

Dalla casa dei Villa, riprodotta al Borgo Medioevale di Torino, costruito nel 1884 come riproposizione del “Castello feudale del XV secolo” in Piemonte, proviene il bellissimo angelo reggiscudo oggi conservato a Palazzo Madama, che ornava i contromodiglioni dei ballatoi lignei, reggendo appunto lo scudo con l’arme della famiglia.

Vigneti nel Chierese
Vigneti nel Chierese

Vessilli dell’enogastronomia chierese, oltre ai grissini rubatà, sono senza dubbio la focaccia dolce e il vitigno Freisa. Il Freisa (declineremo al maschile il vitigno e al femminile l’omonimo vino), che deriva forse il nome dal francese fraise, fragola, per il caratteristico bouquet, è autoctono del Piemonte, in cui è tuttora concentrata la sua coltivazione, se si eccettuano episodiche presenze fuori territorio, come in Oltrepò Pavese e Veneto, e alcuni ettari in California e Argentina, dove venne impiantato da coloni piemontesi.

Il vitigno Freisa, già citato in un documento doganale del 1517, non venne inserito curiosamente dal Croce, autore di un trattato di enologia edito al principio del Seicento, nell’elenco delle uve coltivate sulla “montagna di Torino”, ovvero le colline circostanti la capitale sabauda, ma è comunque da secoli una presenza abituale in buona parte del Piemonte, pur assumendo carattere di varietà prevalente solo in aree ristrette, come nei dintorni collinari di Torino e nel Chierese. La popolarità del Freisa è dovuta alla generosa produzione, alla resistenza alle intemperie e alla relativa tolleranza verso certe malattie della vite come la peronospera.

Vigna di Freisa sulla collina torinese
Vigna di Freisa sulla collina torinese

La varietà nota nel Monferrato come Freisa Grossa o di Nizza è in realtà identificabile con la Neretta Cuneese mentre recenti ricerche ampelografiche condotte da Anna Schneider dell’Università di Torino hanno rilevato uno stretto grado di parentela del Freisa con il Nebbiolo, cui assomiglia per tratti sia morfologici che di composizione delle uve.

Le uve Freisa, caratterizzate da spiccata acidità e contenuto tannico, raccolte di norma tra fine settembre e prima decade di ottobre, sono vinificate in purezza nelle Doc Freisa di Chieri e Freisa d’Asti, mentre negli altri casi entrano in uvaggio con varietà diverse (i disciplinari della Doc Langhe Freisa o Pinerolese Freisa prevedono la possibile concorrenza nella misura massima del 15% con altri vitigni a bacca nera consentiti per la zona). Nel Monferrato Casalese è pratica tradizionale il taglio con le uve Grignolino e l’assemblaggio di entrambi i vitigni con il Barbera.

Focaccia dolce di Chieri
Focaccia dolce di Chieri

La focaccia dolce si prepara in varie aree del Piemonte, nell’Alessandrino, a Susa, dove la prima ricetta codificata risale al 1870, e a Chieri, città che vanta una solida tradizione pasticcera, di cui è depositaria, tra gli altri, la pasticceria Avidano (via Vittorio Emanuele, 46), che propone anche praline fatte a mano, brut e bon, chieresi al Rhum, gelatine alla frutta, oltre alla Radiosa, tavoletta di cioccolato di design sensoriale.

Conosciuta sin dall’epoca pre-romana, la focaccia dolce si arricchì con il tempo di nuovi ingredienti, uova, zucchero, farina di grano tenero, lievito di birra, che si sostituiscono o si aggiungono a quelli originari, farine di orzo, segale, avena e miglio, burro, sale e, in base ad un’antica versione, miele, scaldato e spennellato sulla focaccia.

In particolare, la focaccia chierese, consumata in genere a fine pasto, richiede una preparazione di 4 o 5 ore;  l’impasto, costituito da acqua, farina, latte, burro, zucchero e lievito di birra, deve lievitare due volte ed essere caramellato in forno. Un tempo veniva proposta una versione per bambini, il galucio, a forma di gallo, ma ora è diffusa solo la versione tradizionale, glassata in superficie e del peso di circa mezzo chilo.

Paolo Barosso