Perizia processuale“, il surreale racconto dello scrittore che amava la “cronaca nera”, è ispirato da un clamoroso caso giudiziario avvenuto a Bangkok, in Siam, nel 1938, che vide come vittima la giovane piemontese Vincenzina Virando, appartenente ad una famiglia originaria di Viù

di Milo Julini

Al processo per la tragedia di Zanzibar il prof. dott. Laccavanna, titolare della cattedra di anatomia patologica, prosegue oggi la sua esposizione come perito di difesa.

«Oggi potremo dimostrare» afferma l’insigne studioso «che il ritrovamento della vittima con la testa spiccata dal busto non esclude affatto l’ipotesi di suicidio. Anzi. La letteratura medica e criminale è ricchissima di casi in questo senso. L’idea dell’autodecapitazione non è forse la prima che si affaccia alla mente di chi vuole por fine ai propri giorni? E le affilatissime scimitarre di Zanzibar di cui ricche panoplie ornavano le pareti del bungalow non erano per la povera signora Ermelinda una continua tentazione?

«Orbene, la defunta era una donna robusta e muscolosa, praticava, non senza successo, il tennis, il golf e la voga. Mozzarsi il capo con un energico fendente fu certo per lei cosa da nulla. Ma qui appunto l’accusa concentra le sue argomentazioni. Come può essersi decapitata – si obietta – se il colpo fu vibrato dal di dietro in avanti, cioè sulla nuca? Ebbene, io rispondo, non è vero che il colpo provenne dal di dietro!».

Momento drammatico del processo Grande a Bologna – da La Domenica del Corriere n. 45 dell’11 novembre 1951

Questo è l’incipit del racconto “Perizia processuale” di Dino Buzzati, apparso nella raccolta “Siamo spiacenti di” (Milano, 1975): racconto surreale, dove un altezzoso docente universitario, perito della difesa in un processo per omicidio, dopo una disinvolta girandola di iperboliche affermazioni, basate su termini inesistenti ma evocativi di un linguaggio scientifico reale e corretto,  arriva a decapitarsi in aula per dimostrare la veridicità delle sue teorie.

Questo racconto dello scrittore che amava la “cronaca nera” è ispirato da un clamoroso caso giudiziario avvenuto nel 1938 a Bangkok, in Siam, che ha avuto come vittima Vincenzina Virando, giovane donna appartenente ad una famiglia originaria di Viù. La sua morte a Bangkok rappresenta uno dei “misteri italiani” secondo lo scrittore Enzo Catania che scrive: «Tra “i misteri” ormai inghiottiti dalla Storia ce n’è anche qualcuno che visse il suo decollo e il suo epilogo all’estero ma che poi cercò inutilmente in Italia la chiave per spiegarne trame e colpe. Nel Gotha della “grande nera” uno dei più noti è sicuramente il “caso Grande”, che i cronisti dell’epoca etichettarono anche come “vicenda del diplomatico e della bella sposa”».

La vicenda inizia quando Ignazio Virando (Torino, 1867 – 1941), gioielliere torinese di famiglia originaria della frazione Balma di Viù, sposa Carolina Remondini (Buenos Aires, 1892 – Torino, 1971) ed ha due figli: Arnaldo (Torino, 1911 – 1989) e Vincenzina (Torino, 1913 – Bangkok, 1938).

Vincenzina Virando e Stefano Grande il giorno delle nozze – dalla copertina del settimanale Tempo

Il 31 luglio 1938 Vincenzina, chiamata Nina dai familiari, sposa Ettore Grande (Villafranca Piemonte, 1903 – Pescara, 1992).

Il padre di Ettore, Stefano (Villafranca Piemonte, 1877 – 1966), professore negli istituti tecnici e nell’Istituto Superiore di magistero e libero docente di geografia nell’Università di Torino, è stato tra i fondatori, nel 1919, del partito Popolare Italiano.

Ettore Grande è scapolo e questo, in epoca fascista, costituisce un forte ostacolo alla progressione nella sua carriera diplomatica: al momento del matrimonio con Vincenzina, ricopre la carica di vice console alla Legazione italiana di Bangkok, in Siam, l’attuale Thailandia, dove si trasferisce con la moglie.

Vincenzina è trovata morta, in camera da letto, nel mattino del 23 novembre 1938, con numerose ferite da arma da fuoco alla testa. Omicidio, come sostiene la famiglia, o suicidio, come asserisce il marito?

Ettore Grande è arrestato a Torino, il 7 aprile 1939.

Il primo processo, celebrato in Corte di Assise a Torino, l’11 aprile 1941 condanna il marito a ventiquattro anni di reclusione per omicidio. Ettore Grande è poi assolto per insufficienza di prove dalla Corte di Assise di Novara (1946) e successivamente prosciolto con formula ampia, per non aver commesso il fatto, dalla Corte di Assise di Bologna (1951).

opinione pubblica si divide fra innocentisti e colpevolisti. Con la fine della seconda guerra mondiale, i giornali possono occuparsi estesamente della vicenda, senza censure di regime: il “caso Grande” rappresenta uno dei primi casi giudiziari del dopoguerra che desta una vasta eco mediatica.

I dibattimenti processuali sono vivacizzati dalle clamorose affermazioni degli avvocati della difesa e dei Virando; si assiste a scontri fra periti medico-legali. Se Vincenzina si è suicidata, come sostiene la difesa, come si spiega la sua ferita alla nuca?

Ha un peso determinante per l’assoluzione di Grande, l’intervento del medico legale Pier Antonio Gagna che avvalora una ipotesi scientifica, al tempo nota come «teoria del dente dell’epistrofeo», che concilia la ferita alla nuca con l’ipotesi del suicidio.

Nel racconto di Buzzati, dove Bangkok diventa Zanzibar, il «prof. dott. Laccavanna», rappresenta quindi una sorta di caricatura del dottor Gagna?

Buzzati si era occupato del caso di Ettore Grande nel 1946, con due articoli poi pubblicati nella raccolta “La «nera» di Dino Buzzati” (2002). Era forse convinto della colpevolezza del diplomatico?

Concludiamo con alcune notizie, per fornire una sorta di “follow up” della vicenda.

La famiglia Virando fa seppellire nel cimitero di Viù (Valli di Lanzo) il corpo di Vincenzina, sottoposto dal 1939 al 1951 a diciannove perizie mediche e balistiche.

Il fratello Arnaldo Virando mantiene i legami con Viù: è presidente onorario della banda musicale, promotore e finanziatore di varie iniziative, tra cui la sala consigliare nell’edificio delle scuole e la strada per la frazione Balma.

In ricordo di Vincenzina, Arnaldo fa costruire l’asilo infantile, ancora oggi attivo, che porta il nome della sorella.

Ingresso della scuola materna di Viù intitolata a Vincenzina Virando – foto di Milo Julini

Nel 1985, la RAI produce uno sceneggiato intitolato “Caso Ettore Grande” che mette in scena, con scelta più che opinabile, il processo alla Corte di Assise di Novara, nel 1946, quando Grande era stato assolto per insufficienza di prove. A Viù, i più anziani che ricordavano bene la famiglia Virando, rimangono assai poco convinti dalla interpretazione della attrice che impersona Carolina Remondini, la madre di Vincenzina.

Grande è ancora vivo e si prodiga, inutilmente, per impedire la messa in onda dello sceneggiato: alla Rai, a quanto pare, erano convinti che fosse morto già da alcuni anni! Dopo tredici anni di carcere, che hanno provocato profonde sofferenze nella sua famiglia, Grande ha ripreso la carriera diplomatica, con un secondo infelice matrimonio.  Muore a Pescara nel 1992, alcuni mesi dopo la scomparsa del medico legale Pier Antonio Gagna che ha contribuito alla sua assoluzione.

Dino Buzzati, più giovane di Ettore Grande si soli tre anni (era nato a Belluno nel 1906), era morto a Milano vent’anni prima.

“Vincenzina Virando ed Ettore Grande, un enigma del nostro tempo”, così titolava il settimanale Oggi nel 1949