di Fabio Occhial
con il contributo di Don Cesare Silva
Le origini dell’abbazia di San Pietro a Breme vanno ricercate in Piemonte, in val di Susa, presso l’antico monastero di Novalesa, fondato nel 726 da Abbone, governatore di Susa e della Moriana, in una delle vie di transito tra la valle del Rodano e l’Italia settentrionale.
I monaci, adottata la regola di san Benedetto, conobbero un’importante espansione territoriale primariamente in Savoia e nella Francia centrale, con vari possedimenti nelle diocesi di Moriana, Grenoble, Vienne, Gap, Briançon, Embrun. Sin dal 779, l’abbazia poté godere di importanti privilegi regi concessi da Carlo Magno, confermati successivamente nell’814 da Ludovico il Pio e nell’845 da Lotario I. (Carlo Magno, nel 773 varcato il Moncenisio, sostò a Novalesa durante la discesa nei territori padani per la conquista dei domini longobardi). Le vicende del monastero, dalle origini fino alla metà del sec. X, sono raccontate nel Cronicon Novalicense da un monaco anonimo, residente nel monastero di Breme.
Nel sec. X, le continue incursioni da parte di gruppi convenzionalmente definiti “Saraceni”, divennero una costante minaccia per le Alpi Occidentali, e in particolare per Novalesa che si trovava a valle del passo del Moncenisio, lungo uno dei più importanti itinerari che collegavano l’Italia settentrionale con la Francia. Nel 906 (data tradizionale) l’abate Donniverto, con la protezione di Adalberto marchese di Ivrea, decise di abbandonare il monastero, trasferendo i codici della preziosa biblioteca a Torino, dapprima presso la chiesa di San Clemente fuori le mura, dove rimasero circa una trentina d’anni. In seguito, a causa del pericolo di incursioni, decisero di trasferirsi in un’altra chiesa all’interno delle mura urbane, Sant’Andrea, dove ora sorge il celebre Santuario della Consolata.
Con data 24 luglio 929 re Ugo conferma la donazione di Adalberto, della chiesa di Sant’Andrea di Torino e delle curtes Regie di Breme e di Pollicino; la prima, verosimilmente già appartenuta a famiglie legate ai Conti Palatini di Lomello, mentre la seconda era di proprietà dalla moglie, figlia del re d’Italia Berengario I.
Il territorio di Breme, posto nel Comitato di Lomello a poca distanza dal capoluogo comitale e dalla città di Pavia, sede del palazzo regio, risultò particolarmente adatto per un insediamento monastico di un certo rilievo. Posto su di un importante tracciato romano, in parte conservato, che lo collega direttamente a Laumellum (Lomello), sorge sulle rive dei fumi Po e Sesia, la cui confluenza, costituiva un importante snodo di passaggio verso i territori dell’oltre Po. Il monastero nacque quindi in una località di confine, relativamente vicina ai centri nevralgici, servita da strade importanti e dalla possibilità della vicina navigazione fluviale, ma in posizione defilata, protetta dalle foreste e dai due fiumi e facilmente difendibile dalle frequenti incursioni degli Ungari.
Non sono note le circostanze della costruzione della primitiva Abbazia, né la tipologia del primigenio nucleo insediativo; l’anonimo cronachista afferma che la fondazione dell’abbazia fu propiziata dal marchese Adalberto e che nel 935 si fecero monaci due conti, Rogerio, fratello forse di Arduino, e Oberto d’Asti proprio a Breme. Successivamente alla morte di Adalberto e con l’ascesa al potere di Arduino il Glabro, che aveva liberato la Val Susa dai Saraceni attorno al 945 e che era divenuto marchese di Torino, iniziò la lunga stagione dei poteri locali e delle signorie civili nel governo dei beni dell’abbazia.
L’influenza di Arduino, usurpatore di molti beni della Novalesa soprattutto in valle, fu tuttavia di breve durata: l’Abate Belegrino intercesse presso Adelaide, vedova di Lotario, sposa dell’ imperatore Ottone I, affinché fosse restituita all’abbazia la propria autonomia e nel 972 scrisse al papa Giovanni XIII perché favorisse il monastero con la conferma dei privilegi.
Grazie all’interessamento dell’imperatore il 21 aprile dello stesso anno il papa confermò a Breme tutti i possedimenti già di Novalesa e vietò a chiunque di intromettersi nell’elezione dell’abate che spettava solo ai monaci liberamente. Successivamente, anche l’imperatore emise un diploma in cui confermava tutti i possedimenti. Iniziò per Breme una fase di stabilità e di ricchezza che porterà all’abbazia fino al sec XII il possesso di un grandissimo numero di chiese, castelli, terreni e benefici in Italia e in Francia.
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