di Redazione

L’abbazia di Novalesa sorge in val Cenischia, alle pendici del valico del Moncenisio, che collega il Piemonte alla Savoia. Promotore della fondazione, avvenuta nel 726, fu il nobile franco Abbone che, con il permesso di Walcuno, vescovo di Saint-Jean-de-Maurienne, e del clero di Moriana e Susa, affidò il cenobio a un gruppo di monaci forse provenienti da Grenoble.

Il periodo di maggior prosperità per Novalesa fu quello compreso tra la fondazione e il principio del X secolo, quando la comunità contava 500 monaci. Di questo periodo abbiamo notizie grazie a un monumento della letteratura medievale, redatto nella seconda metà dell’XI secolo da un monaco rimasto anonimo, il Chronicon Novaliciense.

Una delle figure più significative di Novalesa fu Sant’Eldrado, nobile originario di Ambel nell’odierno dipartimento francese dell’Isère. Indossate le vesti del pellegrino, venne accolto nella comunità di Novalesa per volere dell’abate Amblulfo, di cui fu il successore alla guida dell’abbazia fino alla morte avvenuta nell’844.

Dopo il primo periodo di esistenza della comunità, furono due gli avvenimenti che segnarono il destino di Novalesa: il passaggio di Carlo Magno, re dei Franchi, e le scorrerie dei Saraceni.

Nel 773 il re dei Franchi, chiamato in soccorso da papa Adriano I contro la minaccia longobarda, valicò con l’esercito le Alpi occidentali mentre lo zio Bernardo calava dalla Val d’Aosta, per accerchiare i Longobardi con una manovra a tenaglia. Carlo Magno, accolto dall’abate Frodoino, si fermò a Novalesa per qualche mese studiando le tattiche più efficaci per sorprendere i Longobardi, attestati sulla linea di difesa delle Chiuse di San Michele (Clusae Langobardorum).    

Veduta della chiesa abbaziale

La riconoscenza di Carlo Magno, vincitore della battaglia delle Chiuse contro i Longobardi e futuro imperatore, si manifestò con la conferma alla comunità di Novalesa di un’ampia autonomia da ingerenze del potere vescovile e civile e con l’invio di uno dei suoi figli, Ugo, che, allevato dai monaci, sarebbe poi divenuto abate.  

Il secondo avvenimento fu l’arrivo dei Saraceni, bande di predoni arabi e contadini ribelli islamizzati che, approfittando della disgregazione del potere regio, s’erano stanziati al principio del X secolo lungo la costa provenzale, conducendo da qui spedizioni e razzie in tutte le regioni alpine occidentali. Nel 906, stando al Chronicon, o più tardi, nel 920, stando a studi recenti, i Saraceni calarono su Novalesa, costringendo i monaci, guidati dall’abate Domniverto, a trovare rifugio a Torino, protetti dal marchese anscarico d’Ivrea Adalberto. Trasferitisi poi in Lomellina, su terre donate dal marchese Adalberto, i monaci vi fondarono la nuova abbazia di Breme, da allora in avanti legata a Novalesa.

Una volta liberata la valle di Susa dalla piaga dei Saraceni, grazie al marchese di Torino, Arduino il Glabro, tra la fine del X e il principio dell’XI secolo i monaci fecero ritorno alla Novalesa, affidando al monaco architetto Bruningo il compito di ricostruire gli edifici distrutti, dando nuova vita all’antica comunità, che comunque non tornò più allo splendore dei primi tempi.

La cappella di San Michele, risalente all’VIII/IX secolo

Ridotta a semplice priorato e tornata alla dignità abbaziale solo nel 1599, Novalesa, pur tra alterne vicende, visse secoli di sostanziale declino, fino al 1973, quando un gruppo di monaci decise di rifondare l’antica e prestigiosa comunità, in origine famosa in tutto l’Occidente cristiano per la biblioteca e lo scriptorium.

La cappella di Sant’Eldrado, con il suo prezioso ciclo di affreschi realizzato alla fine dell’XI secolo, è la testimonianza artistica più significativa dell’antico complesso, dato che la chiesa abbaziale, distrutta dai Saraceni nella prima metà del X secolo, venne ricostruita per iniziativa dell’abate Bruningo nell’XI secolo e in seguito riplasmata in forme tardo-barocche nel 1717 su disegno di Antonio Bertola.