Testo e foto di Paolo Barosso

Tra le attrattive del paese di Pecetto, adagiato sul versante sud-est della collina torinese e associato nell’immaginario comune alla coltivazione delle ciliegie, risalta la chiesa cimiteriale di San Sebastiano, di rilevante interesse per la qualità degli affreschi che custodisce.

L’edificio di culto, con la semplice facciata in cotto segnata da contrafforti che anticipano l’impianto interno a tre navate, si mostra agli occhi del visitatore su un lieve rialzo del terreno ai margini dell’abitato di Pecetto, a lato del camposanto.

Malgrado le indagini archeologiche compiute negli anni Ottanta abbiano accertato che la struttura attuale, risalente alla prima metà del Quattrocento, poggia direttamente sulla bancata tufacea, escludendo “preesistenze insediative o di carattere cultuale”, le fonti archivistiche segnalano la presenza in loco di una chiesa più antica, che evidentemente non ha lasciato tracce apprezzabili.

Veduta dei dintorni di Pecetto: il borgo di Revigliasco, oggi frazione di Moncalieri

Stando ai documenti, nel 1227 il villaggio di Pecetto, rifondato come borgo nuovo e franco per iniziativa del comune di Chieri, che s’era sostituito nel dominio di questi territori ai precedenti signori, i conti di Biandrate, era provvisto di una chiesa plebana (parrocchiale) dedicata a Santa Maria, di cui non è precisata l’ubicazione, ma che si suppone sorgesse nello stesso luogo in cui oggi troviamo la chiesa di San Sebastiano.

La scena della Crocifissione sulla parete di fondo del presbiterio, opera del misterioso “Antonius de Manzaniis”

Preziose indicazioni sono ricavabili dalla relazione della visita pastorale compiuta nel 1584 dal vescovo di Sarsina Angelo Peruzzi, che colloca la parrocchiale di Pecetto nel centro del nuovo abitato, accanto alla torre medievale, dove tuttora è collocata, e menziona la chiesa di San Sebastiano, informandoci che questa era “un tempo parrocchiale, prima che la cura d’anime fosse trasferita alla chiesa di Santa Maria (detta in età moderna “ad Nives”, cioè della Neve)”.

Le vele della volta del presbiterio con gli affreschi attribuiti al chierese Guglielmetto Fantini

Si ritiene quindi probabile che, ancora al tempo dell’incastellamento del villaggio di Pecetto da parte dei Chieresi, l’antica chiesa plebana di Santa Maria si trovasse nel punto dove sarebbe stata costruita nel XV secolo la chiesa di San Sebastiano e che, dopo la fondazione della nuova parrocchiale, la pieve preesistente, conservando funzioni cimiteriali, si sia vista assegnare forse già nella prima metà del Trecento la nuova dedicazione al martire.

L’incoronazione della Vergine

Infatti, la posizione dell’edificio, periferica rispetto al nuovo abitato, nel punto di intersezione di più strade, rendeva facilmente percepibile la chiesa come “sbarramento soprannaturale” capace di proteggere la popolazione dalle pestilenze, giustificando quindi la nuova intitolazione a un santo taumaturgo come Sebastiano, invocato al pari di San Rocco come argine contro il contagio.

La chiesa sorprende per la qualità degli affreschi interni, che un tempo coprivano una superficie più ampia di quella attuale e che rivelano l’operato di più artisti, con stili diversi, intervenuti in un lasso temporale compreso tra la prima metà del Quattrocento e il principio del secolo successivo.

Giudizio e martirio di San Sebastiano

Gli studiosi non hanno potuto attribuire un’identità a tutti i pittori chiamati a lavorare nel cantiere e ad oggi ne sono stati individuati con ragionevole certezza solo tre: il chierese Guglielmetto Fantini, già autore del ciclo sulle “Storie della Passione” eseguito nel 1432/35 insieme con lo zio Giovanni Fantini nel battistero del duomo di Chieri, Jacopino Longo, pinerolese o albese, tra i protagonisti della stagione tardogotica in Piemonte, e il misterioso “Antonius de Manzaniis”, il cui nome compare ai piedi del Cristo nel grande affresco raffigurante la Crocifissione sulla parete di fondo del presbiterio.

Gli Evangelisti all’opera nello “scriptorium”

Evidente è l’eterogeneità tematica dell’insieme pittorico, che denota la coesistenza di più committenti e di più artisti esecutori. Vi troviamo rappresentati, distribuiti in vari punti della chiesa, i santi più venerati del Piemonte quattrocentesco come San Giovanni Battista, Sant’Antonio Abate, San Bernardino da Siena (attestato a Chieri nel 1418), San Francesco, Santa Chiara, San Rocco, San Cristoforo, San Sebastiano, accanto a soggetti dell’agiologia più colta, quali le sante Petronilla, Scolastica, Prisca, Prudenziana, Brigida.

Affresco con santi: a sinistra Santa Barbara, con ricco abito quattrocentesco, riconoscibile dalla torre in cui venne rinchiusa per ordine del padre, e a seguire San Lorenzo intento a operare il miracolo della restituzione della vista a un bambino

Non mancano poi le raffigurazioni di eventi fondamentali della fede cristiana, iconografie tradizionali della Vergine e racconti a più episodi, come le scene di vita dei martiri Lorenzo e Stefano o la leggenda di Santo Domingo de la Calzada.

Le tentazioni di Sant’Antonio

Passando brevemente in rassegna gli affreschi più significativi a partire dall’ingresso, sulla controfacciata di destra si ammira una magnifica Natività datata 1508 e attribuita a Jacopino Longo che in questa sua opera, guardando alla pittura di Martino Spanzotti e Defendente Ferrari, mostra di essere “aggiornato sulle forme rinascimentali”, pur rivelando un’impronta ancora gotica nell’intonazione espressiva.

Dettaglio della Natività attribuita a Jacopino Longo

Spostandoci nella terza cappella della navata sinistra, troviamo rappresentato sulla volta il racconto medievale di Santo Domingo de la Calzada.

Secondo la tradizione, in questa località spagnola situata lungo il cammino di Santiago de Compostela la figlia di un oste, respinta dal giovane pellegrino di cui s’era invaghita, aveva ottenuto, per vendetta, la condanna a morte tramite impiccagione del malcapitato, accusandolo falsamente di furto.

Il martirio di San Lorenzo

I genitori del giovane, scoprendo che era vivo, tenuto in vita dall’intervento miracoloso di santo Domingo, si presentarono al cospetto del balivo, per implorarne la liberazione, ma questi, scettico, si convinse della verità e dell’innocenza del ragazzo solo quando, a seguito d’una sua battuta di spirito (“Vostro figlio è vivo come questi due polli arrostiti che sto per gustarmi”), i due pennuti cotti e pronti per essere mangiati ripresero vita spiccando il volo. L’opera è ricondotta dalla critica alla mano d’un pittore raffinato, chiamato “pseudo Jacopino Longo”, perché la sua arte, pur essendo affine allo stile del Longo, se ne discosta per le forme mature, ormai pienamente rinascimentali.

Il martirio di Santo Stefano

Lungo la stessa navata, nella quarta cappella, si ammirano gli episodi di vita e di martirio dei santi Lorenzo e Stefano, il cui culto venne incentivato dalla Curia pontificia dalla metà del Quattrocento, epoca a cui risalgono gli affreschi (1460/70), dovuti a un pittore ignoto che manifesta una formazione di ambito jaqueriano, come evidenzia il vivo realismo e l’accentuata espressività dei personaggi, in particolare le figure dei torturatori.

San Sebastiano trafitto dalle frecce

Per trovare le pitture di Guglielmetto Fantini, databili al 1440-1450, dobbiamo recarci nell’area presbiteriale e alzare lo sguardo alle vele della volta: qui compaiono gli Evangelisti, la scena dell’Incoronazione della Vergine e gli episodi di vita di due popolari santi taumaturghi, Sant’Antonio Abate e San Sebastiano.

Come annota Claudio Bertolotto, anche in questo caso l’espressività accentuata, quasi caricaturale, e il realismo delle figure richiamano la grande scuola jaqueriana mentre l’attenzione per il dettaglio e il vivace cromatismo mostrano influenze della pittura fiamminga, che il Fantini dovette far proprie ispirato dalle grandi tele presenti nelle chiese di Chieri, città a quel tempo proiettata per vocazione commerciale e bancaria verso le regioni del Nord Europa.

La scena della Crocifissione affrescata da “Antonius de Manzaniis”

Il misterioso “Antonius de Manzaniis”, pittore di cui non si hanno altre notizie, è indicato infine come l’artefice della grande scena della Crocifissione che campeggia sulla parete di fondo del presbiterio. La vita del personaggio, che operò a Pecetto tra il 1430 e il 1440, non è ricostruibile in base alle notizie in nostro possesso, ma il suo stile, secondo la critica, rivela un’equilibrata sintesi di “naturalismo lombardo” e “espressionismo nordico”.

Prima di uscire dalla chiesa, soffermiamoci ancora su una curiosità, prendendola a prestito dal bel libro di Remo Grigliè sulla collina torinese. Come racconta lo scrittore, al secondo pilastro della navata destra si trovavano inchiodate alcune cuffiette per bambini: queste, in ossequio a una tradizione locale e come gesto di fede, venivano appoggiate dalle madri pecettesi sul capo dei loro figli malati di crosta lattea, in piemontese rufa, accendendo un lume alla sovrastante effigie della Madonna con il Bambino, ribattezzata, per questa vocazione taumaturgica, con l’appellativo di Madòna dla Rufa.

Fonti bibliografiche e siti internet:

Remo Grigliè, Invito alla collina torinese, A. Viglongo editore, 1968

Sergio D’Ormea, Le pietre raccontano Pecetto: San Sebastiano, www.ilpicchiopecettese.it

www.archiviocasalis.it