di Paolo Barosso
Il castello Della Rovere a Vinovo, comune situato alle porte di Torino, nella pianura agricola a sud dell’antica capitale sabauda, si presenta al visitatore nella sua elegante veste architettonica rinascimentale, innestata su una preesistente fortificazione medievale, frutto degli imponenti lavori di trasformazione intrapresi dalla famiglia Della Rovere tra la fine del Quattrocento e il principio del secolo successivo.

La nobile dimora, che si accredita come il più significativo monumento storico di Vinovo, vanto del paese, si discosta dalle tipologie castellane ricorrenti nell’area del Torinese, sia per l’impronta stilistica di matrice rinascimentale che caratterizza la struttura, sia per l’originale commistione di elementi figurativi padano-lombardi e umbro-romani che si rileva nel repertorio decorativo e pittorico delle sale interne, attribuito in parte ad allievi del Pinturicchio.

L’edificio si presenta sul fronte sud come una residenza rinascimentale, composta da un massiccio corpo centrale e da due torrioni laterali che rivelano, soprattutto nel disegno del coronamento, influssi bramanteschi, leggibili nella sequenza di arcate che incorniciano l’alternarsi di nicchie e di finestre. Il prospetto settentrionale, da cui un tempo si dipartiva il viale di carpini che fiancheggiava la strada in direzione di Torino, e che oggi appare abbellito da uno scalone d’impronta juvarriana, aggiunto nel primo Settecento ricorrendo a maestranze attive nel vicino cantiere sabaudo di Stupinigi, conserva invece il ricordo dell’originaria funzione di fortezza medievale, in particolare nelle due torri provviste di beccatelli e caditoie.

I lavori di ammodernamento che tramutarono il preesistente castello medievale (solo in parte insistente nell’area occupata dall’odierno edificio) in splendida residenza principesca rinascimentale si protrassero dal 1480 al 1515 e fecero seguito all’ascesa economica e sociale della famiglia proprietaria, i torinesi Della Rovere, che, già presenti in Vinovo da diversi secoli, erano riusciti nel tempo ad acquisire la totalità del feudo, a scapito dei potenti marchesi di Romagnano.
I torinesi Della Rovere, ambiziosi e intraprendenti, avevano saputo intrecciare le proprie sorti a quelle di un’importante famiglia originaria di Savona, che portava lo stesso nome, Della Rovere, assurta ad alti onori nel 1471 con la salita di un suo esponente, Francesco, già ministro generale dell’ordine francescano, al soglio pontificio come papa Sisto IV, il pontefice entrato nella storia per aver commissionato la ricostruzione e decorazione della cappella del palazzo Apostolico, internazionalmente conosciuta come “Cappella Sistina”.

Papa Della Rovere, pur non legato da vincoli di parentela documentati con il ramo torinese, accolse sotto il suo mantello protettivo i fratelli Cristoforo e Domenico Della Rovere, che l’avevano sostenuto, appoggiando la nomina di quest’ultimo, dopo la morte prematura del primo, a cardinale di San Vitale e San Clemente e promuovendone la carriera ecclesiastica. Tra i vari titoli di cui fu insignito, vi fu quello di arcivescovo di Tarentaise in Savoia e di vescovo di Ginevra, ma nel 1482 Domenico raggiunse l’apice ottenendo l’ambita posizione di arcivescovo di Torino.

Fu la vasta cultura e il mecenatismo di Domenico Della Rovere a consentirgli, durante il soggiorno romano, di entrare in contatto con i massimi artisti del tempo, in particolare con la cerchia del Pinturicchio (1452/54 – 1513), pittore umbro che dal 1480, insieme con altri artisti e ispirandosi al repertorio decorativo della Domus Aurea neroniana, fortuitamente riscoperta in quegli anni a Roma nelle cosiddette grotte del colle Esquilino, in realtà vani sotterranei dell’antica reggia, ebbe il merito di portare in auge l’uso della decorazione pittorica a grottesche, con le sue figurazioni fantastiche, ispirate al Quarto Stile della pittura romana, e di promuovere il gusto per l’antico, due elementi che si ritrovano nel repertorio iconografico vinovese.

La concomitanza del cantiere della nuova Cattedrale di Torino, realizzata tra il 1492 e il 1498 per volere di Domenico della Rovere, con i lavori di rifacimento del castello di famiglia, accredita l’ipotesi di un intervento a Vinovo di architetti centro-italici, forse il fiorentino Baccio Pontelli o forse Amedeo di Francesco da Settignano, detto Meo del Caprino (o del Caprina), colui che fornì i disegni per il Duomo torinese, ispirandosi più a modelli romani che non della natìa Toscana.
L’allestimento delle sale interne del castello venne probabilmente commissionato più tardi, nei primi del Cinquecento, per iniziativa di Martino, erede dei beni di Domenico, ed è a quest’epoca che risalgono le più belle soluzioni decorative, ancora oggi ammirabili nel percorso di visita, come il cortile interno con il porticato coperto al piano terra e il loggiato al secondo, e il Salone d’onore nella manica Ovest, che presenta lungo le pareti un fregio pittorico attribuito dalla critica alla scuola del Pinturicchio.

Il cortile interno si caratterizza per il ricercato apparato decorativo in cotto che comprende, nei pennacchi tra un’arcata e l’altra, i raffinati medaglioni contrapposti recanti le effigi degli imperatori Nerone e Galba alternate alla personificazione della Libertas Restituta, rappresentazione allegorica del ritorno della libertà (Galba) dopo la tirannia (Nerone), e mostra, su capitelli e lesene, il motivo ricorrente del ramo di quercia, richiamo all’emblema centrale dell’arme dinastica dei Della Rovere, osservabile anche in diversi punti della Cattedrale di Torino.
La decorazione pittorica del Salone presenta invece una successione di medaglioni con figure dell’antichità romana, sorretti da grandi tritoni cavalcati da amorini, con i motivi della cornucopia, di matrice classica, e del ramo di quercia. Curiosa è la raffigurazione della fenice che risorge dalle fiamme d’un braciere.

Al primo piano del castello, infine, è celato un altro tesoro d’arte, la Sala delle Stagioni, con decorazioni pittoriche a grottesche, realizzate verso il 1570, affini agli esempi più celebrati di Lagnasco e di Manta, che si spera possa essere presto recuperata per una completa fruizione dello splendido edificio, importante testimonianza di architettura castellana rinascimentale in Piemonte.
Dopo l’estinzione della famiglia Della Rovere, avvenuta con la morte dell’ultimo discendente della famiglia, nel 1693, il feudo di Vinovo venne assegnato al conte Carlo Francesco Agostino Delle Lanze, figlio naturale del duca Carlo Emanuele II di Savoia, che commissionò l’ammodernamento delle sale interne secondo il gusto barocco dell’epoca, con l’applicazione di stucchi, e la realizzazione della già citata scalea monumentale del prospetto nord.

Il figlio del conte, Vittorio Amedeo Ignazio Delle Lanze, volendo seguire la vocazione religiosa, con la nomina cardinalizia e la carica di arcivescovo di Nicosia a Cipro, cedette feudo e castello al Regio Patrimonio, premessa per il suo affidamento alla gestione dell’Ordine Mauriziano.
Una svolta nelle sorti dell’antica dimora dei Della Rovere si ebbe nel 1776 quando, sulla scia della fioritura europea di manifatture di porcellana, patrocinate e finanziate dalle case regnanti (Meissen in Sassonia, Vincennes-Sèvres in Francia, Ginori nel Granducato toscano), anche nel Regno sabaudo si volle intraprendere questa strada, con la decisione di Vittorio Amedeo III di concedere a questo scopo l’uso del castello di Vinovo all’imprenditore torinese Giovanni Vittorio Brodel, già reduce da una significativa esperienza come socio della fabbrica di porcellana avviata nel 1765 dal conte Francesco Ludovico Birago nel suo castello di Vische in Canavese.

Brodel, affiancato dall’esperto ceramista Pierre Antoine Hannong, figlio dell’olandese Karl Franz Hannong, fondatore della fabbrica di maioliche di Strasburgo, organizzò nel castello che fu dei Della Rovere la produzione di porcellane destinate a divenire celebri con il marchio della Regia Fabbrica di Vinovo.
L’operazione commerciale, che trasformò il castello in sito produttivo, ebbe notevole successo, tanto che, dopo la lite tra Brodel e Hannong e il conseguente fallimento della manifattura, nel 1780 vi fu l’interessamento del medico torinese Vittorio Amedeo Gioanetti, membro dell’Accademia delle Scienze di Torino e appassionato di mineralogia, che riattivò la fabbrica.
Gioanetti, mettendo a frutto le proprie relazioni con studiosi stranieri, seppe consolidare la fama di Vinovo, propagandola anche all’estero, come risulta dal giudizio del direttore di Sèvres che nel 1810 incluse la Real Fabbrica di porcellane vinovesi tra le migliori manifatture d’Europa.

Dopo la Restaurazione, sia per le mutate condizioni politiche e sociali, sia anche per la sopraggiunta morte del Gioanetti nel 1815, la Real Fabbrica iniziò una fase di declino, che la condannò alla chiusura nel 1824. Dal 1843 al 1918 la vocazione produttiva del castello riprese vita, grazie ai fratelli Rey, che vi si insediarono una tessitura di tappeti, telerie e stoffe.
Nel 1973, infine, l’antica residenza dei Della Rovere, che nei secoli aveva assistito al passaggio nelle sue sfarzose sale di illustri personalità, dal corteo nuziale di Giuliano de’ Medici e Filiberta di Savoia nel 1515 a quello del duca Carlo Emanuele I e dell’Infanta di Spagna Caterina Michela d’Asburgo nel 1585, fino ai frequenti soggiorni di Cristina di Francia, prima Madama Reale, a metà Seicento, fu venduta al comune di Vinovo, attuale proprietario della prestigiosa struttura storica, che è oggi in corso di valorizzazione come sede di mostre, conferenze e attività culturali.
Fonti bibliografiche:
Ilario Manfredini, Il Castello Della Rovere di Vinovo, Tipografia Artigiana Vinovese, Vinovo, 2007
Gianni Oliva e Pierfranco Fabris, Castelli piemontesi. La provincia di Torino, Bibioteca dell’Immagine, 2021