di Paolo Barosso

La chiesa del priorato di Santa Fede, comunemente chiamata “abbazia”, è situata nel territorio comunale di Cavagnolo tra le amene colline che costeggiano la sponda destra del fiume Po, in un contesto verde boschivo e agricolo, punteggiato di orti, prati, coltivi e vigneti a girapoggio.

Veduta della facciata con il blocco del portale d’ingresso in posizione leggermente aggettante

Come annotava nel 1833 nel suo Dizionario, alla voce “Cavagnolo”, l’abate e storico Goffredo Casalis, la chiesa dell’antico priorato, considerata tra i più significativi monumenti dell’arte romanica in Piemonte, si trova in posizione raccolta, su un poggio dominante la piccola valle detta di Santa Fede, nei pressi di una sorgente d’acqua, in maniera conforme ai dettami della regola benedettina.   

Il complesso religioso, rientrante in origine nella diocesi di Vercelli e, partire dal 1474, in quella di Casale (con un breve passaggio alla mensa episcopale di Acqui dal 1728 al 1797), appare oggi mutilo della parte monastica vera e propria, smantellata nel corso dei secoli, e del settecentesco “palazzo vescovile”, costruito in forme barocche per iniziativa di monsignor Giovanni Battista Roero (1684-1766), vescovo di Acqui e poi arcivescovo di Torino, che intese il priorato di Santa Fede soprattutto come residenza estiva, e, in seguito, ampiamente rimaneggiato, tanto da non essere più riconoscibile nella sua fisionomia originaria.  

La sopravvivenza architettonica più importante, studiata in passato da Edoardo Arborio Mella, Carlo Promis, Alfredo d’Andrade, Arthur Kingsley Porter, è la chiesa di Santa Fede, dal 1895 di proprietà dei Padri Maristi, che si presero cura dell’antica fondazione monastica erigendo gli edifici atti a ospitare lo “studentato” e i soggiorni estivi della Scuola Apostolica.

Il suggestivo sagrato, che si apre verso ovest al limitare del bosco, è uno spazio che induce il visitatore al raccoglimento e alla contemplazione, in sintonia con gli elementi naturali che lo circondano e con la destinazione religiosa dell’edificio.  

Il portale d’ingresso con il ricchissimo apparato scultoreo e decorativo

La facciata, costruita in blocchi di arenaria e, nella parte superiore, in mattoni, è scandita da tre registri, di cui quello centrale, più alto rispetto ai due laterali, è contrassegnato dallo straordinario portale che si impone all’osservatore per il ricchissimo apparato scultoreo e decorativo. Addossate alle porzioni laterali della facciata spiccano due semicolonne sormontate da capitelli lavorati che non hanno però alcun legame né corrispondenza con l’organizzazione degli spazi interni della chiesa.

Il portale d’ingresso, leggermente aggettante, si segnala per l’esuberanza del corredo scultoreo, confrontabile con gli esempi non distanti di San Lorenzo a Montiglio e San Secondo di Cortazzone, da cui si differenzia per una “maggiore finezza esecutiva”.

La lunetta del portale con il Cristo Pantocratore in mandorla

Nella lunetta si osserva un Cristo Pantocratore in mandorla fra angeli ad ali spiegate, mentre l’architrave, sproporzionato rispetto all’insieme, presenta motivi vegetali, con girali di vite, grappoli e foglie. La “foresta” di sculture, con i loro richiami simbolici, si estende alle ghiere che definiscono la strombatura del portale e sui capitelli delle semicolonne laterali, dove troviamo figure zoomorfe, esotiche, ibride e chimeriche, tra cui un bue, un leone, alcuni grifoni, un dromedario, una fiera dai prominenti artigli, una lepre, un gallo con coda di scorpione, oltre a elementi tratti dal mondo vegetale e segni geometrici, come grossi grappoli d’uva, nastri intrecciati, fasce a spirale.

Dettaglio dell’apparato scultoreo della facciata: in alto un grifone e in basso una figura antropomorfa femminile

L’interno, articolato in una navata maggiore e due navatelle laterali, mostra una volta a botte segnata da vistosi costoloni la cui datazione è stata a lungo dibattuta tra gli studiosi, ma che oggi è quasi unanimemente fatta risalire al principio del XII secolo (e non frutto di un successivo cantiere, come ritenuto per molto tempo dalla critica).

L’interno della chiesa, suddiviso in una navata maggiore e due navatelle laterali

La teoria di pilastri con semicolonne addossate che separano la navata principale da quelle minori è sormontata da bellissimi capitelli in pietra arenaria, forse opera di maestranze diverse (per le divergenze stilistiche e qualitative) alcuni dei quali derivano dal modello corinzio, seppure con notevoli variazioni (originale è il motivo delle foglie che si sviluppano in verticale piegandosi al culmine verso l’esterno per sostenere un frutto, probabilmente una pigna).

Come sottolinea Michele Luigi Vescovi nel suo studio su Santa Fede, le caratteristiche di questi capitelli sembrano rimandare ai grandi cantieri ecclesiastici aperti nell’XI secolo nel sud-ovest francese e nel nord della Spagna.  

Scorcio dell’interno con le lampade a globo che illuminano le navate

La presenza di alcuni capitelli incompiuti, inoltre, sembra avallare l’ipotesi di due diverse botteghe operanti nel cantiere di Santa Fede: il primo gruppo di artigiani, abbandonata la fabbrica, si sarebbe spostato nella poco distante località di Montiglio, lavorando nella chiesa oggi cimiteriale di San Lorenzo e lasciando a una seconda bottega il compito di completare la costruzione di Santa Fede, con una modifica del progetto iniziale.

Uno dei capitelli più raffinati: derivato dal modello corinzio, presenta le foglie del livello superiore che si piegano al culmine per sostenere un frutto, forse una pigna, e quelle del livello inferiore eptalobate (con sette lobi)

Procedendo verso l’abside, si nota la presenza di un falso transetto, che non emerge dal perimetro dell’edificio, ma si evidenzia per il maggior sviluppo in altezza rispetto alle navate laterali. L’uso dello pseudo transetto, con due facciate (di cui oggi una occultata e l’altra ancora riconoscibile) e con una torre posta in corrispondenza del punto di incrocio fra il transetto medesimo e la navata centrale, richiama modelli cluniacensi.

Il supposto legame di Santa Fede di Cavagnolo con ambienti cluniacensi sarebbe suffragato anche dalla presenza come elemento decorativo, osservabile sulla ghiera sommitale del portale d’ingresso, di una croce con terminazioni allargate (croce “patente”) e peduncolo inferiore, possibile richiamo alla simbologia dell’ordine di Cluny.

Uno dei capitelli derivati da modelli corinzi: le foglie appaiono lisce sugli spigoli, ma con florida decorazione vegetale tanto al centro quanto a ridosso dei caulicoli.

Per quanto riguarda le origini dell’istituzione monastica di Santa Fede, già indicata dal Porter nell’anno 1140 e ritenuta oggi non più tarda del principio del XII secolo, e le sue vicende costruttive, le incertezze fra gli studiosi sono state alimentate dalle notevoli lacune documentarie.

I primi riferimenti scritti che attestano l’esistenza di un priorato di Santa Fede nel territorio di Cavagnolo risalgono al XII secolo, periodo in cui la comunità monastica di Cavagnolo doveva già configurarsi come un priorato alle dipendenze di una casa madre, individuabile con ogni probabilità nell’abbazia francese di Sainte-Foy de Conques in Alvernia.

Capitello con decorazione zoomorfa, meno accurato nell’esecuzione e di qualità inferiore rispetto ai precedenti, probabile opera di maestranze diverse

Non sappiamo, però, nulla di preciso circa la fondazione né sulle modalità con cui s’instaurò tale dipendenza, se fu un’iniziativa dei monaci alverniati o se, per qualche ragione a noi oscura, la comunità monastica piemontese decise in un secondo momento, dopo essersi formata, di legarsi alla fondazione transalpina.

In merito ai legami tra il priorato di Cavagnolo e la grande abbazia alverniate intitolata a Santa Fede, questi sono comprovati da due documenti di produzione più tarda rispetto all’epoca della fondazione: il testamento del marchese del Monferrato Giovanni II, redatto nel 1372 (e a noi pervenuto non in originale), che, dotando di beni e terre il priorato di Santa Fede in villa Cavagnolii, lo descrive come “subiectus abbatiae monasterii Conchu”, cioè soggetto dell’abbazia di Conques, e due pancarte di Conques (documenti redatti da un monastero per registrare beni e donativi), la prima letta ma non pubblicata da Gustave Desjardins, in cui si trova una lista di dipendenze dell’abbazia alverniate tra i secoli XI e XII, e la seconda datata 1623 che inserisce proprio il “prioratus Sanctae Fidis de Visterno seu Cavancholio” (Santa Fede di Cavagnolo), situato nella diocesi di Vercelli, tra i possedimenti dell’abbazia alverniate.  

Scorcio dell’area absidale con le tre monofore

L’attestazione di una dipendenza tra la piemontese Santa Fede e l’alverniate Sainte-Foy consente di spiegare le numerose anomalie riscontrate dagli studiosi nelle caratteristiche costruttive e decorative della chiesa di Cavagnolo, che rivelano l’influenza di modelli culturali transalpini (così ritiene ormai la maggior parte degli studiosi) e l’intervento, anche in più fasi, di maestranze francesi (forse non laiche, ma costituite proprio da monaci che si muovevano lungo le vie dei pellegrinaggi), fenomeno d’altronde comune in un’area come il Piemonte da sempre culturalmente “contesa” tra il mondo d’Oltralpe e l’universo lombardo-padano.

La croce con terminazioni allargate (“patente”) e peduncolo inferiore che si nota al centro della ghiera sommitale del portale d’ingresso

Sulla base di confronti stilistici e di tecniche costruttive, già Silvana Casartelli (1959) sosteneva i legami di Santa Fede di Cavagnolo, così come delle chiese di Montiglio, Montechiaro e Cortazzone, con modelli provenzali e, in particolare, alverniati, rintracciando la prova di queste connessioni in diversi elementi architettonici e decorativi come la pratica dell’arco oltrepassato, la decorazione geometrica ottenuta mediante l’uso di materiali di diverso colore, le cornici scolpite “ a billettes” e la presenza dei modiglioni a “copeaux”, che richiamano temi orientalinelle precise particolari forme caratteristiche della cultura già preromanica e quindi romanica dell’Alvernia”.

Dettaglio dell’apparato scultoreo del portale d’ingresso

A queste osservazioni si aggiunge la presenza di “anomalie” nella costruzione e nelle tematiche dell’apparato scultoreo: tra queste, ricordiamo la già citata volta a botte che copre la navata centrale e che, in base alle ricerche più recenti, si fa risalire al primo cantiere di Santa Fede (realizzato forse in due distinte campagne, con modifica del progetto originario) e non a interventi successivi.

L’impiego di questo tipo di copertura, risalente nel caso di Santa Fede al principio del XII secolo, appare molto precoce rispetto ai pur rari esempi disponibili in area ligure-piemontese e padana, e riconducibile a modelli architettonici di Borgogna, Provenza e Alvernia, dove era già utilizzata. Stesse considerazioni possono essere svolte per la lunetta del portale con il Cristo Pantocratore, ritenuta di derivazione francese.   

Nonostante discussioni e pareri contrastanti, la storiografia ha quindi da tempo affermato i caratteri d’Oltralpe della maestranza (o maestranze) attiva a Santa Fede (così come a San Lorenzo di Montiglio), riconducendone le origini geografiche all’Alvernia (Casartelli 1959).

Va però registrata la posizione della Fissore Solaro (1971) che, analizzando tematiche e stili, individua invece l’area di provenienza delle maestranze che lavorarono a Santa Fede nella regione storica francese della Saintonge, a lungo contesa tra le dinastie reali dei Capetingi e Plantageneti (Fissore Solaro in “Romanico nel Monferrato e i suoi rapporti con la Saintonge”).

Le tre monofore dell’abside

Rimane, infine, da accennare al tema della dedicazione a Santa Fede, il cui culto, molto diffuso in Francia e Spagna, appare poco presente in Piemonte e in area padana. La giovane Fede, nativa di Agen in Aquitania, a nord di Tolosa, venne martirizzata nel 303 d.C., durante le persecuzioni di Diocleziano, e la sua devozione, radicatasi in ambito cluniacense, si propagò velocemente lungo le tappe dell’itinerario dei pellegrini verso Santiago di Compostela.

Centro principale del culto di Santa Fede divenne a partire dal IX secolo l’abbazia di Conques in Alvernia, dove le reliquie della martire vennero traslate da Agen, forse a seguito di trafugamento.

Scorcio del portale d’ingresso con la bifora soprastante inserita alla fine dell’Ottocento in sostituzione di una precedente finestra rettangolare

Dando per assodato che l’origine del priorato di Cavagnolo sia da ricondursi al principio del XII secolo, come sostiene ormai la maggioranza degli studiosi, quali possono essere le ragioni che indussero la lontana abbazia alverniate di Sainte-Foy a organizzare la fondazione d’una comunità monastica, da essa dipendente, aldilà delle Alpi, tra le colline a nord del Po?

Il culto di Santa Fede, come evidenziato dal Vescovi, appare non solo legato al Cammino di Santiago, ma anche strettamente connesso alla liberazione dei prigionieri.

Questa “specializzazione” della giovane martire di Agen nell’intercedere in favore dei prigionieri, testimoniata nel Liber miraculorum Sancte Fidis (1897), trova corrispondenza iconografica nell’immagine delle catene, simbolo di prigionia e schiavitù, raffigurata sul portale dell’abbazia di Conques. Vi è inoltre il caso, ben documentato e raccontato sempre dal Vescovi, di un priorato con dedica a Santa Fede situato nella contea inglese del Norfolk, che venne fondato nel primo XII secolo da due benefattori come ex voto per la loro miracolosa liberazione da un gruppo di banditi da cui erano stati presi in ostaggio nel sud della Francia.

Si potrebbe quindi ipotizzare, sulla scorta di queste osservazioni, che la comunità monastica di Cavagnolo abbia avuto origine dall’adempimento d’un voto da parte di uno o più prigionieri liberati, forse da identificarsi con il misterioso prior Rolandus citato in un’iscrizione sulla facciata della chiesa, e che a questo atto di devozione verso Santa Fede sia seguita l’affiliazione alla grande abbazia alverniate.

Note bibliografiche

Chiara Devoti e Monica Naretto, L’abbaziale di Santa Fede a Cavagnolo Po, in Architettura dei monasteri in Piemonte, ed. L’Artistica di Savigliano, 2015

Bardessono Bartolomeo, Santa Fede di Cavagnolo (Torino). Arte, storia, presenza Marista, T.L.S., Cavagnolo 1995