di Paolo Barosso
Su un poggio boscoso a 704 metri d’altitudine, in prossimità del Bric della Maddalena, punto più alto (715 metri) del sistema collinare che cinge ad est la città di Torino, sorge un piccolo oratorio intitolato a Santa Maria Maddalena, che, essendo nascosto dietro l’edificio in stile Liberty del bar ristorante “Il Bric”, attira meno l’attenzione e l’interesse dei visitatori che salgono al colle rispetto al suo monumento più famoso, il Faro della Vittoria, grandiosa scultura in bronzo raffigurante la Vittoria Alata realizzata da Edoardo Rubino nel 1928 e posta al centro di un ampio piazzale-belvedere.

In posizione appartata, cinta da conifere, la chiesetta è attestata già nel 1412, come risulta da documenti rintracciabili negli archivi vescovili e in quelli parrocchiali della località di Revigliasco, che forniscono l’elenco dei cappellani a partire da quella data.
L’origine è probabilmente più antica, pur non esistendo alcuna informazione a conforto di questa ipotesi, aldilà di una leggenda di fondazione, priva di riferimenti cronologici, che riconduce la decisione di costruire l’oratorio a un segno soprannaturale, dato dalla prodigiosa comparsa, durante la notte e proprio in cima al poggio, dei materiali necessari all’edificazione del sacello da dedicare a Maria Maddalena.

La cappella, fino alla distruzione avvenuta nel 1705, si trova menzionata con il titolo di “Santa Maria Maddalena in Montana”, dedicazione che ci ricorda come un tempo i Torinesi fossero soliti riferirsi alle colline aldilà del Po utilizzando l’appellativo di “Montagna di Torino”, luogo di piaceri, di villeggiatura estiva e di approvvigionamento alimentare di vini e di ortaggi.
Tale consuetudine linguistica, motivata dalla discreta elevazione raggiunta dalle cime più alte della dorsale collinare, trova riscontro, ad esempio, nel trattato che Giovanni Battista Croce, orafo di corte e architetto, cultore di agronomia ed enologia, diede alle stampe nel 1606 con lo scopo di illustrare le metodologie di produzione e conservazione dei vini, da lui stesso sperimentate nella vigna di sua proprietà sulla collina torinese. Il libro del Croce s’intitola “Della eccellenza e diversità de i vini, che nella montagna di Torino si fanno, e del modo di farli”, dove per montagna s’intende appunto la collina torinese.

La cappella della Maddalena venne fondata nel punto di incontro degli itinerari percorsi dai viandanti tra Torino e Chieri: era, quindi, un luogo di passaggio e di sosta, e questo spiega la presenza, certificata da un disegno realizzato dall’illustratore ottocentesco Clemente Rovere, di un edificio attiguo alla chiesetta, adibito principalmente ad abitazione del sacrestano, chiamato impropriamente “eremita” (non era infatti un monaco), ma utilizzato anche come ricovero dai viandanti (il fabbricato oggi non è più esistente).
Il Rovere (1807-1860) fu autore di una monumentale opera in 353 volumi, intitolata “Il Piemonte antico e moderno delineato e descritto”, rimasta incompiuta a causa della sua morte prematura, che si proponeva di raccogliere le immagini, da lui disegnate dal vivo in modo preciso e fedele, delle località facenti parte dei domini di terraferma del Regno di Sardegna. Grazie a questi disegni, realizzati tra il 1826 e il 1858, è possibile conoscere la rappresentazione di molti luoghi del Piemonte, che in seguito hanno subito trasformazioni, nelle condizioni in cui dovevano apparire a metà Ottocento, come nel caso della cappella della Maddalena.

La serena esistenza della chiesa, protrattasi per secoli senza scossoni, venne bruscamente interrotta nel 1705 quando soldataglie dell’esercito franco-spagnolo, impegnate in esplorazioni del territorio collinare in vista del celebre assedio di Torino del 1706, distrussero l’edificio sacro, cancellando ogni traccia della fondazione medievale.
La ricostruzione della cappella venne patrocinata dai consignori di Revigliasco, che nel 1720 la fecero riedificare nelle forme attuali.
Un’altra tappa importante nella storia dell’oratorio è il 1823 quando l’eremita Bruno Galfrè commissionò al pittore di corte Luigi Bernero di Cavallerleone, che fu ritrattista di re Carlo Felice di Savoia (il sovrano gli attribuì proprio nel 1823 il titolo di “nostro pittore in ritratti”), l’esecuzione di un quadro, da collocare presso l’altare, raffigurante la conversione della Maddalena.

L’opera pittorica, che rappresenta la Maddalena colpita dalla luce divina, non incontrò il favore delle locali autorità religiose per le “eccessive nudità” di cui faceva mostra la figura femminile ritratta dal Bernero. Per questa ragione, si incaricò il pittore Rodolfo Morgari (1827-1909) di rimediare all’inconveniente, ma l’artista torinese, come rivelato dai recenti restauri della tela, si limitò a ripassare le vesti, senza modificare in modo sostanziale il lavoro del Bernero.
La tela della Maddalena, sostituita da un dipinto più recente del pittore d’arte sacra Pietro Favaro, è oggi conservata, per ragioni di sicurezza, presso la chiesa parrocchiale di San Martino a Revigliasco.
Riferimenti bibliografici e siti internet:
www.prolocorevigliasco.it, Le cappelle
Remo Grigliè, La collina torinese, editrice Teca, 1960.