di Paolo Barosso
Nel territorio comunale di Bollengo, alle pendici della Serra d’Ivrea, sorgono due preziose testimonianze di architettura religiosa romanica: il cosiddetto “Ciucarun”, termine che nella parlata locale designa un “grande campanile” isolato nella quiete campestre, e la chiesa dei santi Pietro e Paolo, edificio sconsacrato nel 1887 e donato al comune.

Entrambe le strutture possiedono peculiarità tali da suscitare l’interesse non solo del visitatore, ma anche dello studioso d’arte e architettura antica.
Iniziamo dal primo manufatto, il Ciucarun, campanile in pietra posizionato al centro d’una vasta radura ritagliata tra i fitti boschi della Serra, a una certa distanza dall’abitato di Bollengo (toponimo che deriva, secondo l’ipotesi più accreditata, dall’antico piemontese “bolengh”, nel significato di piccolo stagno, luogo paludoso).
Il fascino di questo campanile costruito in pietra, dalla sagoma sottile e slanciata, che si staglia con grazia nel panorama circostante, deriva sia dalla posizione, inserita in un contesto naturale e paesaggistico di notevole suggestione, sia dal suo configurarsi come unica traccia architettonica superstite dell’antica chiesa di San Martino che doveva essere, quando venne costruita, nel corso dell’XI secolo, l’edificio di culto posto al servizio della comunità residente nel villaggio di Paerno.

Di questo primitivo insediamento non rimane altra testimonianza tangibile, come se fosse stato inghiottito nelle nebbie del tempo. Era la metà del XIII secolo, infatti, quando il comune di Ivrea, preoccupato dalle mire espansionistiche dei vercellesi, propose agli abitanti di Paerno e di Pessano di confluire nel capoluogo di Bollengo, fortificando l’altura con un castello e un ricetto, e promettendo loro, come incentivo, l’equiparazione sul piano giuridico ai cittadini di Ivrea. La proposta eporediese ottenne l’adesione degli abitanti di Paerno e Pessano, che si trasferirono abbandonando le sedi originarie.
Fu così che il villaggio di Paerno si spopolò e pian piano scomparve, lasciando sopravvivere come memoria di sé soltanto la chiesa di San Martino che, seppure rimasta isolata, resistette fino al 1731 quando le autorità vescovili, avendone constatata l’inesorabile rovina, la giudicarono irrecuperabile ordinandone per decreto la demolizione. Dall’abbattimento si salvò soltanto l’elegante campanile, alto sei piani, con fasce di archetti pensili collegate alle lesene laterali e una serie di aperture – feritoie, monofore e bifore – che appaiono quasi tutte tamponate, salvo la bifora dell’ultimo piano.

Il villaggio di Pessano, poco più in basso rispetto a Paerno, seguì la stessa sorte di quest’ultimo, venendo abbondonato dai suoi abitanti alla metà del Duecento, ma in questo caso l’antica chiesa al servizio della piccola comunità, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, non venne demolita, riuscendo a conservarsi pressoché integra fino ai giorni nostri, malgrado la sconsacrazione avvenuta a fine Ottocento e la successiva acquisizione da parte del comune di Bollengo.
La chiesa situata in regione Pessano, anch’essa risalente come fondazione all’XI secolo, è di particolare interesse perché il campanile, che si trova in facciata con un vano voltato alla base per l’ingresso, appartiene alla tipologia rara dei “clocher-porche”, cioè campanile-atrio o campanile-androne, di cui si riscontrano alcuni esempi nel territorio della diocesi di Ivrea.
Il “clocher-porche” è un modello architettonico di origine carolingia e deriva da una semplificazione e reinterpretazione formale delle monumentali “églises-porche” di area francese o “westwerke” in area germanica, una struttura più complessa caratterizzata da un notevole svuiluppo del fronte occidentale della chiesa.

La chiesa di Pessano si trova inoltre lungo il tracciato della antica Via Francigena, un fascio di vie percorse fin dall’alto Medioevo dai pellegrini in transito verso l’Oltralpe o verso Roma. Nella diramazione canavesana, il percorso attraversava l’area eporediese partendo da Vercelli o da Quadrata (Verolengo) per poi dirigersi verso i valichi alpini valdostani.
C’è da notare che, oltre al passaggio di fedeli, questi itinerari erano percorsi da maestranze legate ai grandi cantieri delle cattedrali del Medioevo che, transitando per regioni diverse, vi facevano anche circolare una moltitudine di modelli architettonici, tra cui vi potè essere anche quello del “campanile in facciata”.
Riferimento bibliografici e siti internet:
Irene Balzani, Le chiese con campanile in facciata nella diocesi di Ivrea, Politecnico di Torino, 2018.
www.archeocarta.org – Carta Archeologica del Piemonte