di Paolo Barosso
“E ho attraversato grandi paesi di montagna, sono giunto ai piedi della più grande e più alta di tutte, che si chiama Moncenisio”: così scrive nelle sue memorie di viaggio Bertrandon de la Broquière, che fu agente segreto al servizio del duca di Bergogna e pellegrino in Terra Santa nel 1432-1433.
Proseguendo nello scritto, l’autore annota che il valico “è assai pericoloso da attraversare nel periodo delle abbondanti nevicate per due motivi, dicono gli abitanti di quel paese. Una, perché si devono avere buone guide, che essi chiamano “marroni” (marrons nella parlata locale), per trovare la via che è coperta e per non perdersi; l’altro motivo perché il vociare fa cadere la neve con impeto, dicono i marroni. E per questa ragione, ci impedirono di parlare ad alta voce”.
Questa testimonianza evidenzia l’importanza rivestita già nella prima metà del Quattrocento, come luogo di sosta e di passaggio, dell’abitato di Ferrera Cenisio, che ospita la sede municipale del comune di Moncenisio, il più piccolo del Piemonte, situato a oltre 1400 metri di quota lungo l’antica Strada Reale che un tempo, fino alla costruzione della nuova strada napoleonica risalente al primo Ottocento, congiungeva la valle di Susa e il Piemonte alla Savoia attraversando la val Cenischia.
Soprattutto con l’affermarsi nel XVI secolo del Moncenisio come il più importante valico delle Alpi occidentali, s’intensificò nei borghi della val Cenischia il traffico di viandanti e di carrozze, che occorreva smontare al termine della carrozzabile, presso il comune di Novalesa, per poi affrontare, accompagnati dai “marrons”, uomini del posto dediti al mestiere di guida e di portatore, la lunga e tortuosa salita lungo le impervie mulattiere dirette a Lanslebourg in Savoia, effettuata con l’ausilio di rudimentali portantine (“cadreghe”) e robuste slitte (dette “ramasses” in quanto, in origine, costituite da fasci di rami).
Il transito per il villaggio di Ferrera Cenisio era obbligato, e questo spiega la presenza, ancora nell’Ottocento, di ben quattro alberghi, che recavano nomi antichi e poetici: Sant’Antonio, dell’Angelo, della Croce Bianca, del Montone.
Solo con la costruzione nella prima decade dell’Ottocento della Strada Napoleonica, vanamente osteggiata dalla popolazione della val Cenischia, che intendeva proteggere la propria principale fonte di reddito, cominciò la decadenza economica per gli abitanti del borgo di Moncenisio che, per quanto impiegati come manodopera nel cantiere stradale, furono in seguito costretti a trovare altre forme di sostentamento o ad emigrare.
L’agglomerato di Ferrera Cenisio è formato da una manciata di abitazioni disposte sui due lati del torrente Cenischia, che attraversa impetuoso il paese, oggi costretto a scorrere in mezzo ad alti argini in cemento realizzati a cura dell’ENEL nella seconda metà del Novecento, senza alcun riguardo per il contesto architettonico e naturale.
Nel tessuto abitativo del borgo, ben conservato nelle sue caratteristiche costruttive, risalta la chiesa parrocchiale di San Giorgio, dedicata al santo martire che è anche patrono del paese e che si trova raffigurato in rilievo sul portale d’ingresso.
L’interno custodisce diverse opere di pregio: nell’area absidale un retable intagliato e in parte dorato di scuola savoiardo-piemontese, datato a fine Seicento; sopra l’altare di Sant’Antonio, un altro retable con colonne tortili e timpano spezzato di ambito savoiardo risalente alla seconda metà del Seicento; sul trave in legno dell’arco trionfale,il gruppo scultoreo seicentesco del Calvario.
Notevoli sono, infine, gli elementi di attrazione naturalistica e paesaggistica che contraddistinguono il borgo e il territorio comunale di Moncenisio: tra questi, segnaliamo i due piccoli laghi di origina glaciale, il lago della Ferrera e il lago Foppa, situati nei paraggi del paese, oggi riserve di pesca per la pregiata trota del Moncenisio, e il grande frassino, che prospera accanto alla chiesa parrocchiale, registrato tra gli alberi monumentali del Piemonte “per le eccezionali caratteristiche in rapporto alla tipologia della specie” dato che questo esemplare supera i 300 anni d’età mentre, in generale, il frassino non è ritenuto dagli studiosi un albero molto longevo.