di Paolo Barosso
Sulle montagne della val Sangone, tra boschi e pascoli, si erge maestoso il santuario di Nostra Signora di Lourdes, conosciuto ai più come santuario del Selvaggio, dal nome della frazione di Giaveno in cui è situato.

Soprannominato “Lourdes delle Prealpi”, il complesso architettonico venne eretto sul luogo di una preesistente cappella, già documentata nel 1608, di cui sopravvive memoria nelle due statue lignee di Sant’Antonio Abate e San Rocco, oggi collocate dietro l’altar maggiore. L’iniziativa fu del teologo Carlo Bovero, nativo di Borgomanero e insegnante nel piccolo seminario di Giaveno (non più attivo), che nel 1908, con l’approvazione e il sostegno del cardinale Agostino Richelmy, arcivescovo di Torino, affidò il progetto di una grande chiesa dedicata a Nostra Signora di Lourdes all’architetto d’origine bresciana Giulio Valotti.

La località in cui sorge il tempio è nota come “Selvaggio”, ma questo nome non costituisce altro che l’esito dell’italianizzazione di un toponimo locale, “Serrevacho”, derivante dall’unione dei vocaboli franco-provenzali “serre”, altopiano o altura, e “vacho”, vacca, nel significato originario di altopiano delle vacche, a designare una zona vocata per il pascolo delle mandrie.

Coadiutore salesiano, il Valotti viene ricordato per aver progettato una cinquantina di edifici religiosi e scolastici che portano la sua inconfondibile firma. Tra le sue opere torinesi, oltre all’ingrandimento e alla decorazione della Basilica di Maria Ausiliatrice e dell’Oratorio di Valdocco, cantiere a cui provvide dal 1935 al 1952, citiamo l’Istituto salesiano “Conti Rebaudengo” in piazza Rebaudengo, la chiesa parrocchiale di Gesù Adolescente e soprattutto il santuario-parrocchia di Santa Rita, incastonato nel cuore dell’omonimo quartiere torinese, di cui è luogo polarizzante.

Nella chiesa dedicata alla “Santa degli Impossibili”, edificata tra il 1927 e il 1933 in un’area al tempo periferica di Torino, indicata come “Barriera di Orbassano”, si ritrova la medesima impronta stilistica che è possibile leggere nell’architettura del santuario di Selvaggio, disegnato dal Valotti secondo uno stile tardo-eclettico con prevalenza di suggestioni neo-medievali.

Il cantiere di Selvaggio, cui partecipò con fede e grande slancio devozionale la popolazione locale, che la domenica si occupava di trasportare dal rio Ollasio le pietre e la sabbia necessarie per i lavori, si protrasse dal 1909 al 1926, svolgendosi in due fasi successive.
La prima chiesa, consacrata nel 1909 dal cardinale Richelmy, si rivelò infatti nel giro di pochi anni inadeguata per dimensioni ad accogliere le masse crescenti di pellegrini che accorrevano a Selvaggio, spingendo il teologo Bovero nel maggio 1915 a annunciare l’ampliamento o, per essere più precisi, il rifacimento del complesso, sotto la direzione dello stesso architetto Giulio Valotti.

Dal 1998 il santuario di Nostra Signora di Lourdes a Selvaggio è affidato all’Ordine religioso dei Paolini, dediti alla contemplazione di Dio nella solitudine, alla coltivazione della preghiera liturgica e alla promulgazione del culto della Madre di Dio.
Fondato in Ungheria nella prima metà del XIII secolo per iniziativa del beato Eusebio, che volle riunire sotto un ombrello comune gli eremiti sparsi nei diversi territori del Regno d’Ungheria, e approvato nel 1308 da papa Clemente V, l’ordine si diffuse nel corso del Cinquecento in Polonia, eletta a sua seconda Patria.

Conosciuti come “Frati Bianchi” per l’abito bianco indossato in onore della Madonna, i Paolini riconoscono il loro patrono speciale in San Paolo di Tebe, considerato da molti come il primo instauratore della vita eremitica cristiana, vissuto in semplicità, penitenza e preghiera nel deserto della Tebaide, all’interno di una grotta, fino al 341, quando morì all’età di 113 anni. Le sue spoglie mortali, traslate a Costantinopoli nel XII secolo per ordine dell’imperatore Manuele Comneno, vennero trafugate dai Veneziani durante il sacco di Bisanzio del 1204 e in seguito portate a Ofa in Ungheria.

Attenendosi agli ideali di vita contemplativa, riassunti nel motto “solo, con Dio solo”, l’Ordine dei Paolini nei secoli andò sempre alla ricerca di luoghi appartati, in cui poter praticare la preghiera corale, le pratiche penitenziali e la separazione dal mondo, sul modello certosino (spirito del deserto), tutte condizioni soddisfatte dal contesto ambientale e fisico che caratterizza il santuario di Selvaggio, circondato dai fitti boschi della val Sangone.
Tutte le foto pubblicate sono di Paola Meliga
Fonti bibliografiche e siti internet:
www.santuariodelselvaggiogiaveno.it, Storia del santuario
www.santiebeati.it, Giulio Valotti