di Paolo Barosso

A poca distanza dalle sponde del lago Piccolo di Avigliana, nel dolce paesaggio delle ondulazioni moreniche della bassa valle di Susa, sorge la borgata di San Bartolomeo, una manciata di case raccolte attorno all’omonima chiesa, che fu sede di un antico priorato monastico benedettino.

Veduta del lago Piccolo di Avigliana.

In cima al monte Pirchiriano, aggrappata al culmine roccioso dell’altura, si staglia la sagoma possente della Sacra di San Michele, scrigno di fede e faro di civiltà cristiana, che, da qui, stendeva il proprio manto protettivo e la propria influenza sul territorio sottostante. San Bartolomeo fu, da un certo punto della sua storia, una fondazione monastica posta alle dipendenze degli abati clusini, come risulta dalle prime notizie ricavabili da documentazione scritta, risalenti alla prima metà del XIII secolo.

La torre campanaria della chiesa monastica di San Bartolomeo, circondata dalle case della borgata omonima.

Del complesso architettonico medievale, che integra gli elementi romanici della costruzione originaria, ricondotta dagli studiosi alla fine del XII secolo, a sovrapposizioni gotiche, dovute agli interventi realizzati tra Duecento e Trecento, sopravvive in particolare la chiesa che, malgrado rimaneggiamenti successivi, conserva l’impianto primitivo, ad aula unica con terminazione absidata all’estremità orientale.

Suggestiva l’ipotesi dello storico locale Placido Bacco, padre cappuccino vissuto nell’Ottocento, che retrodatava l’edificio all’VIII secolo, individuando nei saccheggi e nelle razzie dei Saraceni, nel corso del X secolo, la causa della sua prima distruzione e del conseguente abbandono, e imputando una seconda devastazione del luogo al passaggio di Federico Barbarossa nel XII secolo. Non esistono prove archeologiche o documentali a sostegno della ricostruzione storica del Bacco, ma la questione di una possibile maggiore antichità di parte delle tessiture murarie della chiesa meriterebbe un’indagine più approfondita.

Ciò che sorprende il visitatore è l’interno della chiesa perché, a dispetto dell’essenzialità delle linee architettoniche e della povertà decorativa, la parete destra dell’aula appare abbellita da un ciclo pittorico di un certo pregio, suddiviso in una serie di riquadri disposti su due registri, che illustrano la vita e le opere del santo titolare dell’edificio sacro, San Bartolomeo.

Gli affreschi, riscoperti negli anni Trenta del Novecento per merito dello studioso Augusto Cavallari Murat e riconducibili per caratteristiche di stile e di contenuto alla corrente del gotico internazionale o tardo-gotico, sono datati alla seconda metà del XV secolo.

L’area absidale della chiesa di San Bartolomeo.

Forse realizzati su committenza di un ramo dei conti Piossasco, i De Feis, che avevano possedimenti nel territorio di Avigliana e esercitavano giurisdizione sull’ex priorato per conto dei Savoia (troviamo l’arme di famiglia dei conti Piossasco a lato del ciclo pittorico), gli affreschi non sono di sicura attribuzione.

La critica si divide tra chi ne sostiene l’assegnazione alla bottega dei fratelli Serra di Pinerolo, attivi tra Quattrocento e Cinquecento tra Piemonte occidentale (Canavese, Pinerolese, valle di Susa), Savoia e Delfinato, e chi invece vi vede la mano del pittore e miniaturista Amedeo Albini, documentato tra il 1451 e il 1507, figura di primo piano legata agli ambienti culturali della corte sabauda e attestato in Piemonte, a Torino, Avigliana, Moncalieri, in Savoia e nella città di Milano.

Veduta d’insieme dell’interno con il ciclo di affreschi sulla parete di destra.

Gli affreschi, pur danneggiati nel periodo dell’occupazione francese del Piemonte, tra fine Settecento e inizio Ottocento, sono ancora, in parte, ben leggibili, per quanto bisognosi di un’attenta opera di restauro. Come già accennato, le immagini raffigurate ripercorrono la vita di San Bartolomeo, che fu apostolo del Signore, documentato in pochi passi del Vangelo (dal IX secolo si affermò la consuetudine di identificarlo con Natanaele, testimone del miracolo delle Nozze di Cana in Galilea), e ricordato in particolare per l’opera di evangelizzazione svolta nell’Asia minore, forse fino all’India.

L’arme di famiglia dei conti Piossasco.

Il martirio, illustrato nell’ottavo e nono riquadro, avvenne attorno al 60 d.C. in Armenia dove, secondo la tradizione, per ordine del fratello del re, istigato dai sacerdoti pagani, fu spellato vivo (infatti, nell’iconografia tradizionale egli appare tenendo in mano la pelle sanguinante) e decapitato, dopo essere stato sottoposto, senza esito mortale, a crocifissione a testa in giù e tentativo di soffocamento con il fuoco.

Nel terzo riquadro è rappresentata la scena battesimale di Polimio, re di Armenia.

Tra gli episodi rappresentati, spesso incorniciati (nel registro superiore) da architetture evocanti l’Oriente, richiamo ai luoghi dove si svolse la predicazione di Bartolomeo, vi sono gli atti di esorcismo che il santo praticò sulla figlia di Polimio, re di Armenia, inducendo il sovrano alla conversione (raffigurata nel terzo riquadro con la scena del battesimo di Polimio) e attirandosi l’ira del fratello del monarca che, rimasto fedele all’antica religione politeista, fece condannare l’apostolo al martirio.

Il quinto riquadro ripropone una scena di esorcismo con un gruppo di personaggi raccolti in preghiera sulla sinistra e un diavoletto alla base della colonna al centro.

Si nota, nel ciclo pittorico, la comparsa di due personaggi abbigliati secondo la moda del tardo Medioevo, in cui si potrebbero riconoscere i committenti degli affreschi (anche se non vi è prova al riguardo). In particolare, risalta un tipo di cappello chiamato hennin, che era un caratteristico copricapo femminile a punta in voga nella Borgogna della seconda metà del XV secolo.

Il quarto riquadro mostra un ambiente chiuso, ripartito da arcate, con il santo in abito rossiccio sulla destra e la figura femminile con il copricapo detto “hennin” sulla sinistra.

San Bartolomeo fu particolarmente venerato presso i Longobardi, che giunsero in Piemonte nella seconda metà del VI secolo, e questa considerazione potrebbe collegarsi all’ipotesi del Bacco, non dimostrabile altrimenti, di una fondazione ecclesiastica dell’VIII secolo nel luogo dove in seguito sarebbe sorto il priorato.  

Il secondo riquadro presenta un ambiente affollato di personaggi, con il santo che sottopone ad esorcismo la figlia di Polimio.

Le visite alla chiesa di San Bartolomeo, posta al centro dell’omonima borgata, sono effettuate a cura dei volontari dell’Associazione Archeologica Aviglianese, presieduta da Davide Gazzola, che dal 2013 si occupano della tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio storico, culturale, paesaggistico e archeologico del territorio di Avigliana, con particolare riguardo alle suggestive rovine del castello sabaudo di Avigliana e della cinta muraria cittadina, e dell’area archeologica della Statio ad fines, in frazione Drubiaglio, dove alcuni interventi di scavo diretti dalla Soprintendenza archeologica del Piemonte hanno riportato alla luce parte delle vestigia dell’antica stazione doganale romana sulla via delle Gallie.

Riferimenti bibliografici e siti internet

A. Orlando, La chiesa di San Bartolomeo sul lago minore di Avigliana. Profilo storico
documentario
. Inedito

www.archeocarta.org

www.direfaremole.com