di Paolo Barosso 

La canapicoltura sino alla metà del Novecento è stata una voce economica fondamentale per diverse zone del Piemonte, come il Canavese, il cui nome, sebbene sulla base di una falsa etimologia (1), era fatto addirittura derivare dalla canapa di tipo nordico (Cannabis sativa) qui largamente coltivata (da non confondere con l’altra varietà, la Cannabis indica).

Canapa essiccata

Oggi proprio in Canavese, e in altre aree piemontesi, dove la canapa venne abbandonata dalla metà del Novecento sia per la eccessiva laboriosità della lavorazione rispetto ai rendimenti, sia per la concorrenza in campo tessile di fibre naturali (cotone), artificiali e sintetiche (nylon), si stanno sviluppando progetti di recupero di questo tipo di coltivazione.

I possibili usi della canapa sono molteplici, non solo in ambito industriale (fibre tessili, pannelli isolanti per l’industria edile, impieghi nel settore mangimistico, cartario, cosmetico, automobilistico), ma anche alimentare (produzione di olio e di farina di canapa, ottenuta dalla macinazione dei semi e ricercata perché priva di glutine, anche se va considerata come farina da taglio da utilizzarsi negli impasti in concorrenza con altre farine per un massimo del 20%).

Museo della canapa a Prazzo: donna intenta a filare la canapa con il fuso o la conocchia (i manichini del museo riproducono le fattezze di persone vissute in valle)

Nei pressi di Carmagnola, in frazione San Bernardo, nel corso del Seicento si sviluppò ad esempio la produzione di corde, cordami e spaghi, ricavati proprio dalle fibre di canapa coltivata in zona: i locali mastri cordai acquisirono presto rinomanza internazionale per la qualità dei loro manufatti, tanto che una delle tipologie di sementi un tempo più utilizzate per la canapa prese il nome di “Carmagnola” e proprio in questa città, famosa per i peperoni, ha sede oggi AssoCanapa, associazione istituita per promuovere il ritorno della canapa come forma di integrazione del reddito agricolo (in borgo San Bernardo, sotto uno degli ultimi sentè, camminamento coperto o tettoia per la lavorazione delle corde in canapa, è visitabile l’Ecomuseo della Cultura della Lavorazione della Canapa).

Museo della canapa a Prazzo: un antico telaio per la lavorazione della canapa

L’importanza della canapicoltura nel Piemonte montano è attestata poi da iniziative museali e di ricerca come il “Museo della canapa e del lavoro femminile – Fremos, travai e tero” (Donne, lavoro e terra), allestito a Prazzo in valle Maira, che si collega a una serie di progetti volti al recupero di forme di architettura popolare legate al ciclo di coltivazione e lavorazione della canapa che hanno contribuito nei secoli passati alla modellazione del paesaggio con rivi, fossi, maceratoi, sentè (tettoie) e batou (i “battitoi” erano mulini simili a quelli da grano, ma con un sistema di macine congegnato per sminuzzare il vegetale).

L’esposizione, rientrante nel circuito museale delle valli, si propone di illustrare ai visitatori le varie fasi del ciclo produttivo della canapa, mettendo in risalto la preminenza del lavoro femminile, che si rendeva indispensabile in epoche in cui nelle aree montane la manodopera maschile, terminato l’impegno con i lavori agricoli, nella stagione fredda scendeva nelle città di pianura o transalpine per dedicarsi a mestieri itineranti e stagionali.

Museo della canapa a Prazzo

In particolare in valle Maira gli abitanti, a seconda dei versanti e dei paesi, s’erano specializzati nei mestieri dell’ancioé (mercante di acciughe e pesce sotto sale, acquistati presso i porti liguri e provenzali e rivenduti di cascina in cascina e nei mercati piemontesi e padani), il cavié (acquirente di capelli femminili veri, destinati alla fabbricazione di parrucche prima che s’introducessero le fibre sintetiche), il bottaio (fabbricatore di botti, specialmente in legno di castagno, per l’affinamento e conservazione del vino).

Museo della canapa a Prazzo: con la fibra di canapa si confezionavano lenzuola, biancheria, capi di abbigliamento

Alla donna, in assenza del marito o dei maschi della famiglia, era quindi affidata in prevalenza la gestione delle fasi essenziali della coltivazione e lavorazione della canapa, assai diffusa nelle terre montane sino a pochi decenni fa: la semina, la battitura, la filatura, il confezionamento di biancheria e capi di abbigliamento.

La coltivazione avveniva su appezzamenti anche in notevole pendenza (per cui si usavano scarpe ramponate, per evitare rovinosi capitomboli), con piante che potevano raggiungere i due metri d’altezza. Un tempo era coltivato anche il lino, quindi la lavorazione dei tessuti in certi casi era mista, con fibre di lino e canapa.

Oltre all’esposizioni di attrezzi e manufatti legati alla lavorazione della canapa (telai, fusi o conocchie per la filatura, pettini in ferro per la cardatura) con la ricostruzione di ambienti che richiamano la vita d’un tempo, il museo offre, per una maggiore completezza conoscitiva, pannelli esplicativi, che disegnano un percorso didattico ben documentato, una sala multimediale e un archivio consultabile con filmati e documenti.

Museo della canapa a Prazzo: oltre all’esposizione di attrezzi e manufatti, colpisce la meticolosa ricostruzione degli ambienti domestici

Per informazioni sull’accessibilità:

Il museo è visitabile rivolgendosi a “La Gabelo” (negozio a sinistra dell’entrata al Museo) – tel. 0171-99265 – Via Nazionale 9, Prazzo Inferiore – orario: 9-12/15.30-18.30 (chiuso il martedì da settembre a giugno). E-mail: info@comune.prazzo.cn.it

  1. L’ipotesi etimologica, pur errata, attesta la rilevanza assunta in passato dalla coltivazione della canapa in Canavese. L’origine del toponimo si collega invece, secondo diversi studiosi, al vocabolo latino medioevale “canaba“, derivante da radici lessicali prelatine, celtiche, che designava un luogo di raccolta di prodotti agricoli confluenti da un vasto territorio, poi passato a indicare la località di “Canava”, la cui identificazione rimane incerta (alcuni la situano dove oggi sorge la frazione Rivarotta di Valperga, altri in corrispondenza di borgata Campore di Cuorgnè o a San Ponso). Legata alla pseudo-etimologia Canavese-canapa appare infine la scelta di una pianta di canapa quale emblema principale dell’arme dei Valperga, in origine noti come conti ” de Canavise”  
Museo della canapa a Prazzo

Tutte le foto pubblicate, salvo quella d’apertura, sono di Roberto Beltramo