di Milo Julini

Si è già scritto che nella seconda metà del mese di maggio del 1929, in occasione della proclamazione a Beato del Venerabile Giovanni Bosco, sepolto nell’Istituto salesiano di Valsalice, dopo l’esumazione, la «ricognizione» e il collocamento in una urna della salma, una imponente folla di pellegrini accorre per renderle omaggio.

“La Stampa” del 26 maggio 1929 sotto il titolo «Il racconto di un vecchio professore» rievoca un episodio di cui Don Bosco è stato protagonista avvenuto più di mezzo secolo prima a Lanzo Torinese e che appare come un miracolo. Leggiamo:

Fra i visitatori si trovava un venerando signore, che attirava l’attenzione di molti. Era il prof. Carlo De Magistris, di 80 anni, l’unico superstite dei sei alunni del collegio salesiano di Lanzo, guariti in modo soprannaturale da Don Bosco. Si tratta di un episodio che merita di essere riferito.

Il 26 [in realtà il 29, vigilia dell’Ascensione, n.d.a.] maggio del 1867 Don Bosco si recò al collegio di Lanzo, il secondo da lui fondato, che era quel giorno in festa. Don Bosco venne informato che sei alunni erano a letto malati di scarlattina, ed egli si recò subito in camerata a visitarli.

Avete fede nella Madonna? –

chiese il santo sacerdote ai piccoli malati.

– essi risposero.

Ebbene – conchiuse Don Bosco – alzatevi e scendete anche voi in cortile a partecipare alla festa del Collegio. – E così dicendo li benedisse.

I ragazzi ubbidirono, mentre il medico del collegio non sapeva contenere la sua contrarietà e il suo timore di guai e di complicazioni; tanto che ad un dato punto non poté trattenersi dall’osservare che egli declinava ogni responsabilità e che chiamava responsabile Don Bosco di quello che poteva accadere.

Ma non accadde nulla. I sei alunni erano guariti. Giocarono e si divertirono come gli altri. Alla sera presenziarono all’accademia offerta dai compagni. Erano stati messi in un palchetto a parte, e sembravano più allegri e vispi degli altri. Il medico, che pure era presente, non sapeva capacitarsi, non era ancora convinto. E Don Bosco, nella sua bonomia e nel suo buonumore, si divertiva a stuzzicarlo indicandogli di quando in quando i giovanetti che non si decidevano ad aggravarsi e magari a morire…

Questo raccontava ieri fra le lacrime il vecchio prof. De Magistris, mentre baciava l’urna contenente la salma del suo benefattore, e fra gli astanti passavano brividi di commozione. E l’episodio, del resto, è narrato e documentato dal Lemoyne, direttore a quell’epoca del Collegio di Lanzo, nelle sue «Memorie biografiche di Don Bosco».

II vecchio signore narrava ieri altresì come egli, oggetto di particolare simpatia da parte del grande educatore perché orfano di padre e di madre, non potesse fare a meno di chiamarlo «papà Don Bosco», al che egli sorrideva e lo compensava sempre con una carezza. E più tardi, quando il prof. De Magistris ebbe suo figlio gravemente ammalato, ne ottenne ancora la guarigione con l’intervento del santo prete.

Le «Memorie biografiche di Don Bosco» di Giovanni Battista Lemoyne (1839-1916) ricordano questo episodio nel Volume IX (1917), con lievi e insignificanti discrepanze rispetto al racconto esposto dall’anziano professor De Magistris.

La malattia degli allievi è indicata come «vaiolo», gli allievi malati erano sette, sei sono miracolosamente guariti il giorno 29 maggio 1867, vigilia dell’Ascensione, mentre un settimo è rimasto a letto e si è poi ristabilito, nel giro di circa venti giorni, grazie alle cure praticate dal medico curante dottor Magnetti.

Lemoyne ricorda anche il nome di due degli allievi guariti: Giuseppe (e non Carlo!) Demagistris, poi divenuto professore nei Regi Licei torinesi e Carlo Passerini, divenuto professore nei Corsi tecnici sempre a Torino. La grande festa, celebrata il 30 maggio, festa dell’Ascensione, si è conclusa con la consegna dei premi di buona condotta, consegnati a sei convittori col plebiscito di tutti i compagni: il primo è stato consegnato a Demagistris e il secondo a Passerini.

Ho voluto rievocare anche questo episodio miracoloso a ulteriore ricordo di San Giovanni Bosco, mi sia consentito con una punta di campanilismo, come villeggiante ormai pluridecennale nelle Valli di Lanzo.