Testo e foto di Paolo Barosso 

Sino al 16 luglio la Corte Medievale di Palazzo Madama ospita l’importante mostra “Carlo Magno va alla guerra. Cavalieri e amor cortese nei castelli tra Italia e Francia”, nata dalla collaborazione tra il Museo Civico d’Arte Antica di Torino e il Musée Savoisien di Chambéry.

Carlo Magno a caccia nella foresta con i suoi vassalli

L’iniziativa rientra nell’accordo di cooperazione siglato nel 2011 tra le due realtà museali allo scopo di creare sinergie tra istituzioni culturali attive nei territori dell’antico Ducato di Savoia e rafforzare sempre di più la consapevolezza delle comuni radici storiche e culturali di Piemonte e Savoia, territori oggi inseriti in ambiti statali diversi, ma per molti secoli uniti sotto l’autorità di un medesimo principe.

Veduta del castello de la Rive a Cruet in Savoia

Perno centrale della mostra è un prezioso ciclo di pitture realizzate tra 1300 e 1315, forse sulla base di un codice miniato più antico, su committenza dei signori di Cruet, i Verdon-Dessous, vassalli del conte di Savoia Amedeo V, per ornare le quattro pareti della gran sala della loro dimora, il castello de la Rive a Cruet, in Val d’Isère.

Il ciclo, una delle più alte espressioni dell’arte gotica in Savoia, illustra su una superficie complessiva di 40 metri gli episodi salienti tratti da una chanson de geste composta nel 1180 da Bertrand de Bar-sur-Aube incentrata sulle imprese militari e amorose di Girart de Vienne, cavaliere alla corte di Carlo Magno.

Sullo sfondo di una scena di caccia, in cui un cervo combatte contro un cane, irrompe un messaggero che, suonando l’olifante, annuncia a Carlo Magno la morte del duca di Borgogna

Le chansons de geste sono componimenti letterari in versi redatti tra 1000 e 1200 che venivano recitati da artisti itineranti, menestrelli, trovatori e trovieri, e che celebravano le imprese guerresche di singoli eroi o di intere casate. Appartengono a tre cicli: il ciclo carolingio, come la chanson da cui derivano le pitture murali di Cruet, incentrate sulla figura di Carlo Magno e dei suoi cavalieri cristiani, impegnati in epici combattimenti, proiettati tra storia e leggenda, contro Longobardi, Sassoni e Musulmani, il ciclo che esalta le imprese di Garin de Monglane e della sua discendenza contro i Saraceni tra Provenza e Aragona e infine i poemi dedicati alle contese tra baroni carolingi.

Olifante esposto in mostra (regione mosana, sec. XIII, conservato a Sallanches): l’olifante, dal francese “olifant”, alterazione del latino “elephantus”, era un corno ricavato dalla zanna dell’elefante, usato in battaglia o nelle battute di caccia come richiamo

Tra Due e Trecento le letture preferite nei castelli tra Piemonte e Savoia, come nel resto d’Europa, erano proprio questi poemi cavallereschi, specie d’ambientazione carolingia, accanto ai romanzi, influenzati dalla lirica cortese, che narravano le gesta di eroi del mondo classico, come Enea e Alessandro Magno, o le imprese di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda (la materia di Bretagna). Di questi romanzi, d’amore e di avventura, esistevano copie riccamente miniate, che circolavano tra le corti: in mostra sono visibili alcune di queste opere, appartenenti alla collezione del conte di Savoia Amedeo V, acquisita attraverso doni diplomatici o per mezzo della moglie, Maria di Brabante, figlia di un principe amante della poesia.

Cerimonia dell’adoubement: Carlo Magno, poggiando la mano destra sul capo di Girart de Vienne, ne esegue l’investitura secondo le regole della società cavalleresca

Le pitture murali, tornate alla luce nel 1985 dopo settecento anni di oblio, vennero liberate dallo strato d’intonaco che le ricopriva e trasferite nel Musée Savoisien di Chambéry. L’opera, a tema laico, celebra l’etica e i valori cavallereschi della nobiltà europea del tempo, ma testimonia altresì la raffinatezza culturale maturata all’interno dei domini sabaudi, uno “Stato di passo” tra Piemonte e Savoia che traeva la propria forza dal controllo militare dei principali valichi delle Alpi occidentali, via obbligata di transito per eserciti, pellegrini, mercanti.

Girart, circondato da cortigiani, si inginocchia per baciare la gamba dell’imperatore, durante la prima notte di nozze di Carlo Magno e della duchessa di Borgogna

Protagonista del ciclo è Girart de Vienne, discendente d’una nobile famiglia della Guascogna caduta in disgrazia al tempo delle invasioni arabe. Il giovane, che ambisce a riscattare la propria condizione, si pone al servizio di Carlo Magno, il re dei Franchi destinato alla consacrazione imperiale indossando le vesti di paladino e propagatore della fede cristiana nell’Europa tra VIII e IX secolo.

Il nostro eroe, che ottiene l’investitura a cavaliere, si fa notare dal rex francorum per il valore guerresco ricevendo come ricompensa la signoria sulla città di Vienne, in futuro centro del potere dei Delfini, rivali dei Savoia (c’è chi infatti ipotizza che nel ciclo si riflettano i contrasti di allora tra Savoia e Delfini), e la mano della bellissima vedova del duca di Borgogna.

A questo punto interviene una grave infrazione del codice cavalleresco: l’intraprendente vedova, invece di attendere la proposta di Girart, in ossequio alle regole dell’amor cortese, prende lei stessa l’iniziativa facendo delle avances al giovane cavaliere che, risentito, la respinge. Il rifiuto, motivato dall’etica del tempo, dà l’avvio a una sequenza di vendette e successive azioni riparatorie che coinvolgeranno Girart e i suoi nipoti in un lungo conflitto contro Carlo Magno.

Scena di battaglia: l’assedio della città di Vienne da parte dei soldati di Carlo Magno

L’interminabile contesa verrà poi risolta in base alle regole della mentalità medioevale, con un duello “giudiziario” tra i nipoti di Carlo Magno e di Girart, una sorta di ordalia in cui ragione e torto vengono stabiliti dal favore divino verso l’una o l’altra delle parti in causa. Il combattimento si concluderà con l’intervento divino che, a mezzo d’una nube, acceca i contendenti, obbligandoli a deporre le armi e esortandoli, tramite un angelo suo emissario, a recarsi in Spagna per dedicarsi alla lotta contro gli Arabi che al tempo la occupavano.

Scena di combattimento

Oltre alle pitture, la mostra propone una serie di oggetti, elementi d’arredo, suppellettili, che intendo ricreare il modus vivendi nel tipico castello feudale tra Piemonte e Savoia nei secoli XIII e XIV, quando i domini sabaudi, per ragioni successorie, vennero divisi in tre parti, con i territori transalpini e la Valle di Susa affidati al ramo comitale, con sede a Chambéry, i possedimenti piemontesi assegnati ai principi di Savoia-Acaia, con sede a Pinerolo, e la regioni di nord-est, con il Vaud, attribuite al ramo dei Savoia-Vaud.

Cofanetto lavorato

Tra gli oggetti esposti risaltano un raro olifante, corno da caccia in avorio, codici miniati e libri d’ore, documenti in pergamena, sigilli, arredi e suppellettili in ceramica e peltro, cofanetti in cuoio, legno, avorio, statue sacre in legno raffiguranti i santi guerrieri della tradizione sabauda, come i martiri della Legione Tebea.

Acquamanile in lega di rame (regione mosana o Bassa Sassonia, XIII sec, Torino Musei Reali): gli acquamanili erano contenitori per l’acqua in metallo e in forma di animali o cavalieri adoperati per lavarsi le mani durante i banchetti o prima delle celebrazioni liturgiche

Articolo scritto per Piemonte Top News